Ogni Domanda ha una Risposta

28 6 6
                                    

Ma non è detto che la si voglia

Quel giorno la fisica, dopo aver portato nuove leggi nella mia vita quali "L'attrito non fa miracoli" e "Un corpo in quiete, sottoposto a una forza, accelera", aveva lasciato inaspettatamente spazio alla chimica, con quel caro Lavoisier e la sua stupida legge rovina studenti.

"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma"

E sì, per trasformare la materia bisognava usare molta energia, che non era mai del tutto sufficiente: maledette protuberanze che non riuscivano né a distruggersi né a cambiare un minimo la loro forma troppo sporgente. Avevamo passato più di due ore tra i vari negozi più scadenti che io ricordassi, con articoli che potevano trasformare chiunque, ma anche in quel preciso istante, mentre sbuffavo disperata, quella vocina fastidiosa annunciava il mio totale fallimento.

- Non mi va bene, non ci entro -

Lo aveva detto almeno una cinquantina di volte quel giorno, e circa un'altra cinquantina di vestiti venivano bocciati da me e quel caro sconosciuto che ancora non si era presentato. Nessun progresso, solo un terribile mal di testa e dei piedi ormai ancorati a quel sudicio pavimento.

- Vestiti e andiamocene - Sbuffai io, appoggiata alla parete con la schiena e il piede, mentre giocavo con un ciuffo di capelli scivolato fuori dalla coda sotto lo sguardo attento, e probabilmente esasperato, di quello sconosciuto.

Noia. Disperazione. Consapevolezza del suo caso insalvabile.

Erano stati dei bastardi quei due, che ci avevano lasciati lì senza uno straccio di aiuto, senza nemmeno la briga di presentarci decentemente. Oltre ad aver abbandonato me, provocando un piccolissimo rischio di morte nella loro vita, avevano lasciato anche la loro ruota del carro e una ragazza insicura perfino della sua ombra, che doveva fronteggiare una me molto furiosa.

La tenda del camerino si spostò, e Kat, con gli occhi leggermente spenti, ci superò senza dir nulla.

La seguii, sfilandomi via gli occhiali, e la raggiunsi, seguita dai passi pesanti di quel ragazzo, che, come me, sembrava esser in un punto morto. Cosa potevo fare?

Poi, perché mio fratello mi aveva affidato una cosa simile? Non avevo mai aiutato nessuno, e anche in quel momento non riuscivo a trovare una qualche forma di vantaggio nello sfidare la chimica e nemmeno un valido motivo per dover seguire gli insulsi comandi di mio fratello.

- Prendiamoci una pausa - Proposi, mentre quel silenzio generale era per l'ennesima volta caduto tra di noi, che guardavamo come dei ritardati quei vestiti che avevamo già selezionato, e subito quell'imprecatore incallito di termini comuni annuiva, come quei giocattili dei tassisti appoggiati sul parabrezza. Kat, senza nemmeno un minimo di pugno di ferro o di spirito, concordò flebilmente: sembrava un cagnolino al nostro servizio, quasi la si poteva perfino scambiare per la nostra ombra, quasi temesse il resto del mondo.

Ma in fondo, lei lo temeva veramente. Non lo dava realmente da pensare, anche se la sua insicurezza era abbastanza visibile, ma quel suo sguardo costantemente appoggiato alle punte delle scarpe o la sua tecnica di mimetizzazione dietro agli altri me lo facevano subito intuire. Timida sì, ma soprattutto impaurita.

Forse era per quello che io ancora non l'avevo lasciata lì da sola con ancora quei problemi, perché sapevo cosa significasse aver paura. Ma bastavo altri due negozi che quell'idea si sarebbe subito disciolta come lanciata amorevolmente nell'acido del mio carattere.

Passo dopo passo, con uno schieramento dove io e Tizio (chiamiamolo così, visto che quell'idiota manco si era ricordato di presentarsi in quelle eterne ore di attesa davanti a una tenda) sembravamo i bodyguard di quella piccola e problematica Calibro, ci avvicinavamo alla zona ristorazione di quel maledetto posto di torture, e nulla poteva distogliermi dal desiderio di sedermi su una sedia.

Gravità DifferentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora