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Avevo imparato a cavarmela da sola fin da bambina. Non avevo nessun appoggio se non quello che io stessa riuscivo a darmi e lì, in quegli istanti, in quella metrò la sensazione di essere sola era diventata ancora più opprimente. Quasi mi comprimeva i polmoni.

Scesi ad una delle ultime fermate e non appena risalii in strada, mi resi conto che forse, la mia, non era stata un'ottima idea.

Mi trovavo al di fuori della città, in periferia. Le case lasciavano presagire che il tenore di vita di chi abitava lì non era dei migliori. La gente in mezzo alla strada mi guardava come una minaccia. In effetti, mi sentivo estranea a quei luoghi, non sapevo dove andare o dove trovare un possibile nascondiglio da chi cercava vendetta nei confronti di mio padre.

Erano ormai le due passate e il mio stomaco cominciò a lamentarsi. Presi un piccolo spuntino che avevo in borsa e mi adagiai su una panchina ai bordi della strada.

Non feci in tempo a sedermi che un uomo, un barbone per la precisione, con l'alito impregnato d'alcool e gli occhi rossi e gonfi mi fece strani gesti e, strusciando le parole in bocca, mi intimò di andare via dalla sua panchina.

Mi alzai in tutta fretta e mi allontanai. Non avevo un buon rapporto con la gente ubriaca, anzi, preferivo non averci proprio a che fare.

Mi imbucai in un vicolo abbastanza stretto e umido dove batteva poco la luce del sole e quella strana sensazione quasi pungente sulla mia schiena cominciò a farsi sentire nuovamente.

Ero certa di aver seminato il ragazzo dai capelli biondo cenere, sempre che fosse lui il mio inseguitore, per cui doveva essere qualcun'altro. La zona non era delle migliori e, dati i numerosi bar nei dintorni, qualche altro malintenzionato poteva avermi notata.

La giornata andava di male in peggio. Cominciò a salirmi il panico. Non conoscevo le strade, non sapevo dove andare e la gente di certo non avrebbe aiutato una perfetta sconosciuta.

Il mio inseguitore non doveva essere molto scaltro, poiché lo sentii subito calciare qualcosa di rumoroso. Accelerai il passò, finché non mi ritrovai a correre. Mi voltai e trovai l'ubriaco di poco prima venirmi dietro traballante. Continuava a farfugliare parole senza senso e mi intimava di fermarmi.

Continuai a correre, cercando di svoltare velocemente dietro un angolo, in modo che mi perdesse di vista e sperando al contempo di non imbattermi in vicolo cieco.

Avevo detto che la giornata era cominciata male? Infatti, dopo la seconda svolta mi ritrovai dinanzi ad un muro abbastanza alto.

Mi voltai e dall'angolo svoltò il barbone e con un sorriso poco rassicurante iniziò ad avvicinarsi lentamente.

Come cavolo aveva fatto a non perdermi di vista? Non era in condizioni ottimali, eppure era riuscito a starmi dietro. Non facevo molta attività fisica, anzi, quasi per niente, ma pensavo che la mia giovane età e la mia lucidità mentale mi avrebbero dato un grosso vantaggio e invece mi ero sbagliata di grosso.

Mi intimai più volte di stare calma. Nessuno all'orizzonte. Ero sola.

Mi ero inoltrata troppo e non sapevo nemmeno più da che parte ero arrivata. Ero completamente indifesa in balia di un uomo ubriaco.

Non ero tornata in casa per lo stesso motivo ed in quel momento, per ironia della sorte, non era cambiato poi molto da quel che avrei potuto trovare tornando da mio padre.

Provai a gridare aiuto, ma la voce non voleva saperne. Le immagini di mio padre che mi picchiava e io che urlavo a gran voce pregandolo di smetterla, chiamando mia madre in soccorso, mi affollarono la mente e mi immobilizzarono completamente. Quell'uomo, a differenza di mio padre, poteva avere ben altre idee per la testa e avrei potuto ritrovarmi non solo con dei lividi addosso, ma violata nel profondo.

