Epilogo

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L'autunno si sta insinuando dolcemente nell' estate. E' una giornata di fine settembre.
E la luce chiara che illumina ma non riscalda, quest'aria fresca che lascia una carezza gentile sulle guance, tutto mi richiama quel giorno d'autunno, in cui Harry Styles entrò nella mia classe.

Quel giorno in cui tutto ebbe inizio.
"Cinque minuti e sono pronta" la voce di Briana mi arriva dal soggiorno un po' sfocata, "Non perdere di vista Freddie , stai attento che non si sporchi"

Osservo il piccolo che sulle sue gambe cicciottelle cerca con sforzo e concentrazione estrema di riuscire a rimanere in equilibrio e contemporaneamente a chinarsi per strappare un filo d'erba in giardino.
Per un bimbo di due anni deve essere un esercizio terribilmente complicato.
Sorrido.

Sono trascorsi dieci anni da quel giorno e non ne è passato uno in cui non abbia dedicato ad Harry almeno un pensiero.
Glielo devo.
Tutti i momenti passati con lui sono segnati nella mia memoria in ogni più piccolo dettaglio, penso che ci rimarranno per sempre, fino a quando morirò.
Indelebili.
Ma soprattutto indelebile è il momento in cui, quell'ultimo giorno, girai la testa colpito da quella voce che lo sdegno e il disgusto l' avevano reso dura e metallica, vidi mio padre.
Non era solo, accanto a lui si stagliavano due figure nere e gigantesche, estranee per me ma non per Harry.
"Jonatan ,Kyle , che cazzo ci fate qui" sibilò rivolto ai due con gli occhi ridotti a fessure.
Uno dei due si avvicinò, mi prese per un braccio quasi di peso e coprendomi con la giacca di Harry mi condusse verso la camera.
Io completamente inebetito, incapace di parlare, sentivo solo gli occhi di mio padre fissi su di me, sulla mia schiena nuda che l'indumento non riusciva a coprire.
Fuori la voce di Harry si alzava sempre più di tono.
"Jonatan chi cazzo ti ha dato il permesso di entrare a casa mia, dì a quel coglione di Kyle di lasciare subito il mio amico e andatevene fuori dai piedi immediatamente"
"Mi dispiace ma sto solo eseguendo gli ordini..."
In quel momento uscii, con i miei vestiti addosso e la mano di Kyle che mi pesava come una condanna su una spalla, Jonatan lanciò un'occhiata a mio padre che era rimasto in silenzio, quasi pietrificato e continuò il discorso interrotto.
"Sarebbe un grave problema se si venisse a sapere di voi due..suo padre ci ha ordinato di sistemare le cose"
"Appunto, sistematele come avete sempre fatto"
Fu in quel momento che mio padre aprì finalmente la bocca, ciò che ne uscì mi sembrò una colata di fango che sporcò ogni cosa bella del mondo.
"Sei un pervertito, la vergogna della tua famiglia.."
All'inizio pensai che si stesse rivolgendo a me, invece stava insultando Harry.
" Tuo padre mi ha raccontato dei tuoi scandali. Sei marcio e putrido come una vecchia carogna. Non so come tu abbia fatto ad approfittarti di mio figlio ma questa storia non si concluderà come tutte le tue storiacce passate. Non sarà sufficiente un po' di soldi per chiudermi la bocca. Tuo padre lo sa, questa volta non potrà coprire le tue sconcezze."
Harry rise.
Si era alzato e rivestito sembrava terribilmente inferocito, con i suoi capelli scompigliati e gli occhi verde smeraldo.
"Non so che diavolo c'entri mio padre in tutto questo, ma posso dirti vecchio imbecille che Lou non è stato per niente costretto a fare ciò che hai visto, lui è consenziente."
Lou,
ancora quel nome sulle sue labbra,
ora non solo in esclusiva per noi, ma esternato al mondo.
Accolsi con uno sguardo fermo gli occhi di mio padre dentro i miei.
Annuii.
Eravamo alla resa dei conti.
In fondo ero contento che fosse andata così.
Io e Harry saremmo stati finalmente liberi di vivere come più ci piaceva.
"Mio figlio non é come te,non sarai mai frocio, io sono suo padre lo conosco, tu lo hai manipolato, non avrebbe mai fatto nulla di simile se tu non lo avessi plagiato. Se tuo padre non ti ferma, ti fermerò io, ti porterò davanti a un tribunale, ti denuncerò per corruzione."
Harry rise.
Di nuovo.
"Ti rendi conto di quello che stai dicendo idiota. Il processo, i giornali, la televisione, uno scandalo terribile. Non avresti più neppure il coraggio di uscire di casa, ne tu ne la tua famiglia. Vuoi veramente rovinarti completamente? Lascia perdere, prendi i soldi che mio padre ti offrirà, anzi ti consiglio di alzare il prezzo, lui tende sempre a risparmiare e poi fatti gli affari tuoi come hai sempre fatto. Io e Lou sappiamo essere discreti, nessuno saprà nulla, come finora è stato."
Jonatan intervenne con voce neutra: "Mi dispiace ma suo padre mi ha ordinato di riportarla a Holmes Chapel , non penso che questa volta sia disposto a chiudere gli occhi, non più"
"Stai scherzando, io non vengo"
"Mi ha ordinato di portarla in ogni caso, le consiglio di vestirsi e scendere con noi, in caso contrario dovremo forzare un po' la cosa"
Un sorriso andò a increspare le labbra dell'uomo, un sorriso di soddisfazione, forse quella di vedere finalmente punito il ragazzino viziato, forse quella di poter mettere le mani addosso al figlio del padrone, davanti al quale fino ad allora aveva dovuto sempre abbassare la testa.
Poi tutto successe così rapidamente che non ebbi il tempo di fare o dire nulla.
Kyle mi serrò in una morsa e mi mise una mano sulla bocca per impedirmi di urlare.
Scendemmo rapidi le scale di sicurezza seguiti da mio padre.
Erano deserte.
Fuori un'auto nera ci aspettava, il guidatore aveva già messo in moto il motore.
Fui gettato sul sedile posteriore, mio padre prese posto di fianco all'autista.
Il viaggio durò forse un paio d'ore, durante le quali urlai, piansi, imprecai, cercai invano di buttarmi fuori dall'auto.
Alla fine quando arrivammo non avevo più neppure la forza di alzarmi.
Mi accorsi di essere stato portato in un ospedale quando due infermieri mi fecero sedere su di una carrozzina, ma quando mi legarono i polsi ai braccioli capii che non doveva essere una clinica normale.
Ci rimasi un anno.
Una clinica psichiatrica dove mi imbottirono di sedativi per dei mesi finché mi resi conto che urlare e piangere non mi sarebbe servito a nulla. Allora agli psicofarmaci subentrò una psicoterapia.
Nessuno venne a trovarmi in quell'anno, nessuno mi scrisse, nessuno mi telefonò.
D'altro canto non avevo telefono, nessun contatto con l'esterno, neppure la radio, neppure la televisione.
Lo psichiatra che mi seguiva e io facemmo lunghe chiacchierate.
Ero stato plagiato, Harry Styles era un personaggio pericoloso, aveva già nel passato suggestionato dei ragazzi, li aveva ridotti a piccoli schiavetti per soddisfarlo nelle sue voglie più perverse.
Così aveva fatto con me.
Non ero omosessuale, non ero un masochista. Ero completamente "normale".
Solo che ero incappato in un essere quasi diabolico che riusciva a corrompere le menti più deboli, chiuse e inesperte.
Tra l'altro fu il dottore a dirmi come eravamo stati scoperti.
Mio padre, appena ero partito per le terme, si era sentito in dovere di contattare il signor Desmond Styles per ringraziarlo.
Il padre di Harry già numerose volte in passato aveva ricevuto minacce e ricatti da parte delle "vittime" del figlio e aveva sempre messo tutto a tacere con elargizioni di favori e denaro.
E così mio padre che nella sua ingenuità voleva solo ringraziarlo per la gentilezza che Harry dimostrava nei miei confronti, prima che potesse esprimersi totalmente, si sentì supplicare di chiudere gli occhi e si sentì offrire una cospicua cifra per chiudere anche la bocca.
Quando Styles capì di essere stato troppo avventato, di aver parlato troppo, ormai il danno era fatto.
Mio padre lo raggiunse a Doncaster e pretese di saper tutto ciò che Harry aveva fatto nel suo pur breve passato.
Comprese immediatamente che tra noi non ci poteva essere una semplice e innocente amicizia, che anch'io ero diventato uno dei tanti con cui il giovane Styles si divertiva e quindi chiese, oltre ai soldi per il silenzio, che ad Harry fosse impedito di traviare altri giovani innocenti.
Devo dire che in quell'occasione mio padre si mostrò all'altezza della situazione: venale e moralista al tempo stesso.
Dopo un anno lasciai la clinica.
Guarito.
Così dissero i dottori, ma io non mi sentivo tale per il semplice motivo che non mi ero mai sentito malato.
I miei genitori non accennarono mai a tutto quello che era successo; quando tentai di parlare, di spiegare, di far capire loro cosa c'era veramente tra me e Harry mia madre mi guardò con aria inespressiva e mi lasciò solo.
" Mi avevano assicurato che tu fossi tornato normale, ma quello che mi stai dicendo mi fa pensare che in te c'è ancora qualcosa che non va. L'unica soluzione è quella di farti rientrare in clinica" mi disse invece mio padre con aria addolorata ma con uno sguardo di minaccia.
Da allora tacqui e non parlai più con loro di Harry Edward Styles e di niente altro.
L'anno della mia assenza fu giustificato agli estranei con una grave malattia.
Ripresi la scuola, lui non si era più fatto vedere, alcuni compagni non lo ricordavano neppure più.
Era sparito durante l'estate di un anno prima senza lasciare traccia.
Chiesi in segreteria dove si fosse trasferito ma le notizie erano riservate e non mi dissero nulla.
Andai al suo appartamento di nascosto. Lo trovai chiuso.
Era assurdo, quei mesi passati con Harry sembravano non essere mai esistiti se non per me.
Di lui nessuno sapeva più nulla.
Cercai persino di telefonare a Desmond Styles ma naturalmente non si può parlare ad un uomo così importante solo alzando la cornetta, non riuscii mai a contattarlo.
Pensai anche di scappare di casa se solo avessi saputo dove andare, se solo avessi avuto anche il minimo indizio di dove lui fosse.
Ogni giorno aspettavo che lui in qualche modo si facesse vivo, mi telefonasse, mi mandasse un breve messaggio, qualsiasi cosa.
Nulla.
Harry Edward Styles era scomparso e fino ad oggi non è più riapparso.
Io penso che alla fine suo padre abbia vinto, di nuovo.
Che lo abbia fatto sparire, non so dove, non so come.
Troppo pericoloso, così senza limiti, senza freni, senza possibili mediazioni.
Sono sicuro che gli è successo qualcosa perché se lui fosse libero, ora sarebbe qui con me!
Due anni fa mi sono sposato con Briana, una compagna d'università, pochi mesi dopo è nato Freddie.
Appena conclusa l'università ho trovato un lavoro che oltre ad un buon stipendio mi dà pure qualche piccola soddisfazione.
Che altro si può chiedere alla vita.
A questa vita perlomeno, quella che ho deciso di vivere, quella che il mondo ha deciso di farmi vivere e a cui io ho acconsentito,
come sempre del resto.
Dopo tutto quello che è successo, non mi è rimasto null'altro da fare.
O forse sì, forse avrei potuto fare diversamente, ribellarmi, non accettare, difendere le mie scelte.
Ma a quel tempo le cose sono accadute in modo così compulsivo che alla fine non aspiravo ad altro che a essere lasciato in pace, ad essere di nuovo guardato come un essere umano.
Sono stato debole, oppure solo realista, non lo so,
so solo che quei pochi mesi con Harry sono gli unici momenti in cui mi sono sentito vivo e paradossalmente libero.
Se non fosse mai comparso forse non sarei mai stato completamente me stesso, avrei finto per tutta la vita, forse sarei stato più felice ma la felicità c'entra poco in tutto ciò.
Ora la mia vita è solo una routine che si trascina giorno dopo giorno, in cui io recito la mia parte come quasi tutti noi.
E cerco di ritagliarmi piccole briciole di tranquillità, in mezzo al dolore.
Ho smesso solo da un pò di accarezzare tutto ciò che mi ricorda il tessuto del mio smoking color panna, perché non credo più che questo possa servire a farmi stare meno male..
Non ho smesso invece di ripetere dentro di me 'ritorna'.
Mentre lavoro, mentre mangio, mentre vivo e mentre mento a Briana, ai miei genitori e a tutto il mondo.
Ritorna per quando mi hai buttato via, per quando mi hai riaccolto, per quando mi hai finalmente amato, per quando sei scomparso, per quel giorno in cui non ho potuto guardarti negli occhi, perché lo stavo facendo ma la voce di mio padre mi ha fatto girare la testa e io rimarrò sempre con questo vuoto, con questa perdita, quella di non aver potuto vedere i tuoi occhi che mi amavano.
A volte la sera, aspetto che Briana si addormenti e scendo in garage. Mi siedo sul sedile dell'auto e accendo la musica.
Ascolto la nostra canzone, la colonna sonora dei nostri incontri, quella che li sottolineava.
Ogni parola corrispondeva per entrambi alla verità.
Io ero il suo *feticcio ,
lui era il mio.
Lui la mia ossessione,
io la sua.
Vi sembra strano?
Vi sembra che io fossi solo uno strumento nelle sue mani?
Un giocattolo da gettare dopo averlo usato?
No entrambi eravamo essenziali e necessari uno all'altro.
Come può sembrare falsa la realtà vista con occhi convenzionali, quelli di chi distingue tra un modo di essere "perverso" e la vita di tutti i giorni, quella che spesso viene considerata "normale", ma che poi, a ben guardare, tanto normale non è: alla fine tutti siamo schiavi di qualcosa o di qualcuno e il più delle volte lo vogliamo noi.
Per lui ho cercato di esprimere il mio amore come una forma totale di accettazione e attraverso i nostri incontri, a volte crudi e brutali, ho dimostrato a me stesso quello che ero in grado di provare ed accettare per amore, ma sempre essendone cosciente e non vittima.
Il padrone seduce lo schiavo soggiogandolo con il suo potere, mentre lo schiavo seduce il padrone ricambiandolo con il suo servilismo...
Lui per me è stato tutto ciò che potevo desiderare e l'unico che mi ha desiderato,
il solo che mi ha permesso di essere veramente me stesso,
quello che avevo sempre negato, di cui mi ero sempre vergognato.
Con lui ho potuto esserlo senza sentirmi responsabile o colpevole.
Dovevo solo ubbidire.
E io per lui sono stato il sogno di un ubbidienza fervida, senza angosce, senza ribellioni,
inerme nelle sue mani.
Per lui l'ebbrezza di avermi senza difesa,
per me quella di abbandonarmi a lui completamente,
sicuro che avrebbe saputo farmi solo quello che desideravo mi facesse.

A volte in giornate come queste penso che se mi affaccerò alla finestra vedrò un auto parcheggiata davanti al mio giardino e lui che mi aspetta appoggiato alla portiera con i suoi capelli ricci fino alle spalle, gli occhi stretti da angelo, quell'espressione selvatica sul viso, la sigaretta tra le mani e le sue meravigliose fossette.
Per sempre.
So per certo allora che uscirei di casa senza neppure voltarmi e me ne andrei con lui.
Il lavoro, la casa, mia moglie e persino mio figlio, niente e nessuno avrebbe il potere di trattenermi.
Perché?
Perché niente mi appartiene e io non appartengo a nessuno.
Guardo gli occhi di Briana, gli occhi di Freddie e scopro lontananze che non conosco, territori dove io non sono ammesso, vuoti che non so e non voglio colmare.
Ma con Harry tutto ciò non era contemplato: io e lui abbiamo vissuto ciò che pochi hanno sperimentato: la completa unione, l'assoluto senza difese e paure, senza dubbi e incertezze, il terribile e completo perdersi uno nell'altro.
A volte lo sento vicino e in quei momenti sono sicuro che lui è da qualche parte e come me sta solo fingendo di vivere in attesa di ritrovarci.
E' questo che aspetto, è per questo che vivo, per poter ancora una volta e per sempre sentirlo sussurrarmi : ciò che io vorrò tu farai, ciò che tu farai io vorrò.

*Oggetto adorato come una divinità presso i popoli primitivi SIN idolo
2 fig. Persona o cosa oggetto di ammirazione esagerata, addirittura fanatica

SPAZIO AUTRICE
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Eccoci qui, la fine.
Non ho niente da dire apparte grazie. Grazie per essere arrivati fino a qui.
Ciò messo anima e dedizione a scrivere questa storia, corta ma  intensa. Non credevo di essere stata in grado di scrivere una Larry eppure eccomi qui. Spero che vi sia piaciuta e chissà magari in un futuro ci sarà anche il sequel, mai dire mai.
E comunque GRAZIE DAVVERO.

Baci, Letstrytowrite.

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