Capitolo 3

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Finalmente, il 15 luglio 1990 riuscii a convincerla a venire a casa mia. I miei genitori erano andati nel Massachusetts a far visita a mia nonna malata, mentre io, con la scusa di un piccolo lavoro part time, ero rimasto a casa. Avevo sedici anni all'epoca e la mia fame di sangue era sempre più insaziabile. Mi era capitato più volte, osservando Elizabeth, di sentire il suo sangue scorrere nelle sue vene, come un dolce richiamo. Vedevo le vene pulsare leggermente e occorreva tutto il mio autocontrollo per evitare di tagliare quella pallida pelle. Volevo il suo sangue, lo volevo sentir scorrere tra le dita. Lo volevo sulla lingua, bramavo di sentire il suo sapore avvolgere le mie papille e spandersi nella mia gola. Quel liquido caldo, dal sapore metallico, popolava i miei sogni tutte le notti.

Non mi sentivo pazzo. Per me era assolutamente normale volere il sangue, come per gli altri era normale aver voglia di una birra. Era la mia droga, il mio chiodo fisso. Dipendevo da quei pensieri, da quel desiderio che mi accompagnava costantemente. E sapere che mancava così poco al soddisfacimento dei miei sogni mi rendeva euforico, eccitato. Quella mattina mi ero svegliato con un'imponente erezione, ma non avevo soddisfatto quella voglia carnale. Sapevo che presto avrei raggiunto un piacere più intenso.

Arrivò a casa mia alle quattro del pomeriggio. Avevamo programmato di guardare un film assieme e poi lei mi avrebbe preparato una cena perfetta. Almeno, questo era quello che credeva lei.

Iniziammo davvero con quanto avevamo programmato. Era una di quelle pellicole melense per ragazzine, l'aveva scelta lei e io avevo acconsentito senza troppe storie. Poco dopo metà film, sentii che era arrivato il momento. Il desiderio del suo sangue aveva sovrastato tutto il disgusto per il suo aspetto scialbo.

Mi avventai sul suo collo, nel punto in cui il sangue scorreva più forte. Leccai più volte e morsi, dapprima delicatamente per saggiare la sua pelle, poi sempre più forte, fino a che i suoi gemiti di piacere non si trasformarono in gemiti di dolore. Decisamente più eccitanti. Mi calai i pantaloni e i boxer e, tenendola ferma, ruppi i collant e scostai le mutandine. Poi la penetrai. Le misi una mano sulla bocca, qual tanto che bastava per attutire le sue urla senza soffocarle del tutto. Volevo sentire la sua disperazione ad ogni spinta. Il dolore che la squarciava, la paura nei suoi occhi. Volevo essere io a provocarle dolore. 

La violentai lì, sul divano del mio salotto. Quando finii la lasciai cadere sul tappeto, mentre io mi sisitemavo comodamente sul divano, accendendomi una sigaretta che avevo rubato a mio padre. La guardai. Era a carponi sul tappeto, la gonna ancora sollevata. Le calze erano strappate e le sue trecce erano mezze disfatte, lasciando i suoi orribili capelli scompigliati. Gli occhiali erano volati a terra e ora li stava cercando a tentoni, con il volto rigato di lacrime e deformato in una smorfia disperata. Dalle sue cosce colava ancora il sangue della sua innocenza rubata, mischiato al mio seme. Era il ritratto della disperazione ed era bellissima in quel momento. Mi alzai e mi avvicinai a lei lentamente. Appena mi percepì, gattonò il più possibile lontano da me. Ma non fu abbastanza veloce. La raggiunsi e le spensi il mozzicone su un gluteo bianco. L'urlo di dolore fu immediato ed estremamente appagante. La presi per i capelli e la buttai malamente su una sedia lì vicino, per poi legarla strettamente. Per precauzione la imbavagliai con un tovagliolo rosso, un mio piccolo tocco artistico. A mio parere, quel colore le donava, contrastando con la pelle bianca e i capelli chiari. Chissà come sarebbe stata tutta coperta di rosso.

<<Si sono fatte le sei, non hai un certo languorino anche tu, dolce Liz?>>

La mia voce aveva un tono allegro che la terrorizzò ancora di più. Fischiettando, rovistai in un cassetto della cucina, separata dal soggiorno solo da un muro basso, che arrivava alla vita. Tirai fuori svariati coltelli e un tagliere. Poi la fissai, appoggiandomi all'isola formata dal bancone.

<<Cosa preferisci? Un pezzo di coscia? O del petto?>>

Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi, mentre cercava di dire qualcosa senza riuscirci. Il bavaglio le impediva di muovere la lingua e la bava, che colava lungo il mento, lo aveva tinto di un rosso più scuro.

Mi avvicinai a lei, tenendo le mani ben nascoste dietro la schiena.

<<Sai, io preferisco la coscia.>>

Detto questo, affondai un coltello nella sua gamba.

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*spazio autrice*

Salve a tutti! Grazie per aver letto anche questo capitolo.
Come avrete notato, siamo arrivati nel vivo della storia, dove le fantasie del nostro protagonista iniziano a diventare realtà.
Cosa ne pensate? Secondo voi, cosa succederà ad Elizabeth? Lasciate pure un commento qui sotto, se avete consigli, critiche o se, semplicemente, volete dire la vostra.
Apprezzerei davvero molto avere un vostro parere!
Al prossimo lunedì, buone letture!



Il richiamo del sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora