Camminare,correre,volare.

Capitolo quinto.

Ottobre porta con sé una pioggia sottile e malinconica che costringe a stare a casa. 

In piedi accanto alla finestra,Asja non accende la luce,lascia che la penombra della stanza le accarezzi i pensieri sul filo dei ricordi. 

Da bambina,nelle giornate di pioggia,giocava a inventare un padre.

Non l'aveva mai visto,o meglio,se n'era andato troppo presto perché potesse serbare nella memoria l'immagine del suo volto. 

La madre non si era più ripresa e,piena di rabbia e rancore,aveva deciso di cancellarlo definitivamente dalle loro vite: le fotografie erano state distrutte,i suoi oggetti buttati,strappate le lettere.

Non rimane niente di lui.

Nella vita di Asja c'era una parte mancante,un vuoto da colmare. Si studiava allo specchio,osservando il colore dei suoi occhi,la forma della sua bocca,la linea del naso,il colore della pelle,e poi sfogliava i giornali alla ricerca dell'immagine di un uomo che le somigliasse,a caccia di qualche piccolo indizio che potesse svelare la verità. Teneva un quaderno sul quale incollava le fotografie ritagliate e,accanto,scriveva dei messaggi per lui,dichiarazioni d'amore espresse in desideri mai realizzati.

Invidiava gli altri bambini che il sabato,all'uscita da scuola,potevano abbracciare il loro papà e andarsene mano nella mano,raccontando cosa era successo quella mattina. Invidiava le famiglie perfette della pubblicità,che a Natale si scambiavano i regali sotto l'albero ridendo felici. E sperava.

Sperava che, un giorno,lui sarebbe tornato.

I giorni erano passati,uno dopo l'altro. E i mesi. Gli anni. Lei aveva vissuto nel limbo della sua assenza.

Poi,a un tratto,aveva smesso di aspettarlo e tutto era finito. Si era imposto di dimenticarlo e,con il padre,era svanita anche una parte di lei.