Life

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1: Life

"Di me non c'è granchè da dire: sono semplicemente orfano e ho vissuto la mia vita soprattutto in strada.
Non ricordo nulla della mia famiglia: è come se non fossero mai esistiti, eppure, anche se per poco, ho vissuto con loro.
Probabilmente ero un bambino felice, sa... di quelli che sorridono allegri alla mamma, o che si fanno portare in spalla dal papá.
Chi lo sa.
È come se avessi dimenticato quei cinque anni della mia vita, come se fossi sempre stato in quella topaia che chiamavano orfanotrofio.
La vita lì dentro era un inferno: dovevi lottare ogni giorno contro i più grandi per farti valere e proteggere le cose di tua proprietà; dovevi tirare fuori le palle, se no eri peggio di niente e non avevi nulla.
La scuola era obbligatoria, ma era annessa alla struttura ed ad insegnare vi era una vecchia bisbetica che sapeva solo urlare ed insultare; se sbagliavi anche la minima cosa, ti faceva il culo e poi ti puniva in modo violento, sia a livello fisico che emotivo.
La maggior parte di noi 'ragazzini sfigati e buoni a nulla', come ci chiamava lei, se ne fregava e passava quelle cinque ore a progettare nuovi scherzi o piani per evadere da quel posto.
Io, ovviamente, mi ero adeguato agli altri ed ero anche uno dei peggiori alunni della classe.
La scuola comprendeva solo elementari e medie, che spesso erano in classi unite, mentre le superiori si frequentavano in città: era un modo per dire ' Fate come vi pare, se volete andare bene, altrimenti cazzi vostri, basta che vi togliate dalle palle.'
In effetti era così, dalle superiori potevi fare come volevi, bastava che ritornassi all' orfanotrofio la sera e te ne andassi la mattina.
Dopo scuola i ragazzi più piccoli erano costretti a pulire la casa oppure fare da servetti al direttore e i suoi amici che venivano spesso a trovarlo.
Non voglio pensare cosa facessero ad alcuni bambini in quel lurido ufficio.
Questa vita... non dovrebbe neanche essere chiamata così, ma in ogni caso, non poteva essere vissuta da dei bambini. Era improponibile."
Lo sguardo del ragazzo era vacuo e fissava incessantemente le mani posate sul freddo acciaio del tavolo.
"Eppure era l'unica alternativa che ci era concessa.
O ti piangevi addosso, soccombevi e ti chiudevi in te stesso, oppure ti adeguavi e lottavi, ti facevi valere ad ogni costo, sperando in qualcosa di meglio in futuro.
Ma, comunque, eri rinchiuso lí fino ai diciott'anni e non c'era modo per andarsene.
Intanto, io passavo le mie giornate con gli unici amici che avevo.
Si chiamavano Minseok e Yixing, ma solo io li conoscevo con il loro vero nome: per tutti gli altri erano Xiumin e Lay.
Entrambi erano più grandi di me, ma non m'importava; mi trovavo bene con loro, forse, perché ero sempre stato più maturo del previsto.
La loro compagnia mi aiutava molto, le giornate passavano più in fretta, ma comunque decisamente troppo lente.
Ed io ero davvero stanco di tutto quello.
Avevo quattordici anni quando s' aprì un nuovo capitolo della mia vita.
Stavo per iniziare le superiori e questo voleva dire andare in città.
Finalmente, per la prima volta dopo anni, uscivo fuori da quella prigione, andavo in quel mondo sconosciuto che sognavo sempre la notte e che mi facevo descrivere in continuazione da Xiumin.
Città era sinonimo di libertà.
Cittá era sinonimo di ricominciare.
Cittá era sinonimo di un nuovo me.
Cittá era sinonimo di un sogno che diventa realtà.
Ma cittá era solo un'illusione di tutto questo."
"È qui che hai incontrato quella gang?"
Il ragazzo s' irrigidì, contrasse la mascella, e il suo sguardo s' incupì.
"Parla di loro come se fossero scarti della societá."
"Di sicuro non sono un modello esemplare per i giovani."
"Quella era la mia famiglia!" Urlò il ragazzo in un impeto di rabbia.
"Da quando si giudicano le persone solo per l'immagine che danno all'esterno? Da sempre.
Eppure le persone indossano in continuazione delle maschere, non lo sa questo?
Fidarsi vuol dire abbassare la propria maschera e mostrarsi, aspettando che l'altro faccia lo stesso.
Loro con me l'hanno fatto.
Erano la mia famiglia, tutto ciò che avevo; ero un ragazzino quando li ho conosciuti e loro non erano da meno, ma non mi hanno voltato le spalle; mi hanno accolto come uno di loro e non mi hanno abbandonato."
"Si vede che tieni a loro... hai voglia di raccontarmi questo periodo della tua vita?"
"Preferirei chiamarla esistenza, la vita la vivi... l'esistenza è solo la conferma che esisti ed io credo di non aver mai vissuto, semplicemente sono stato succube di un mondo che non giocava a mio favore."
L'uomo guardò il ragazzo: ogni parola che usciva dalla sua bocca era calma, ma estremamente gelida.
"Comunque... che ho da perdere? Le racconterò qualcosa sulla mia famiglia o come la chiama lei 'gang'.
Entrai nel giro a quindici anni, Lay mi aveva parlato di alcuni suoi amici: mi aveva detto che erano ragazzi come noi, ma che passavano la loro vita in strada, dormendo su panchine o squallidi motel... non mi sembrava così male infondo e così subito m'incuriosii e gli chiesi di presentarmeli.
Erano come me: ribelli, avventurosi, ragazzi che lottano per sopravvivere, giovani rinchiusi in questa schifosa gabbia chiamata mondo.
Eravamo sulla stessa lunghezza d'onda, ci capivamo al volo e quindi non esitai un secondo a diventare parte di quel gruppo.
Da lì iniziò quella che si può definire la mia libertá.
Ma era solamente il luminoso inizio della mia rovinosa fine.
Lasciai la scuola che avevo frequentato per un anno, iniziai a tatuarmi, a bere, a fumare, a spacciare droga...
Non mi pento delle mie scelte, ero arrivato ad un punto di non ritorno: non avevo alternative.
O spacciavo o finivo a fare la puttana come Baekhyun, in un modo o nell'altro dovevo trovarmi dei soldi.
Molte volte ripensavo a Xiumin... cos' avrebbe detto vedendo me e Lay in quella situazione?
Per me lui era sempre stato un punto di riferimento, la nostra differenza d'età me lo faceva vedere come un fratello maggiore, ma anche lui mi aveva abbandonato.
Appena fu maggiorenne partì per chissà dove, senza neanche salutarci; forse anche per questo Lay era diventato un tossico, lui era quello piú legato a Minseok e, da quando questo non c'era più, era caduto estremamente in basso.
Tornando al nostro clan... eravamo in cinque: Kai era il nostro capo, aveva la mia etá ma aveva moltissima esperienza nella vita di strada,poi c'era il suo fidanzato, D.O, Baekhyun, Io e Tao.
Ci bastavamo noi per stare bene.
Sa... furono i cinque anni migliori della mia vita.
A lei potrà sembrare strano: ero uno dei tanti ragazzi alla deriva, che spacciano per vivere e che passano le serate nei pub ad ubriacarsi finchè non vomitano l'anima, ma avevo accanto delle persone di cui potermi fidare e a cui potevo mostrare il vero me, senza essere costretto a tenere determinati comportamenti o a sottostare a qualcuno.
Inoltre eravamo una delle bande più influenti della città.
Gli altri ci conoscevano e ci temevano, non era conveniente mettersi contro di noi e lo sapevano bene... anche se qualche idiota che ci provava c'era sempre, ma era difficile che si rifacesse vedere dopo la sua permanenza all'ospedale.
Solo una banda riusciva ad essere al nostro livello.
Il loro capo si chiamava Yifan, anche se dai suoi leccapiedi si faceva chiamare Kris, ed era davvero un osso duro.
Lui odiava il nostro clan, per il semplice fatto che anche lui in principio ne faceva parte.
Era il fidanzato di Tao, si amavano davvero tanto, ma Yifan aveva sempre avuto il difetto di diventare estremamente violento da ubriaco e, dato il suo debole per l' alcool, questo capitava spesso.
Kai l' aveva allontanato dal gruppo perchè era preoccupato per la salute di Tao, il quale spesso aveva il corpo ricoperto di lividi e a volte anche ossa rotte.
Per questo il nostro clan e quello di Yifan erano così nemici.
Tornando a noi, spesso finivamo in riformatorio, ma dopo pochi giorni uscivamo o perchè quelli fuori avevano pagato la cauzione o per il semplice fatto che quelli che ci controllavano non ci volevano tra i piedi e quindi ci lasciavano andare.
A volte mi capita di pensare a come sarebbe stata un' esistenza diversa, come sarebbe stata una vita, ma vedo solo nero, come se non ci fossero state altre possibilitá e a volte penso davvero che siamo solo schiavi del destino e del tempo che scorre, a volte troppo veloce, a volte troppo lento, e che non siamo neppure padroni delle nostre scelte.
Credo che tutto fosse giá programmato, come se io fossi solo una marionetta nelle mani d' un burattinaio, il protagonista d' una storia che uno scritttore segna su un foglio bianco, macchiandolo con la penna d'una storia avvolta nel buio di un barattro da cui non puoi uscire, come se fossi lo sfogo di qualcuno che racconta la mia storia su un quaderno per riuscire ad esprimersi a lettere e per liberarsi del peso che si porta appresso quando pensa alla sua vita, come a dire 'Sì, c'è qualcuno che ha una vita peggiore della mia.'
E forse è così, forse sono solo uno schizzo mal riuscito ad un artista e la mia esistenza è solo un misto di penna e lacrime incise sulla carta."
Dopo aver detto questo, il ragazzo rimase in silenzio, gli occhi scuri dalla forma allungata guardavano, assorti, il muro al di là della stanza e le dita delle mani picchiettavano sul freddo tavolo d'acciaio, formando una sconosciuta melodia che ti rimbombava nella mente, non lasciandola più.
"Hai voglia di raccontarmi altro?"
Il ragazzo non fiatò e continuò la composizione di quella malinconica musica.
"Come lo hai conosciuto?"
Domanda fatale.
Sehun sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri, fulminò l'uomo con lo sguardo, serrò le labbra in una linea retta e corrugò le sopracciglia, visibilmente infastidito.
"Sappiamo che avevate dei contatti, dimmi tutto ciò che sai."
"Non dirò nulla."
"È il motivo per cui sei qui. Non puoi evitare l'argomento. "
"Glielo ripeto: non dirò una singola parola su di lui." Sibilò con voce tagliente e piena di disprezzo, sbattendo le mani sul tavolo ed alzandosi, in un secondo raptus di rabbia.
L'uomo s' irrigidì: come poteva quel ragazzo rifiutarsi di parlare del motivo per cui era in carcere?
"Ragazzino, ascoltami bene.
La tua vita è stata dura, te ne do atto, ma questo non implica il fatto che ora tu possa rifiutarti di dare spiegazioni.
So che non l'hai fatto per divertimento, avrai avuto una ragione, non so quale, ma so per certo che c'è. Se lo dirai forse avrai anche una riduzione della pena assegnatati dal tribunale."
Il tono dell' uomo era duro e severo, ma questo non si rispecchiava nei suoi occhi, che guardavano Sehun con affetto e compassione.
Voleva negarlo, ma si stava affezionando al ragazzo.
Il giovane sembrò irremovibile all' inizio, nei suoi occhi si leggeva una fiamma di determinazione decisamente difficoltosa da spegnere, ma poi rilassò le spalle e chiuse gli occhi, sedendosi sulla sedia.
"Meriterei di marcire il resto della mia vita in questo posto... ma le racconterò lo stesso cos' è accaduto." Rispose finalmente, massaggiandosi le tempie con le dita.
"Ottima scelta."
L'uomo si sistemò in una posizione più comoda e poi incrociò le braccia davanti a se.
"Parlami di Lu Han."

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