1. Danzando sulla luna

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Elena rimase per diversi minuti incantata di fronte a quell'atmosfera penetrante che si era creata nel piccolo pub. Di fronte a quegli occhi profondi. Di fronte a quelle voci. Singolarmente, potevano non sembrare nulla di più che delle belle voci, ma insieme... insieme erano pura magia. Le armonie piuttosto semplici su cui si basavano le canzoni, con una base di chitarra acustica anch'essa molto minimale, erano così spontanee da sembrare parte della natura stessa. Come se il buio e le stelle si fossero guardati e, improvvisamente, avessero compreso che non poteva esistere l'universo senza entrambi. Non c'era bisogno di dire molto: erano completi. Gli spazi vuoti e la pienezza del cantato erano fondamentali allo stesso modo.

La ragazza fece caso soltanto dopo la fine della terza canzone al fatto che si trovava ancora nella stessa identica posizione di quando era arrivata. Con la giacca, la sciarpa, il cellulare tra le mani (Il navigatore ancora in funzione), la borsa sulla spalla. 'Sbloccati, Elena' pensò. Mentre i ragazzi continuavano il loro concerto, lei si tolse la giacca e andò ad ordinare una Tennent's al bancone. Dopo di che, con la sua birra in mano, si avvicinò e si appoggiò ad un muro, lateralmente rispetto al piccolo palchetto allestito nella stanza.

Ascoltò con attenzione ogni canzone, alcune erano cover di canzoni abbastanza famose ma tutt'altro che banali, altre non le conosceva proprio. In particolare, la colpì una frase, che le rimase in testa per tutto il seguito della serata: "When I lift off my eyes to the sky, I can see you dancing on the moon". Chissà a cosa si riferiva.

Dopo la fine dell'esibizione, si avvicinò un po' ai due ragazzi, impegnati a smontare la strumentazione. Rimase leggermente in disparte ad osservarli. Non dovevano avere più di 17 anni. Sul palco, però, le erano sembrati quasi a loro agio, come se in ogni caso quello non fosse stato il loro primo live. Non sembravano molto conosciuti nel locale. Infatti, guardandosi intorno in maniera attenta, notò che vi erano poche persone presenti e durante il live non tutti avevano prestato attenzione al gruppo. Eppure erano stati così coinvolgenti.

Dopo un po', decise di andare a parlarci. Avevano finito di sistemare le casse e gli amplificatori, gli oggetti sicuramente più ingombranti, e stavano adesso riponendo le chitarre nelle loro custodie. Avevano un'aria felice e rilassata, quasi sollevata. Con tranquillità rivolse la parola al moro, più vicino a lei. "Ciao, volevo farvi i complimenti. Siete stati molto profondi", gli disse in inglese. Lui le sorrise, ma rimase un attimo interdetto. Un'espressione stupita nacque spontaneamente sul suo volto. "Profondi? Grazie mille, è un complimento non da poco" le rispose lui, sempre in inglese.

"Di dove siete?"

"Siamo italiani, tu?"

"Anche io! Che sorpresa, non immaginavo" rispose Elena, stavolta in italiano.

"Gennà, vieni qui! Senti un po', c'è una ragazza italiana!"

Arrivò anche l'altro ragazzo, il biondino.

"Ciao, piacere, Gennaro", disse sorridente.

"Sembra quasi che non vediate altri italiani da settimane!"

Risero. "Effettivamente è proprio così. Ci siamo trasferiti da quasi un mese e ancora non avevamo incontrato nessun italiano", replicò l'altro. "Comunque piacere, Alessio", aggiunse.

"Oh, tutto spiegato. Come mai in Inghilterra?"

"Per inseguire il nostro sogno", rispose Alessio.

"Che bella risposta, suona molto meglio di quello che rispondo io di solito", disse lei.

Continuarono un po' a parlare, Elena fece loro compagnia mentre riponevano il grosso degli strumenti all'interno di uno sgabuzzino nel retro del locale. Infine rimasero solo con le custodie rigide contenenti le due chitarre. Tornarono dentro e passarono dalla cassa per parlare con il proprietario. Lui diede loro 35 sterline a testa e così uscirono. "Dove vai adesso?" le chiese Gennaro. "Non lo so. Ho passato tutti i venerdì sera da quando sono arrivata in Inghilterra ad esplorare Londra, senza una meta precisa."

Spiegò loro che il luogo dove abitava e frequentava l'università era abbastanza distante da Londra, ma che a lei non importava. E così quella sera presero parte alla sua visita notturna della città. Stranamente, fu lei a fare da guida a loro, anche se nessuno dei tre sapeva dove stava andando di preciso. Erano un po' nella stessa situazione: arrivati lì da poco, in un nuovo paese, pronti a nuove esperienze, con tanti sogni ma anche tante paure. Parlarono tanto: di musica, del passato, del futuro.

"Cosa studi?", domandò Alessio con interesse.

"Antropologia".

"Quindi vuoi andare ad analizzare ossa e sbattere in prigione gli assassini?"

"Non per forza", rispose lei ridendo. "Voglio conoscere le culture, mi interessa l'essere umano. A volte cerchiamo tanto al di fuori di noi, ma per me il vero mistero rimane l'uomo".

Continuarono le loro conversazioni, a volte con momenti di riflessione come quello, ma principalmente scherzando e ridendo. (Alessio e Gennaro avevano finito due birre a testa, nel frattempo).

"Ma tu sei...?"

"Molto stanca. Forse è ora di tornare a casa." Erano le cinque e un quarto del mattino.

Si avviarono a piedi verso la stazione della metropolitana più vicina. Si sedettero sulle scale in attesa che si facessero le 6, orario di apertura della metro.

"Comunque sono Elena e ho 19 anni. Ma voi ce li avete 18 anni, vero? Non penso ci si possa trasferire da minorenni!"

"Ne abbiamo venti", sbuffò Gennaro. "Alè, com'è che tutti mi danno meno di diciott'anni?", appoggiò la testa su quella dell'amico e chiuse gli occhi, una smorfia di insoddisfazione appena accennata.

Si salutarono sempre su quelle scale.

"Voi non venite?"

"No, andiamo a vedere l'alba", disse Gennaro, cercando uno sguardo di approvazione da Alessio, il quale alzò le spalle e guardò Elena con un'espressione del tipo: 'Stavolta lo accontento, mi sa'.

Così sì separarono e lei intraprese nuovamente il suo viaggio della speranza verso casa.


Stavolta in treno prese il suo telefono, dove teneva moltissima musica, ed andò a rispolverare un album che non ascoltava da tanto: Ok Computer dei Radiohead. Si mise le cuffie e lentamente si addormentò sulle note della chitarra di John Greenwood, anche se ripensava ancora alle parole della canzone che l'aveva colpita di più del concerto degli Urban Strangers e che non vedeva l'ora di riscoprire nuovamente.

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Niente commenti da parte mia, spero solo vi sia piaciuto.

Grazie alle mie amiche che mi ispirano con i loro diversi e peculiari modi di scrivere. Voglio emozionare come voi.

(Sapete che sto parlando di voi).

Un bacio,

Mari

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Ultima parte, acustica. || Urban StrangersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora