Ventidue

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Nota Autrice:

Stranamente questa volta sentivo la necessità di scrivere prima la famosa nota autrice (che odio immensamente e evito spesso). Sono giorni che provavo a scrivere, ma nulla voleva venir fuori da questa testolina, eppure sapevo che l'unica in grado di aiutarmi fosse Shana. L'unica in grado di dar voce ai miei pensieri e al mio dolore in questo momento era solo lei.

Mi scuso per non aver aggiornato le storie ma cercherò di mettermi d'impegno e provvedere... la vita spesso ti fa brutte sorprese e ti toglie la forza e la voglia di fare tutto... ma piano piano bisogna riprenderle la dove erano state interrotte

Ma non voglio ammorbarvi, vi lascio al capitolo e a Shana...!

*****

Mi alternavo a momenti di coscienza e altri d'incoscienza. Avevo perso cognizione di tempo e spazio. Dormivo, sognavo, o forse ricordavo, poi mi svegliavo e i pensieri si susseguivano irrequieti nella mia mente non permettendomi più di distinguere ciò di reale da ciò che era solo frutto della mia immaginazione.

Fissavo le macchie di muffa sul soffitto giallognolo, sembrava s'ingrandissero, rimpicciolissero, prendessero forma e iniziassero a correre. Diventavano il volto di un innocente bambino dai capelli biondi, le dita tremanti e gli occhi gonfi di una piccola Shana.

Altre volte invece i timidi raggi di luna che filtravano tra le assi di legno si trasformavano in figure a me più familiari: mia madre, Joy, Sebastian.

Sebastian. Sapevo che in qualche modo mi avrebbe aiutato. Sapevo che sarebbe venuto. Era l'unica ragione che mi permetteva di non impazzire.

La prigionia e la solitudine non facevano che acuire il mio dolore, le pareti vuote stanche e spoglie rispecchiavano le stanze del mio cuore. Avevo sempre sofferto di solitudine, si faceva opprimente e onnipresente nei miei giorni, e in quel momento mi teneva schiava.

Chi avevo intorno? Su chi potevo contare veramente? Nessuno. Anche avendo un telefono a portata di mano, qualcuno cui poter chiedere aiuto, a chi mai mi sarei potuta rivolgere?

Non avevo amiche vere. Non c'erano parenti o amici di famiglia. Mio padre era uno stronzo ubriaco e violento, e mia madre una donna dal cuore glaciale. Joy non l'avrei coinvolta per nulla al mondo.

Sebastian. Forse solo lui. Lui tra gli ultimi entrati nella mia vita. Un estraneo che aveva preso il mio dolore e se ne stava facendo carico. Non mi aveva chiesto nulla in cambio, poteva davvero esistere una persona così? O forse anche lui era solo frutto della mia immaginazione, un miraggio nel deserto intorno a me. Chiusi gli occhi e m'immersi ancora una volta con il viso nella sua camicia. Il suo profumo di menta era prova tangibile che lui c'era per davvero, non era solo un miraggio.

Sognai di essere un fantasma. Passavo in mezzo alla gente ma nessuno realmente mi vedeva, nessuno mi toccava. I vecchi amici ridevano di me. Mio padre continuava la sua folle corsa verso la ricchezza. Nessuno piangeva davanti alla lapide con il mio nome. A nessuno importava di me. La pioggia mi bagnava i vestiti, incollava i miei capelli ad un volto informe. Mi scioglievo sotto di essa, i miei occhi venivano cancellati e la mia bocca prendeva una forma insolita prima di svanire. Ero nulla, ero nessuno...

La piccola Shana tornò a farmi visita quella notte.

Se ne stava rannicchiata ai piedi del mio letto. Aveva freddo e la coperta che le offrì non bastò a riscaldarla.

«È il mio cuore che ha freddo. Tu non puoi aiutarmi» mi sussurò.

«E perché il tuo cuore sente freddo?»

«Perché nessuno mi vuole, perché mi hanno abbandonata e lasciata sola al mondo»

«Ma ci sono io qui per te» le risposi.

«No, tu non sei vera. Io ho bisogno di braccia che mi stringano, di occhi che mi veglino e di mani che mi accarezzino»

Provai ad avvicinarmi a lei per stringerla al cuore, ma come sempre le mie mani l'attraversarono senza toccarla realmente.

La bambina si asciugò gli occhi lucidi e scomparve.

Quella bambina dava voce ai miei pensieri. Quella bambina era la voce della mia coscienza.

Quella bambina ero io.

Quella verità mi colse alla sprovvista. S'intromise violenta tra i miei pensieri. Con la sua potenza devastante mi pervase lasciandomi sgomenta.

Non ero chi ricordavo di essere. Non ero nulla di quello che avevo creduto fino a quel momento.

Io non ero una Wilson.

Allora chi ero? Perché mi avevano abbandonato? Perché non mi avevano amata? Perché ero stata in un orfanotrofio?

La stanza che mi circondava mi rese improvvisamente consapevole. Sapevo dove mi trovavo.

Mi tenevano prigioniera del mio passato. Mi tenevano chiusa nella stessa prigione che mi aveva visto crescere.

Ero di nuovo in orfanotrofio.



Dark Moon (Versione Demo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora