PARTE 1

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APPUNTI DI UNA RAGAZZA


Excursus

Non sono mai stato uno scrittore e tutt'ora non mi ritengo d'esserlo. Preferisco essere reputato un osservatore, un ragazzo qualsiasi, che sbircia da dietro un albero come il corso della natura faccia sfuggire i petali di rosa dalle sue spine. Vorrei poter viaggiare, sfuggire anch'io, consumare al meglio ogni pagina della mia vita, ricercare negli occhi della gente il mio stesso obiettivo e rammentare alla fine del viaggio, il mio fallimento.

A Angela, che ha fatto del mio fallimento l'inizio

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La quotidianità mi si avventa come un treno in corsa, ma sempre sullo stesso binario, ripeto le stesse azioni da molto tempo ormai, senza neppur rendermene conto. Mi ritrovo ogni mattina ad alzarmi presto, anche il viso allo specchio rimane immutato. Passano gli anni eppure nei miei lineamenti, vedo sempre lo stesso fiume di parole che mi ricordano quanto sia tutto così monotono. Una di quelle cose che però non mi stanco di fare è leggere, il lettore non si stanca se ciò che legge è saggio come lui. Le pagine non si girano, ma si accarezzano, quasi fossero le guance di una donna che sfiori per invogliarla a parlare, temendole, temendola. Ci sono mattine che mi sveglio con il sol pensiero di leggere, di continuare quel film che immagino e che sogno, fino a farlo sembrare quasi realtà. Non temo i sogni, purchè ci sia possibilità di avverarli.

Lessi per la prima volta un libro tutto d'un fiato nel 2001, una sera d'inverno, erano da poco passate le 10 e fuori, stranamente, nevicava. Era la tipica serata che passi a casa perché sei troppo pigro per uscire o perché sai che puoi contare su un paio di brani, che ti tengono compagnia tutta la notte con la luce accesa. Erano parecchi giorni che lo avevo portato a casa dalla Biblioteca Nazionale, che sta tra Paseo de Recoletos e Calle de Serrano. Scelsi quel libro per la copertina più che altro. Vi era disegnato un albero enorme, spoglio ma con un colore verde vivo, come a rappresentare la tristezza dell'inverno ma la voglia di vivere tutte le altre stagioni. Purtroppo non riuscì a trovare scritto da nessuna parte il nome dell'autore, né all'interno delle pagine, né sul retro, come se volesse nascondersi al mondo. Lo appoggiai appena tornato a casa sul davanzale della stanza, intento a riprenderlo non appena avrei avuto un momento libero o solamente voglia di immaginare. Passarono i giorni, la mia testa era troppo impegnata a tentare di studiare che mi dimenticai totalmente di lui. La carriera universitaria mi supplicava parte delle mie giornate, se non tutte. Passavo i pomeriggi a leggere brani di poesia e teorie di un certo Jean Piaget, uno psicologo degli anni 20'. Quella sera per fortuna i miei genitori non c'erano, erano andati al Lope de Vega, un maestoso teatro vicino alla Gran Via, a vedere una rappresentazione della vita di Galileo Galilei. Per il giorno seguente non sarei andato all'Università.

La casa era desolata, gli specchi dormivano e si si sentiva solo la neve cadere e muoversi nelle più distinte direzioni che il vento modellava. Nemmeno la lampadina, che di solito ronzava incessantemente, quella sera diede fastidio. Era la miglior occasione per iniziare ad accarezzarlo e così feci.




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