Quella sera avevo lasciato lo sguardo fuggire in alto verso le stelle e verso il cielo blu notte.
Guardavo in alto e vedevo oltre le mie conoscenze, vedevo oltre la perfezione, vedevo qualcosa che avevo visto mille altre volte, ma per la prima volta lo vedevo con chiarezza.
Non guardavo con l'attenzione di una mente curiosa di sapere, ma con gli occhi di un sognatore curioso di percepire.
Respiravo a fondo l'aria fresca della notte e restavo stupefatta della magnificenza con cui l'universo mi attraeva senza dover parlare o farsi notare semplicemente aspettando lo sguardo di qualcuno che voleva solo guardare.
Non ha mai voluto essere ammirato, né studiato, né amato
stava impegnando se stesso a fare quello che doveva fare.
Quello che potevo fare era stare ad aspettare che l'universo mi rivolgesse lo sguardo più significativo che avesse,
ma il fatto è che esso non era una persona e non poteva guardarmi né sentirmi né vedermi e né rispondere ai miei urli silenziosi in cui gridavo le mie sofferenze.
Così quello che mi restava da fare era tornare a guardare il mio cellulare in cerca di nullità a cui aggrapparmi per non scivolare nell'oblio che avvolgeva la mia mente.
Sapevo che non poteva funzionare,
non potevo essere arrabbiata con l'universo perché avevo creduto che mi potesse aiutare ma in fondo ero stata io stessa a decidere che mi avrebbe dato delle soluzioni.
Non sarebbe mai arrivata la risposta che volevo perché non era la verità, non lo sarebbe mai stata.