Capitolo IV

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Ed eccomi davanti ai binari lucidi, insieme ai dieci compagni con i quali ho iniziato questa avventura.
Austin è dietro di noi e cammina avanti e indietro non sapendo cosa dire, eppure l'ha atto migliaia di volte.
Alla fine si limita a salutarci dicendo.<< E' stato un piacere conoscervi ragazzi.>> a quel punto le sue parole vengono perse nel rumore stridente del treno che si ferma. Le porte si aprono. Gli altri salgono lanciandogli un cenno di saluto, io rimango un po' indietro e mi volto verso il mio addestratore. Probabilmente l'unico amico che io abbia avuto qui dentro, anche se lui non accetterebbe mai che io lo chiamassi in questo modo.<<Non ti sembra la prima volta che ci siamo visti?>>.
<<No, allora eri più piccola e più carina.>> dice, scherzando.
<<E' un addio questo, Austin?>>
<<Non ti libererai così facilmente di me, Alexia, dovresti saperlo. Ci rivedremo alla Base il giorno delle prove.>>
Lo fisso.<< E poi?>>
Alza le spalle e allarga le braccia:<< E forse, solo a quel punto, sarà un addio.>>
Cerco di sorridergli, ma non ci riesco, sento qualcosa nel petto, come una morsa che lentamente si chiude, sempre di più.
<<Ora dovresti andare, il treno non aspetterà te.>>
Visto che non mi muovo si avvicina e mi mette le mani sulle spalle facendomi girare, poi mi sospinge verso l'entrata. Salgo e mi volto. Mentre il treno parte mi fa un cenno e nel suo sguardo mi sembra di scorgere orgoglio e tristezza, ma di sicuro mi sto sbagliando, non può essere così.
Quando ormai non lo vedo più vado a sedermi in fondo, da sola, lontano da tutti gli altri. Non mi va di parlare con nessuno.
Sposto lo sguardo sul paesaggio un po' grigio e un po' verde che ci sfreccia davanti, non riesco a distinguere quasi niente, se non i campi di grano, ma non sto guardando davvero, avete presente quando qualcuno vi parla, ma voi siete così occupati a pensare ai fatti vostri da non sentire una sola parola? Ecco è quello che succede a me, faccio finta di guardare, quando in realtà il mio sguardo passa attraverso ciò che ho davanti. In testa ho una valanga di pensieri, domande senza risposta, la maggior parte sono contrastanti tra loro, si accavallano l'uno con l'altro così da non riuscire davvero a pensare a qualcosa di concreto. Non capisco più niente eppure è la mia mente.
Non so cosa succederà o meglio lo so in teoria, so cosa dicono le leggi: dovrò tornare nella casa in cui alloggiavo prima di essere portata al Centro, entro lo stesso giorno saranno annunciate via tv le date dei test, e finché non arriverà quel giorno dovrò restare chiusa in casa, ognuno di noi sarà controllato dalla mattina alla sera da una guardia.
Il nostro è un Governo rigido e inflessibile. Le leggi sono leggi. Le regole non s'infrangono. E se lo fai è semplice: sei finito.
Non so quanto passa, ma un minuto prima eravamo al Centro e un minuto dopo siamo arrivati.
Scendiamo e passiamo attraverso i metal detector per capire se abbiamo o meno nella borsa o sotto i vestiti delle armi che, assolutamente, non possiamo usare, o almeno fino a quando non passeremo i test e saremo autorizzati.
Quando si sono accertati che siamo puliti, ci lasciano passare e da qui, senza neanche un saluto, prendiamo le nostre strade.
Mi butto lo zaino con dentro i vestiti sulla spalla e mi incammino verso quella che una volta definivo casa, ma che adesso sarà la mia prigione, il mio incubo.
Ad un tratto sentendomi osservata mi volto di scatto. Una guardia mi sta seguendo a pochi metri di distanza, quasi fosse la mia stessa ombra, lancio all'uomo alto, biondo e massiccio un'occhiata truce, poi continuo a camminare facendo finta di niente.
Non mi piace essere controllata, soprattutto ora che non sono più al Centro, soprattutto ora che dovrò rivedere i miei genitori.
Ecco, lì davanti a me, uguale a sempre, il vialetto ghiaioso, l'erba finta dalla quale spuntano grandi fiori bianchi e la casa dello stesso colore.
Non sono sicura di farcela, non sono sicura di voler rivivere tutto ciò da cui sono stata portata via, ma alla fine non ho altro da fare che bussare.
Nessuno risponde, nessuno mi apre. Così inserisco il codice sperando che sia sempre lo stesso, ed infatti è così.
Spingo la porta e la richiudo velocemente.
Poi mi guardo intorno con le labbra socchiuse. Non è cambiato niente. A parte... qualcosa attira la mia attenzione, qualcosa che prima non c'era. Un piccolo tavolino basso e di vetro sul quale sono appoggiate tre foto. Mi avvicino con cautela come se si potesse trasformare in un mostro a tre teste e lascio cadere la borsa producendo un rumore tenue che, però, riempie la casa vuota.
Ne prendo una, sono immortalata io, anzi, Lexie.
Indossavo un vestitino bianco e sorridevo, un sorriso buffo considerando che a quei tempi mi mancavano i due denti davanti.
Cado in ginocchio senza preoccuparmi della fitta di dolore che mi provoca lungo tutta la gamba.
Avevo sei anni, quel giorno la mamma mi aveva portata al parco, sembravo felice. No. Ero felice, sapevo cosa significasse esserlo.
La rimetto a posto delicatamente e ne prendo un'altra, quella argentata, anche se è quella dorata che mi interessa, sono immortalati i miei genitori un po' più vecchi di quando li ho lasciati, ma non è questa la cosa strana, le persone invecchiano, lo so, ciò che attira il mio sguardo è il bambino che c'e' tra loro, ha i capelli scuri e gli occhi verdi, un bambino che assomiglia a me, un bambino dall'aria felice, così come l'uomo e la donna che gli stanno accanto abbracciandolo.
Sento la gamba piegata sotto di me tremare, scaglio la foto che ho tra le mani contro il muro, la foto scattata il giorno del mio ottavo compleanno, e così come il vetro, anche la mia famiglia è caduta in pezzi e poi urlo, un urlo forte, simile a quello di un animale ferito, anche se non voglio ammetterlo, lo sono.
Appoggio ansimante le mani sul pavimento freddo e scruro. Una scheggia mi si infila nel palmo della mano, ma non ci faccio neanche caso.
In quel momento la porta si apre.<<Oh, faremo tant...>> la voce della donna muore confondendosi nel silenzio che mi circonda, la sento trattenere il fiato per poi mormorare.<<Alexia.>>
Lentamente mi volto e mi alzo.<<Mamma, papà.>> li saluto freddamente, tutto ciò che ho provato è svanito, il dolore rende deboli, e io non lo sono.
Vedo gli occhi di mia madre scattare prima sulla mia mano insanguinata e poi sulla cornice rotta per terra ed infine su di me. Una lacrima le scende sul viso chiaro, fa per abbracciarmi, ma io alzo la mano sana fermandola.<<No. Non pensarci nemmeno.>>
<<Vai in camera, Daniel.>> mormora mio padre. Solo ora mi accorgo del bambino che mi guarda terrorizzato, e non gli do' torto, devo sembrare una pazza.
<<Cos'è, non me lo presentate?>> dico sollevando le sopracciglia.
<<Lexie.>> mi ammonisce papà.
Lo guardo con aria di sfida, non hanno più nessun diritto di controllarmi, lo hanno perso molto tempo fa:<<Credi che non dovrei fare la conoscenza del fratellino che mi ha...>> lo scruto.<< quasi subito rimpiazzata nella famigliola felice?>>
<<Lascia fuori Daniel da questa storia, lui non c'entra niente con quello che è successo, è solo un bambino.>>
<<Daniel...>> continuo io imperterrita:<< che nome...>> arriccio le labbra con fare pensoso:<<...carino.>> mi avvicino alla mia fotocopia maschile e gli porgo la mano con il sangue che ha iniziato a colare lungo tutto il braccio e le dita.<<Oh scusa.>> dico come se me ne accorgessi solo ora, gli tendo l'altra.<< a volte sono così sbadata! Io sono Alexia.>>
Gli occhi così simili ai miei si spalancano e si attacca con quelle sue braccine sottili alla gamba dell'uomo.
<<Cosa ti hanno fatto, Alexia?>> sussurra mia madre con le mani davanti alla bocca.
<<La cosa migliore che potessi desiderare: mi hanno aperto gli occhi.>> rispondo raddrizzadomi e fissandola.
Papà e Daniel mi passano di fianco senza dire una parola e spariscono in cima alle scale.
Appoggio la schiena al muro cercando di mostrare indifferenza.<<Immagino che gli avrete dato la mia camera.>> estraggo la scheggia abbastanza grande e la lascio cadere a terra senza neanche una smorfia, come se fossi abituata a farlo ogni maledetto giorno.
<< La tua stanza è la tua stanza, non l'avremmo mai fatto.>> ribatte lei con gli occhi pieni di lacrime.
<<Smettila di piangere.>> sbotto brusca, ho sempre odiato le lacrime. In quel momento ritorna mio padre. Mi fissa per un attimo per poi confessarmi ciò che pensa.<< Sei diventata così bella Lexie.>>
<<Non chiamarmi Lexie. Allora quando avete deciso che vi serviva un altro bambino da illudere per poi mandarlo nella gabbia insieme ai leoni?>>
<<Le...>> si blocca quando le lancio un'occhiata di fuoco.<<Alexia,>> si corregge.<< non avremmo mai voluto questa vita per te, volevamo che fossi felice almeno per quel poco di tempo che ti restava da vivere insieme a noi. Credevamo che...>> scoppia a piangere.
Faccio roteare gli occhi, così continua mio padre.<<Credevamo che non ti saresti dimenticata cosa significa provare. Pensavamo che ne saresti uscita, che avresti combattuto come una persona forte e...>>
Non gli lascio neanche il tempo di terminare la frase:<< Pensate che non l'abbia fatto?!>> grido.<<Voi non sapete cosa significa arrivare all'inizio della terza fase, voi non avete idea del dolore che si prova quando ti rompono le ossa una ad una solo per manipolarti il cervello, per inculcarti odio che prima non provavi, ma che poi diventa la tua unica ragione di vita, inizi ad odiare persone senza nessun apparente motivo, le odi e basta, le odi perché deve essere così. Voi non sapete e non saprete mai cos'ho passato là dentro, cos'ho dovuto dimenticare, non lo sapete perché siete Ribelli.>> all'ultima parola abbasso la voce fino a farla diventare quasi un ringhio.<<Voi non siete mai stati lì, non è cosi? Certo che no, non si rimane illesi, né fisicamente nè psicologicamente, voi non siete come tutti gli altri genitori freddi e indifferenti nei confronti dei propri figli. Date a me della debole, per il solo fatto di non aver resistito a delle torture che mi affliggevano ogni santissimo giorno, quando voi non sapete neanche cosa significhi combattere e proteggere la vostra stessa figlia.>>
Mi fissano con gli occhi spalancati, la bocca aperta e senza parole. Io non sono la stessa di molti anni fa e loro lo iniziano a capire, come io ho capito cos'erano davvero i miei genitori non appena ho conosciuto le persone che hanno passato la vita nel Centro.<<Voi avreste dovuto proteggermi>> continuo.<< voi potevate farlo. Cos'è ora che avete un altro bambino, farete lo stesso con lui?>>.
<<Alexia, sai anche tu che sono le leggi.>> dice papà cercando di farmi ragionare, cosa che non gli è riuscita mai bene.
Rido come se fosse la cosa più divertente che mi avessero mai detto, e forse lo è davvero.<<Leggi? Proprio voi? Due Ribelli? Ma per favore! Siete solo due vigliacchi che si nascondono dal Governo dentro le sue stesse mura!>>
Il volto di mio padre diventa il più duro che io gli abbia mai visto.<<Tu non capisci Lexie, dietro tutto questo c'e' qualcosa di molto più grande, noi vogliamo solo proteggerti da ciò che potrebbe succedere tra poco!>>.
<<Thomas.>> lo ammonisce mamma sottovoce.<<Lexie,>> dice poi rivolgendosi a me con tono quasi di supplica:<< non devi dire a nessuno che siamo Ribelli, non si tratta solo di noi.>>.
<<So ancora cos'e' la lealtà, forse pensate che sia un mostro, ma essere leali è una delle cose che ci insegnano al Centro.>>
Mamma si avvicina lentamente come se potessi sbranarla da un momento all'altro.<<Mi sei mancata così tanto, Lexi.>>
<<Avete Daniel.>> replico sulla difensiva:<< Sembra un piccolo angelo, un altro bambino cui mondo cadrà ad-dosso.>>
Non sono gelosa di Daniel, come potrebbe sembrare, è solo che ...mi sento come se alla mia partenza avessero messo qualcun altro al mio posto, mi sento tradita dai miei stessi genitori. Mi sento ferita e abbandonata.
<<Abbiamo parlato a Daniel di te, sai? Per questo ti guardava così, era strano vedere solo delle parole trasformarsi in realtà.>> m'informa lei con un sorriso.<<Non vedeva l'ora di incontrarti, gli abbiamo raccontato di come portavi i capelli e...>>
Scuoto la testa e li guardo in modo freddo, loro mi vedono ancora come nove anni fa.<<Non sono più la bambina con le trecce che ricordate, Lexie, quella bimba, è morta quando l'avete abbandonata, e con lei il vostro ricordo.>>
Mia madre spalanca gli occhi e papà le passa un braccio intorno alla vita stringendola.<<Lexie...>>
<<Voi non siete più i miei genitori, non contate più niente per me. Sono qui solo perché sono costretta, ma quando passerò il test e mi trasferirò alla Base non mi vedrete mai più, ve lo giuro.>>
Detto questo mi avvio verso le scale, sento i loro passi seguirmi.<< Statemi lontani.>> non ho più voglia di guardarli, non voglio più niente da loro, solo che se ne vadano.
<<Ti prego Alexia, non andartene.>>
Mi fermo, senza nessun motivo preciso, lo faccio e basta. Li guardo in fondo alle scale, immobili, sembrano cosi' felici di vedermi, ma infelici allo stesso tempo.
<<Austin.>> dice soltanto papà.
Questo attira del tutto la mia attenzione.<<Cosa c'entra?>>
Lui guarda la mamma e lei annuisce di conseguenza.<<Lo chiamavamo ogni giorno, ci diceva ciò che facevi, i tuoi progressi, le tue paure, tutto quello che ti succedeva. Sapevamo sempre tutto, non ti abbiamo mai abbandonata come pensi tu.>>
<<Austin?>> come poteva essere? Austin? Il mio addestratore?
<<Si, ci conoscevamo prima che tu partissi.>>
<<Gli avete chiesto di tenermi d'occhio prima o dopo il mio arrivo?>>
<<Dopo.>>
<<E' per questo che ha scelto me? Perché vi conosceva? E sapeva chi fossi?>>
<<Scelta? Di cosa parli?>>
<<Okay.>> replico invece di rispondere. Mi sentivo meglio sapendo che non mi aveva preso sotto la sua ala protettrice solo per loro.<<Quindi anche lui è un Ribelle?>> non è difficile fare 2+2.
Rimangono in silenzio, a volte dicono che il silenzio sia una risposta che la voce non può pronunciare, ma basta a farmi capire.
Sento il mondo che ho costruito in tutti questi anni crollare in pezzi per la seconda volta. Come può essere Austin un Ribelle? E se lo fosse perché non ci ha salvati tutti? Forse la risposta è semplice: non so davvero cosa siano i Ribelli, forse non sono quelli che il governo ci vuole far credere, non è distruggere la pace il loro vero scopo.
<<Questo non cambia niente.>> li avverto prima che possano farsi idee strane.<<Non vi perdonerò mai.>> salgo velocemente le ultime scale che mi rimangono poi mi sbatto la porta della mia vecchia camera alle spalle chiudendola a chiave.
Non è cambiato niente, le pareti sono sempre rosa, il mio colore preferito a quei tempi, le mensole sono piene di oggetti della mia infanzia: giochi, pupazzi, disegni. Sui cuscini è adagiata la bambola con cui non ho mai potuto giocare, la prendo in mano piano, come se il mio tocco potesse romperla. La guardo ma non mi dice niente, non è mai stata mia, dietro non si nasconde nessuna storia, la lascio cadere ed io, sfinita, faccio lo stesso.

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