Capitolo uno.

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Non capivo perché la scuola avesse deciso di portarci in gita scolastica in questo posto. Cosa c'è di così emozionante? 

Per il momento ho avuto solo il piacere di vedere un barbone che dormiva su una panchina, una madre esaurita che cercava in tutti i modi di far tacere i suoi tre figli, un cane che sembrava essere sul punto di esalare il suo ultimo respiro e tanti, tanti, vecchietti.

Quale sarebbe lo scopo di questa gita scolastica? Mettere a dura prova la nostra pazienza per due settimane?

E tutto ciò non bastava; saremmo stati in una casa, accolti da una famiglia sconosciuta. Bene.

Diavolo, ho diciotto anni e studio in un istituto tecnico di amministrazione finanza e marketing, cosa faccio a Somma Vesuviana?

Il mio "incarico" -se così si può definire- sarebbe stato quello di lavorare alla cassa di un ristorante, chi non vorrebbe farlo?

Speravo solamente che la famiglia che mi avrebbe ospitato fosse composta da persone normali, simpatiche e magari senza bambini piccoli ed urlanti.

Adoravo i bambini, ma spesso e volentieri mi facevano passare la voglia di averne in futuro. 

"Bene", sospirò Ilaria, la mia migliore amica. "Spero solo finiremo nella stessa casa." Continuò.

Spostai lo sguardo dal paesaggio che si poteva vedere dal finestrino del piccolo pullman, agli occhi della mia amica.

Ilaria aveva i capelli lunghi e biondi, gli occhi azzurri e un corpo da favola; era forse la ragazza più disorganizzata e sbadata che avessi mai conosciuto. Era il mio opposto. Io amavo avere il controllo su tutto, tenevo tutto in modo ordinato e organizzavo sempre ogni singola cosa. La conobbi alla scuola materna, avevamo entrambe tre anni circa e legammo subito, nonostante i nostri caratteri estremamente diversi.

"Se ci divide, quella vecchia, è la volta buona che le stampo un destro in un occhio." 

Ilaria sapeva che non l'avrei mai fatto ed anch'io, in cuor mio, lo sapevo. Nonostante la stronzaggine che mi distingueva da molti e la lingua tagliente, non avevo mai avuto il coraggio di infrangere delle regole. Non ero ribelle.

"Calmati, chihuahua." Rise lei, "aspetta: ci siamo fermati." Esclamò.

"Ottima osservazione, Sherlok." La presi in giro.

"Questo vuol dire che qualcuno scenderà e chissà chi." Potevo avvertire una leggera punta di eccitazione nel suo tono e dovevo ammettere che lo ero anche io, in un certo senso, ma non l'avrei mai ammesso davanti a lei; non ho fatto altro che lamentarmi per il luogo, non potrei mostrarmi emozionata, ma sapevo che se ne era già accorta.

"Russo, D'amico." Ci chiamò la professoressa. "Siete arrivate."

Guardai la mia migliore amica disperata, ero finita con la secchiona della classe: quella ragazza era di una noia mortale.

"Ora voglio vedere che le dai un destro." Ridacchiò, Ilaria.

"Idiota."

"Russo, vogliamo prenderci una tazza di thè?" Quella donna è insopportabile.

Presi le mie valigie, imprecando sottovoce. 

"Chiamami quando scendi anche tu, cretina." Dissi alla bionda.

"Certo, a dopo scema."

Scesi dal pullman, guardando la ragazza vicino a me, che era terrorizzata. Avrei parlato io, già lo sapevo. Dio, Ilaria, dove sei?

Mi avvicinai alla casa, esaminandola. Sembrava grande ed accogliente, una casa tradizionale.

Bussai alla porta ed una donna un po' robusta, con un enorme sorriso, ci accolse.

Beautiful Disaster. || Genn ButchDove le storie prendono vita. Scoprilo ora