Capitolo 3

195 4 7
                                    

Leggo il messaggio quasi in apnea. È di lui, del mio Dott. Zini, che mi ostino stupidamente a pensare come mio, mentre dovrei rendermi conto che mio non lo è mai stato e, molto probabilmente, neanche lo sarà.
"Che brutta avventura! Mi dispiace".
Non so cosa pensare. Sono solo cinque parole, ma le rileggo per oltre un quarto d'ora, come se mi avesse inviato il capitolo di un libro.
Arrivata a casa mi chiudo in camera mia. La mamma non sta affatto bene, ma non manca di chiedermi cosa voglio per cena.
Cosa vorrei...vorrei lui, più di qualunque altra cosa e non riesco a capacitarmi di come possa essermi entrato dentro così.
Mi manca da morire...mi manca il suo sguardo, il suo odore, il profumo della pelle. Mi mancano le sue mani intrecciate alle mie, le sue mani sul mio corpo che vibra per lui. Mi manca la sua bocca, che mi assaggia, mi attira a sé e respira nella mia. Mi manca la sua lingua, morbidamente avvolta intorno alla mia, mentre esplora il mio desiderio.
Stasera mi manca veramente da morire. Potrei fare le cose più insensate, solo per rivederlo un attimo, per stare un po' sola con lui.
È una mancanza che mi fa male, anche fisicamente. Sento un dolore allo stomaco che è privazione, come se fosse divenuto nutrimento essenziale per la mia sopravvivenza.
E mi rendo conto che è diventata una dipendenza fisica e mentale che mi spaventa, talmente è assoluta ed incancellabile.
Mi sdraio sul letto e, forse per la stanchezza dovuta allo stress della giornata, mi addormento.
Il mio però è un sonno agitato, tormentato, fatto di incubi spaventosi che mi fanno svegliare, all'improvviso, di soprassalto.
L'unica cosa che ricordo, al mio risveglio, è la sovrapposizione di più scene in cui compare sempre il volto di Greg, unita all'odore della birra e di altri alcolici.
Sono ancora in uno stato di torpore, quando sento il rumore di più voci provenire dalla camera della mamma.
Mi alzo e ancora con gli occhi semichiusi vado da lei. Ci sono Filippo e la zia Giulia, la sorella della mamma.
"Non puoi continuare così, devi farti curare" dice la zia con tono apprensivo alla mamma.
La zia Giulia è la più grande e si è sempre comportata come una madre con la sorella, anche per la differenza di età.
"Che sta succedendo?" chiedo con tono incerto e aggiungo "perché sei qui, zia?". Ma nessuno sembra considerarmi, perché continuano a parlare come se non ci fossi.
"Se non mi prometti che ti fai portare oggi in ospedale, chiamo il 118 io proprio adesso", insiste la zia Giulia.
La mamma ha il volto sofferente, ma annuisce, promettendo alla zia di farsi portare in ospedale in mattinata.
"Insomma, qualcuno mi dice che succede?" insisto.
"Succede che la mamma sta male, ma non vuole farsi curare" mi dice Filo e per un attimo mi sento crollare il mondo addosso. Una tempesta di emozioni mi si confondono nella testa, stati d'animo che vanno dalla preoccupazione, all'ansia, all'impotenza, all'agitazione...mi sento una stupida, perché in questo periodo non ho pensato che a me stessa, ai miei problemi, anteponendoli a quelli degli altri.
Ora basta, devo ritrovare il mio equilibrio e lo devo fare per lei.
In questo momento ha bisogno di me, più di chiunque altro e non posso abbandonarla al suo destino.
Non posso continuare a piangere e disperarmi per una persona che non mi vuole.
Ora devo esserci per lei, come c'è sempre stata per me.
"Ti porto io, mamma. Ora facciamo una borsa e andiamo" dico con un tono talmente autoritario che tutti si girano a guardarmi, senza proferire parola.
Sono in piedi, in mezzo alla stanza e per la prima volta mi sento una persona diversa, adulta. Solo in un'altra circostanza, solo poco tempo fa, qualcuno mi ha fatto sentire donna, ma adesso non voglio pensarci, voglio accantonare questo pensiero e andare avanti.

Preparare la borsa insieme alla mamma mi riporta all'improvviso al ricovero di Filippo..."Non pensare a Lui...Non pensare a Lui..." mi ripeto nella testa, sperando di darmi più retta di come faccio di solito.
"Avete preso tutto?" chiede Filippo. "Credo di si...noi ora andiamo. Poi ti faccio sapere" rispondo quasi sovra pensiero.
Sto già infilandomi il giacchetto di jeans, quando sento Filo toccarmi la spalla: "ma poi mi dici cosa ti è successo ieri, che sei tornata a casa sconvolta?"
Mi volto di scatto..."già, ieri, Greg..." penso. Tutta questa storia della mamma me lo aveva fatto accantonare.
"Non ora, Filo. Poi ti racconto. È una storia un po' lunga" gli dico.
Ma lui incalza: "Mi ha telefonato prima Jo, per chiedermi di te. Dice che ti ha mandato una ventina di messaggi e non gli rispondi...mica ci sarà di mezzo Zini, per caso?"
"Zini?" mi viene quasi da sorridere, ma vedo Filippo talmente preoccupato, che torno subito seria.
"Stavolta il dott. Zini non c'entra niente...ieri in ospedale ho incontrato Greg...era ubriaco e ci ha provato pesantemente con me. Poi è intervenuto Jo e lui se n'è andato" gli dico tutto d'un fiato, per paura che il coraggio mi abbandoni, lasciando spazio al terrore che mi ha fatto provare e che adesso, al solo ripensarci, rivivo con la stessa intensità.
"Quanto pesantemente? La tua maglietta strappata, dentro l'immondizia...è stato lui?" mi chiede con un tono d'ira crescente.
Sento le lacrime riempirmi gli occhi e abbasso lo sguardo, quasi vergognandomene, bisbigliando un impercettibile "si".
"Bastardo vigliacco" urla Filo, tirando un cazzotto nel muro "io l'ammazzo quello stronzo...è diventato pazzo...si è bevuto il cervello, insieme a tutto il resto che si era scolato?"
"Calmati, ti prego" lo supplico "la mamma non sa niente e ora proprio non mi pare il caso..."
"Hai chiamato Alberto...il maresciallo dei carabinieri...l'amico di nostro padre?" mi incalza.
"Non ancora. Però ci avevo pensato...lo farò più tardi...te lo prometto..." gli rispondo, ma lui mi interrompe: "non lo farai...e lo sai anche tu. E se quello ci riprova? Vuoi farti fare seriamente del male, prima di fermarlo? È chiaro che prova qualcosa di malato nei tuoi confronti...deve farsi assistere, se non è in grado solo...lo chiamo io il maresciallo Alberti...poi ci parlerai tu".
Vado verso di lui e lo abbraccio forte "grazie...sei un tesoro" ed inizio a piangere, più per sfogo che per altro.
"Basta piangere, sciocchina...io ti voglio bene, sai...a volte mi fai arrabbiare ma sei la mia sorellina un po' matta e devo starti dietro..." mi dice ricambiando il mio abbraccio.
"Me lo dice sempre Jo..." dico, asciugandomi gli occhi.
"Cosa ?" mi chiede incuriosito.
"Matta...mi chiama proprio Matta" rispondo, finalmente sorridendo di nuovo.
"Che succede tra voi? Lui mi sembra che ci tenga parecchio a te...è un bravo ragazzo...se non ti interessa, non lo far soffrire...già ne ha motivo per i suoi problemi, ok?" mi chiede con aria da indagatore.
"In realtà non lo so bene neanche io...è simpatico, è divertente, è affettuoso, mi dimostra che mi vuole bene, è sempre presente con me..." dico, un po' vaga.
"Ok, mi hai descritto lui...ma tu? Cosa provi? Ti emoziona? Io quando sono con Maura..." e si ferma un attimo a pensare a lei, ma i suoi occhi sono più espressivi di mille parole...c'è desiderio, passione, amore, trasporto assoluto...e il mio cuore perde un battito, perché la mia mente va a Lui, al dott. Zini, che non mi vuole, che per me non c'è mai, che non mi cerca, che anzi mi evita.
Cerco di liberarmi da questo argomento spinoso: "Filo, ti prometto che ne riparliamo, ma non ora. Devo portare la mamma in ospedale."
"Ok...ne riparliamo. Ma il maresciallo lo chiamo" mi dice, sistemandomi il collo del giacchetto.

Guido fino all'ospedale con la testa che mi fa male. Non so se per aver riparlato con Filo di quanto successo ieri con Greg, se per la mamma, se per il fatto di aver dormito un sonno proprio disturbato...tant'è che sto male. Molto. Mi sento triste e il non doverlo dare a vedere mi rende ancora più malinconica.
Per fortuna il viaggio è corto, perché la porto all'ospedale più vicino a casa.
Intanto passiamo tutti gli step burocratici, finché la mamma non viene sistemata in camera con un'altra signora.
Mentre lei mette a posto le sue cose, io vengo fatta accomodare fuori, perché la sua vicina di letto deve essere medicata. Il reparto della mamma è proprio accanto alla Nursery. La porta è socchiusa, ma sbirciando riesco a vedere un paio di culle trasparenti con dentro i piccoli ospiti, parcheggiate proprio in mezzo al corridoio...forse sono in attesa di essere portati altrove.
Continuo a sbirciare e riesco a vedere tanti adesivi colorati attaccati ovunque, che rendono un po' più allegro il reparto. Delle due culle in corridoio, da quella con la copertina rosa si vedono due piccole braccine che si agitano verso il cielo. "Chissà se un giorno, anch'io..." penso, ma sento la piccolina piangere...sarà meglio che mi allontani da qui, prima che se ne accorga qualcuno.
Mi giro di scatto e mi scontro contro qualcuno, ritrovandomi praticamente tra le braccia di una persona che mi prende per le spalle.
Abbasso lo sguardo, sentendomi avvampare, tra l'imbarazzo di essere stata colta a sbirciare e questo abbraccio inatteso.
Guardando a terra, vedo che la persona davanti a me è un dottore, perché noto il camice aperto, sui jeans.
Sento una specie di brivido percorrermi, partire da quelle mani che mi stanno cingendo le spalle, fino ad arrivare allo stomaco.
Alzo piano lo sguardo e i miei occhi restano fissi nei suoi, quasi increduli. Non riesco a distogliermi da quegli occhi verdi, nonostante non abbia mai desiderato niente più fortemente che allontanarmi da quella situazione tanto assurda quanto inaspettata.
"Cosa fai qui?" mi sento chiedere e resto come inebetita. Lo guardo, ma non riesco a parlare.
"Stai bene?" continua, fissandomi negli occhi, senza lasciarmi le spalle.
"Dott...Zini..." balbetto incredula.
Lui intanto fa scivolare via la presa, lungo le mie braccia, fino a sfiorarmi le mani. Sento una stretta forte allo stomaco e con essa un desiderio forte crescere in me. Quel contatto, così intimo seppur superficiale, mi fa sentire nuovamente voglia di lui, una voglia fisica fortissima.
Ricambio il suo sguardo con un'intensità tale che lo fa allontanare da me di un passo. Non ci diciamo niente, ma l'elettricità che vibra tra noi è potente ed assoluta. È passione, è desiderio, ma anche nostalgia e dolore.
Ci guardiamo negli occhi ed il tempo non esiste più, si scioglie come ghiaccio al sole.
Non siamo qui, non siamo adesso. Siamo solo noi.
Un noi che però non può esistere.
Un noi che è altro da me e lui.
Un noi che ha un piccolo passato.
Un noi che non ha un futuro.
Dei passi in lontananza spezzano la bolla che, per un attimo, ci siamo trovati a condividere.
"Devo andare" mi dice lapidario.
E sparisce, chiudendosi alle spalle la porta della Nursery.
Sento una fitta al cuore...come faccio a dimenticare quest'uomo, se ogni volta che lo vedo mi fa quest'effetto?
Non sono riuscita a dirgli niente.
Ma cosa avrei potuto dire?
"Mi manchi da morire...ti desidero come mai nessun altro...vorrei che fossi mio, solo mio...E vorrei che tu provassi lo stesso per me..."
Non potrò mai dirgli queste cose e, prima me ne convinco, prima smetterò di soffrire...
Ma come si può cessare di pensare a qualcuno?
Non si imbrigliano i pensieri, così come non si può stringere il vento tra le dita, o racchiudere un raggio di sole in un pugno.
Penso ancora a Lui, quando sento il cellulare suonare.
"E adesso?"...

@@@@@
Ciao a tutti, carissimi amici lettori. Sono stata tanto assente, perché l'umore non mi consentiva di calarmi nei personaggi...semplicemente non avevo voglia di soffrire con loro...
ma...per dirla con le parole rubate ad un noto rapper... Eli's back, back again !

ANCORADove le storie prendono vita. Scoprilo ora