Luca Stark

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Quella sera, dopo aver "studiato" con Wright, mi aspettava una cena di famiglia. Una di quelle in cui tutti i parenti, anche quelli che non si pensava di avere, arrivano e fanno domande imbarazzanti sul tuo conto urlando in un ristorante di lusso.

Era un ristorante in campagna, fuori Londra. Arrivammo alle 6 e mezza della sera. L'atmosfera era fantastica. Nella penombra della sera, tantissime candele brillavano sulle finestre del locale, ai lati di un sentiero cosparso di ghiaia, che portava all'entrata. Alberi altissimi si stagliavano nel cielo, frusciando e contrastando con la loro ombra scura i colori del tramonto, senza nuvole, nei quali si vedevano già brillare le prime stelle. Dentro, un brusio di voci, luci, colori. Tante donne dalle acconciature impeccabili e laccate, splendenti di gioielli e nei loro abiti costosi, parlavano le une alle altre, con un drink in mano. Uomini baffuti o calvi, vestiti elegantissimi, discutevano tra loro, lisciandosi di tanto in tanto la cravatta.
Io e la mia famiglia arrivammo al nostro tavolo. Era già riempito per metà, lungo tutta la parete, e pieno di persone di cui ricordavo vagamente il nome.
Mi affioravano alla mente solo i cugini, gli zii, i parenti più stretti insomma. Una donna in vestito verde smeraldo si avvicinò e disse di essere molto contenta di vedermi, che si ricordava bene di me, e che era mia zia di quarto grado. Non avendo la più pallida idea di quale fosse il suo nome, sorrisi. Quella serata l'ho passata in gran parte sorridendo, e chiedendo a mio cugino chi fosse questo, chi fosse quello.
Dopo aver ottenuto il permesso di farmi una passeggiata nel parco, a condizione di rientrare per il secondo piatto, uscii all'aria aperta. Si era già fatto buio, in fretta.
Passeggiavo per i sentieri di ghiaia, pensando a tutte quelle persone di cui non ricordavo neanche più il volto, e sorridendo tra me e me per tutto l'affetto che, nonostante tutto, avevano dimostrato. Quando avevo ormai deciso di tornare indietro, con le labbra blu freddo, scorsi una figura dietro un albero, poco distante da me.
In realtà erano due figure, fuse in un'unica immagine. La ragazza mi vide, e si staccò da quel bacio assurdo, nascosto dal fogliame. Il ragazzo biondo, a quanto potevo vedere, si girò, infastidito.
Luca. Luca Stark. Il solito ex figo e stronzo delle storie. Mai che ne trovassi uno dolce, in vita mia. E pensare che, alla domanda "E il fidanzatino?" della zia di quarto grado col vestito verde avevo risposto "L'ho mangiato". Avrebbe dovuto chiedermi dell'ex fidanzatino, le avrei raccontato molto di più.

Capelli biondi, occhi azzurri, giocatore di pallanuoto, rubacuori, figo. Un solo difetto: menefreghista.
Luca Stark è il ragazzo che ogni ragazza potesse desiderare. Stronzo con tutti, dolce con lei. O almeno così erano le voci diffuse per tutta la scuola.
I suoi hanno un grande amore per l'Italia, e per questo, un nome italiano.
In ogni caso, stavo con lui da un bel po' di tempo. Da un sabato in cui il mio biondo compagno di banco mi aveva rubato la penna, e poi un bacio, di nascosto dal professore di storia.
Era bello stare con lui. Ti faceva sentire protetta, al sicuro, ti faceva divertire, ti portava in paradiso con un tocco e con un altro ti buttava giù. Sapeva scavare nei pensieri, dar vita ai sogni più inimmaginabili. O forse ero io che facevo tutto da sola, e quell'amore che c'era nei suoi occhi era quello che provavo io riflesso. In ogni caso, era bello stare con lui.
Litigavamo spesso, sulle cose anche più inutili. Però lui era lui, e lo amavo.
A scuola si comportava come Elizabeth, come lei ha sempre fatto. Entrambi tendevano (e tendono ancora) a mettersi al centro dell'attenzione, a sminuire gli altri, a sminuire me, soprattutto. Tra loro due c'era una sorta di intesa che faceva venire i brividi.
Era come se per Luca Stark io fossi solo un pensiero, un'immaginazione nella realtà quotidiana. E probabilmente era così.
Avevamo rotto dopo uno dei tanti litigi per nulla. Lui era andato a farsi consolare da Gaie, una ragazza francese della scuola, che da tempo lo riempiva di attenzioni e sguardi. Io non avevo bisogno di essere consolata. Era come se la cosa non mi scalfisse nemmeno, da fuori. E cosí il mio compagno di banco mi rimaneva indifferente, normale, come un semplice conoscente.
Ma non era quella persona a cui pensavo alle 2 di notte, quando ero sola. Era quella persona a cui pensavo alle 2 del pomeriggio, quando avevo tutto. Mi rientravano in testa quegli occhi blu oceano, in cui era difficile rimanere a galla. E a volte mi manca il noi che c'era. Lui ha la sua vita, io ho la mia. E sono felice così, ho imparato a bastarmi. Ma forse, se tornasse, all'impeto di quegli occhi d'oceano non resisterei.

"Ciao" e la sua voce mi riportò fuori dai miei pensieri, come un salvagente.
"Ciao Luca, vedo che hai compagnia... levo il disturbo eh, scusate"
"Hey, mica ho detto che disturbi" e sorrise. Quel sorriso. L'avevo visto tante volte quante l'avevo sognato, e non mi bastava mai.
"Si, ma vi ho interrotti... forse ti conviene tornare dalla tua lady, caro, non vorrei si spazientisse" e con un inchino mi sono girata, e sono andata via. Peccato solo la sua presa stretta sul mio braccio, che mi impediva di andarmene.
"E non mi saluti?" un sorrisetto malizioso, un lampo negli occhi.
"Fatti salutare da lei" ho sbottato, liberandomi e girandomi verso il ristorante, probabilmente per non affogare ancora nei suoi occhi. Lì ci sono stata abbastanza per una vita intera.
"Eddai... tanto Gaie è solo un'amica"
"Intima, a quanto vedo. Luca, non continuare ad illudere la gente, non ti conviene"
"L'unica che ha illuso qualcuno qui sei tu"
E il caos arrivò, in un colpo solo, nella mia testa, scombussolandomi le idee. L'ho guardato negli occhi. Azzurro perso nel blu oltreoceano, decisamente più forte. Eppure, riuscii a sostenerlo. Come tante altre volte, in fondo. E quello confuso, in fondo in fondo, sembrava lui, nonostante avesse causato da solo quello scontro di sguardi.
"Ciao, Luca"
"Ci vediamo, principessa"
Palese, non poteva lasciarmi andare via senza nessun dubbio in testa.

Rientrata nel ristorante, mi sentii seguita a ruota da un rumore pesante di scarpe contro la ghiaia. Mi girai, e l'unica cosa che vidi fu una Gaie in lacrime, prima di essere superata.
La guardai esterrefatta, e la inseguii fino a dentro il bagno. Lì, senza minimamente far caso alla mia presenza, inizió a sciacquarsi gli occhiali, poi tutto il viso. I capelli neri, soffici e boccolosi, le ricadevano sulle spalle, lasciate scoperte dal vestito.
Si girò.
"Cos'hai da guardare?" sgarbata la ragazza, eh.
"Come stai?"
"Male, per colpa tua e di quel fottutissimo ragazzo"
Sospirai. Era sempre colpa mia, in ogni caso, costantemente. Cosa avessi fatto, quello non era dato saperlo.
"Vuoi parlarne?"
Si avvicinò. Gli occhi castani mi fissarono, da testa a piedi, insistentemente. E poi cominció a piangere, di nuovo.
"È perché lui non mi calcola, quando siamo con altre persone. Quando siamo da soli, invece, fa come se fossi la cosa più preziosa al mondo. Ti giuro, non lo capisco, mi lascia sempre il dubbio di valere qualcosa per lui o no"
La guardai un attimo. Il fiume di parole che le era uscito dalla bocca era lo stesso fiume di parole che avevo io in testa, quando stavo con lui. Solo che, ora che non ci stavo più, potevo darle una mano. Gaie era una ragazza dell'altra sezione, mi aveva salutata, in corridoio, qualche volta. E adesso me la ritrovavo davanti, a piangere, seduta per terra in un bagno a caso di uno dei tanti ristoranti della campagna londinese. Strana la vita.
"Oh si, è grave. Sei affetta da una malattia terribile. Si chiama amore."
Ridacchió, tra i singhiozzi. Bene, un passo avanti.
"Gaie, ascoltami. Ti starai chiedendo, e lo so, se Luca è uno stronzo. Se ci tiene a te. Se sarà in grado di proteggerti. E ti dico che la risposta è si, a tutte e tre le domande. È uno stronzo, ma con te è dolce. Se non ci tenesse, non sarebbe con te in questo momento, no? E ti proteggerà, da tutto. Oppure..."
Mi guardó. Le lacrime non c'erano più, era tornata la stessa Gaie che vedevo a scuola, ogni tanto.
"Oppure?"
"Oppure qualcuno dovrà proteggere lui da me" conclusi.
Ci guardammo, complici. Poi scoppió a ridere, mi abbracció e corse fuori.
Ci rimasi un attimo di sasso. Poi mi spazzolai il vestito, alzai lo sguardo e uscii anche io dal bagno, forse un po' più felice.
In fondo, una cosa bella per me, Luca Stark l'aveva fatta.

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