Il puzzo di alcol e di sporcizia mi invase le narici, disgustandomi e facendomi tornare lucida. Era vicino. Troppo vicino. Feci un grosso respiro e con tutta la forza e il coraggio che avevo gli sferrai un calcio tra le gambe. L'uomo gemette ed imprecò, accasciandosi al suolo.

Avevo qualche minuto, se non solo qualche secondo, prima che si rialzasse.

Lo sorpassai a gran velocità e cercai di dirigermi verso strade più affollate.

Ero completamente allo sbaraglio, finché non mi ritrovai davanti alla fermata della metrò.

Non avevo molte scelte: o tornare a casa o tentare da qualche altra parte, ma nessuna delle due era abbastanza convincente. Avevo bisogno di più tempo e, soprattutto, avevo bisogno di un piano.

Non volevo metterla in pericolo, ma avevo bisogno di rimettere insieme i pensieri e l'unica persona da cui avrei potuto trovare rifugio era Joy.

Tornai a sedermi nella metrò ancora più sconvolta di quando ero salita poco prima.

Guardai le fermate e non appena riconobbi la zona in cui viveva Joy scesi e tornai alla luce del sole. Il vento aveva ripreso la forza della mattina. Sentì raggelarmi perfino le ossa.

Mi avviai verso il piccolo appartamento di Joy. Quando ero più piccola vi ero stata diverse volte insieme a lei e altre volte invece vi ero andata addirittura da sola, scappando di casa e lei prontamente mi riportava indietro, dopo un bel gelato e qualche coccola.

Mi avvicinai allo stabile e salii fino al quinto piano a piedi, dato che non vi era nemmeno l'ascensore.

La porta era socchiusa. Bussai e sentii degli strani mugoli. Così mi decisi ad entrare e mi precipitai nel soggiorno.

La casa era a soqquadro. Sembra aver subito una rapina. I mugolii continuavano insistenti e io mi affrettai verso la camera da letto, dove trovai Joy seduta per terra, imbavagliata, bendata e con i polsi legati.

La liberai subito e lei mi sorrise e mi abbracciò forte. «Joy, cosa ti è successo?» le chiesi, allarmata. «E Louis dov'è?» domandai ancora non vedendo il bambino.

«Ancora all'asilo e, fortunatamente, non era qui» si alzò e si adagiò sul letto. «Sono entrati diversi uomini all'improvviso. Avevano le chiavi di casa, non so come sia possibile. Mi hanno bendata e chiusa in camera. Mi hanno colto alla sprovvista, ero di spalle, non li ho neppure visti in faccia. Stavano cercando qualcuno e pensavano stesse qui. Non ho ben capito chi potessero cercare e perché proprio a casa mia. Mi hanno intimato di non andare alla polizia oppure non avrei rivisto il mio bambino» si portò le mani al viso e cominciò a piangere.

Le circondai le spalle e cercai di darle un po' di conforto, ma non era il mio forte e poi, in una situazione del genere che tipo di conforto avrei potuto darle.

Avevo il presentimento che fosse colpa mia. L'avevo mandata via dalla villa per nasconderle il vizio di mio padre e si era ritrovata aggredita e minacciata nella propria casa. Qualcosa mi diceva che quegli uomini stessero cercando me e le successive parole di Joy me ne diedero conferma.

«Piccina mia, fai attenzione, credo che cercassero qualcuno della tua famiglia, li ho sentiti nominare il nome Wilson.»


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Eccomi Tornata! Più in fretta del previsto. Non riuscivo a non condividerlo già con voi... Questi uomini fanno sul serio u.u e i giochini di Shana mi sa che devono essere un attimino rivisti.

Nota Autrice corta... non voglio annoiarvi e non so cosa scrivere, e cadrei nella tentazione di parlarvi dell'epico finale di Hunger games (e non è nè il luogo nè il caso u.u) se avete voi qualche dubbio o qualche domanda da farmi siate liberi.

Passo e chiudo!


Dark Moon (Versione Demo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora