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«E se la perquisizione l'avessero già fatta? E se me li trovassi già in casa?»

Ma ecco la sua stanza. Niente e nessuno: non c'è stato nessuno. Anche Nastàsja non ha toccato nulla. Ma santo Iddio! Come aveva potuto lasciare tutta la roba in quel buco?

Si slanciò verso l'angolo, ficcò la mano sotto la tappezzeria e cominciò a tirar fuori gli oggetti e a riempirsene le tasche. Erano otto in tutto: due scatolette, con dentro orecchini o qualcos'altro del genere: non stette ad esaminarli; poi quattro astuccetti di marocchino. Una catenina era avvolta semplicemente in un pezzo di giornale. Qualcos'altro, forse una decorazione, pure in un pezzo di giornale... Ficcò tutto in varie tasche, quelle del soprabito e la tasca destra dei calzoni, l'unica rimasta, badando che si notasse il meno possibile. Insieme a quegli oggetti prese anche il borsellino. Poi uscì dalla stanza, questa volta lasciando addirittura la porta spalancata.

Camminava con passo rapido e fermo, e sebbene si sentisse a pezzi, era cosciente di quel che faceva. Temeva d'essere inseguito, e che di lì a mezz'ora o a un quarto d'ora potessero già dare ordine di pedinarlo; quindi occorreva far scomparire al più presto ogni indizio. Doveva riuscirci finché gli restavano ancora un po' di forze e una residua capacità di ragionamento... Ma dove andare? Aveva già deciso da un pezzo: buttare tutto nel canale, così sparisce ogni traccia e la faccenda è chiusa. Lo aveva deciso già durante la notte, nel delirio, negli istanti in cui, lo ricordava bene, a più riprese era stato lì lì per cedere all'impulso di alzarsi e di uscire: «Sbrigarsi, sbrigarsi e buttar via tutto.» Ma la faccenda si rivelò molto difficile.

Da mezz'ora, o forse più, si aggirava lungo il canale

Ekaterìninskij, e più volte, passandoci accanto, aveva lanciato sguardi furtivi alle rampe che portavano al canale. Ma quanto ad agire, era il caso di pensarci due volte: c'erano, proprio di fianco ai passaggi certi pontoni su cui le lavandaie stavano inginocchiate; oppure c'erano barche all'ormeggio, e dovunque era un brulicare di gente, tanto che avrebbero potuto vederlo da qualsiasi parte, lungo le strade che costeggiavano il canale: desta sospetto uno che scende, si ferma e getta qualcosa in acqua. E poi, se gli astucci non fossero andati a fondo, se avessero cominciato a galleggiare? Senza dubbio sarebbe andata così e tutti li avrebbero notati. Già adesso, incrociandolo, tutti lo guardavano, lo squadravano, come se non avessero altro da fare. «Perché, poi? Forse è soltanto una mia impressione,» pensò.

Infine gli venne in mente che sarebbe stato meglio, forse, arrivare sino alla Neva. Ci sarebbe stata meno gente, minor rischio d'esser notato; comunque sarebbe stato più agevole e, ciò che più conta, era lontano da lì. A un tratto si meravigliò: come mai aveva sprecato una buona mezz'ora a girovagare, tutto triste e inquieto, in quei posti pericolosi?

Come mai non ci aveva pensato prima? Aveva perso mezz'ora buona per una cosa assurda, solo perché aveva deciso così nel sonno, nel delirio! Stava diventando terribilmente distratto e smemorato, e se ne rendeva conto. Doveva spicciarsi ad ogni costo!

Si avviò verso la Neva seguendo il V-j Prospèkt; ma per via, all'improvviso, lo colse una nuova idea: «Perché nella Neva? Perché proprio nell'acqua? Non sarebbe meglio andare in qualche posto molto lontano sia pure di nuovo sulle Isole, e là, in un angolino solitario, in un boschetto, sotto un cespuglio, seppellire tutta questa roba, e magari tenere a mente il posto?» Benché sentisse che non poteva in quel momento, prendere decisioni chiare e sensate, l'idea gli sembro azzeccatissima.

Ma era destino che non arrivasse nemmeno sulle Isole, perché le cose presero un'altra piega: sbucando dal V-j Prospèkt sulla piazza, d'un tratto scorse, a sinistra, l'ingresso a un cortile fiancheggiato da muri senza finestra. Sulla destra, appena oltre il portone, cominciava, e si spingeva lontano nel cortile, il muro senza intonaco e senza finestre del vicino fabbricato a quattro piani. Sulla sinistra, sempre subito dopo il portone e parallelamente a questo muro, correva una stecconata, che proseguiva per una ventina di passi nel cortile e poi piegava a sinistra. Era un posto riparato e solitario che serviva da deposito di materiali. Più in là, in fondo al cortile, s'intravvedeva dietro la stecconata il profilo di una bassa rimessa in muratura, tutta affumicata, che faceva corpo, evidentemente, con qualche fabbrica. Dentro c'era, di sicuro, l'officina di un carradore o di un fabbro, o qualcosa di analogo; tutto, a partire quasi dal portone, era nero di polvere di carbone.

Delitto e Castigo - F. DostoevskijDove le storie prendono vita. Scoprilo ora