Last Theater

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La stessa ideatrice ci informò il giorno stesso del suo grande piano; lo spettacolo avrebbe preso luogo nell'auditorium scolastico e chiunque ne fosse stato al corrente avrebbe potuto partecipare.
Nella classe si sparse una tavolozza di sentimenti: Imbarazzo, emozione, nervosismo. Ogni studente era un quadro a sè ma tutti erano stati dipinti dallo stesso pittore, un pittore invisibile ma non inesistente che imponeva a tutti di portare quel segno di riconoscimento, penso che lo chiamassero "orgoglio di classe".
La professoressa sembrava essere la più variopinta, un caleidoscopio che ci osservava tenendoci in grande considerazione, tanto da sembrare spesso avventata; ma era questo che le permetteva di ricevere la mia udienza. Oltrepassava il mio orgoglio con l'imprevedibiltà, dalla sua voce potevano scaturire solo parole create in quel momento, prevedibili per nessuno su questa terra.
Mancavano solo pochi giorni allo spettacolo, per la classe era come se il pubblico fosse già sulle poltrone, in attesa di vedere un eisbizione degna della Scala. Un nuovo compagno si era unito a noi, era molto cordiale e spesso si alzava per dialogare con quasi tutta la classe. Non gli avevo mai parlato personalmente, ma l'avevo osservato per bene; quelle linee sinuose, quel carisma innato indicavano a pieno indice la sua indole non umana. Non era sgradevole però, anzi si dimostrava molto garbato e cordiale.
Nell'ultimo spazio del registro rimaneva inciso il suo nome:
"Euforia"
Come lo squarcio sulla tela di un pittore, la sigaretta spenta sulla pittura, io stavo a sguardo basso: un lettore onnisciente che non ha più voglia di assolvere alle sue mansioni. Mi limitai ad osservare il gruppo e a rinchiudermi nel mio ambiente scettico e disinteressato.
Alla fine arrivò il giorno della messa in scena.
Quella mattina il tragitto a scuola non fu necessario, la meta era l'auditorium, quell' enorme edificio tanto atipico per una scuola di paese; esso sembrava essere abbastanza grande da contenere tutti gli sforzi e i perfezionamenti che con una sfumatura di leggera fierezza il mio gruppo andava definendo "la scalata al successo". Uscì di casa totalmente in silenzio, camminando non rimaneva che il freddo che attraversava il mio corpo e il nulla delle strade mattutine.
Giunto lì, entrando, notai che molti attori fremevano con i copioni in mano per l'ultima volta aspettando il loro momento di gloria. Non c'era ancora nessuno spettatore, solo una marea di sedie, uniche giudici delle prove generali. Durante lo svolgimento di tali prove ogni scena fu recitata a dovere, impeccabile da tutti i punti di vista. Il nostro atto era centrale, sulle nostre spalle non gravava né un buon inizio né una degna conclusione, il che rendeva tutto il gruppo un po' più tranquillo. La nostra esposizione si dimostrò all'altezza delle altre; i due protagonisti brillavano di felicità talmente tanto da stonare quasi con la tipologia del romanzo. Non appena finiti gli stretti preparativi il pubblico iniziava ad entrare, gremiva la sala come il letto di un fiume in piena; alunni, professori e addirittura passanti prendevano posto nell'immenso spazio davanti al palco.

"Mettiamo gli ultimi ritocchi a questa storia e vediamo di chiudere"

Essendo il narratore non mi restava che aiutare da dietro le quinte senza mettere piede sul palco, sarebbe bastato scandire bene la voce e seguire il testo.

"Finalmente il nostro turno"

Gli attori dovevano prendere posto dietro le quinte per poi entrare in scena, tutto sembrava filare liscio fino a quando non mi soffermai su quel cuore tanto mutato nel tempo. La "Sicurezza" stava sparendo lasciando posto al fragile stato inziale, si stava manifestando nuovamente quel misto di paura ed insoddisfazione. Riuscivo a leggerlo dai suoi occhi:

"Davvero termina così?"

"Dopo tutto ciò non avremo più modo di stare insieme"

"Non voglio un finale del genere"

Le mie convinzioni si sgretolarono alla sola vista di tale cambiamento e con loro andava cadendo anche la mia corona; ma fu in un attimo che la situazione si ribaltò. Vidi d'un tratto il cuore vitreo avere un leggero fremito e il corpo del capoclasse avanzare bruscamente. Una leggera spinta, un movimento involontario fatto da me come involontarie furono le parole che gli dissi; si era scoperta una parte nascosta di me che riempì la mia mancanza.

"In fondo hai una sola possibilità no?"

"Vai e dimostragli cosa provi"

Gli tolsi il copione di mano e dopo avermi guardato si diresse verso il palco. Romeo era lì in quel momento, mostrava appieno il suo amore per Giulietta senza risparmi di alcun tipo. L'inchiostro appartenuto alla penna di Shakespeare gli scorreva nelle vene ; lui non era più un attore, lui era il diretto vivente di quelle azioni. Tutto quello che gli rimaneva era contenuto nelle battute di quella recita, le quali prendevano forma propria senza però essere totalmente indipendenti.
Noi non avevamo sulle spalle né un bell'inizio né una degna conclusione, quella non fu una recita. Era tutto vero, tutto lì, succedeva per la prima volta in quel momento senza finzione o atti, un amore inaspettato che prendeva forma da una bolla per poi avanzare e arrivare alla realtà. Il pubblico scompariva coperto da un manto silenzioso e l'intera sala cessó di esistere per tutta la durata dell'atto. Solo dopo l'ultima battuta di Giulietta ogni singolo spettatore realizzò di essere lì ed una volta fatto questo fu il silenzio a sparire, soffocato da un infinità di applausi.
Gli umani sono creature imprevedibili, eccellono nell'egoismo e spesso sfociano in atti peccaminosi; ma vedendo l'egoismo di un tale Romeo sono sicuro che nemmeno una divinità sarebbe stata in grado di proferire parola negativa su di lui.
Era lì sulla soglia delle quinte, saliva le scale per andare sul palcoscenico, aveva ricominciato a camminare, a seguire i passanti, a rompere la barriera del presente per passare al suo sconfinato futuro.

"Quindi anche una storia cosí semplice può cambiare..."

L'intero spettacolo ci tenne occupati fino a sera, fui uno dei primi ad uscire e decisi di osservare per l'ultima volta quel cuore; dalla sostanza vitrea si espandeva un filo rosso incandescente che andava a collegarsi al cuore della sua Giulietta. Questo finale alternativo, imprevisto, mi lasciò la testa piena di domande; alla radice delle quali c'era la più strana:

"Perché gli ho detto quelle cose?"

Decisi di passare dal parco che visitai il primo giorno e una volta giunto lì pensai di aver sbagliato strada. La mancanza di qualcosa che mi distraesse, il paesaggio che scorreva nuovamente davanti ai miei occhi: il freddo dominava dispotico e gli alberi si inchinavano al sovrano del nord. La nebbia leggera conferiva un che di malinconico e misterioso. Essa era in grado di fermare il tempo, anche se solo all'apparenza. Durante quel lasso eterno e inesistente una mia parte sconosciuta si manifestò un' altra volta a me come fantasma.

"Davvero stai facendo tutto questo solo per te?

"È davvero tutto qui?"

La mia risposta non tardò ad arrivare:

"Non ne servono altri come me"

Lo spettro svanì lasciando solo un lieve sorriso.

"Sei davvero troppo buono"

"No, sono solo un umano veramente egoista"

Mi incamminai verso casa sotto lo sguardo di un cielo che sembrava illuminare la mia corona arrugginita e le mie ali lucide.

Storia Di Un Corvo A Cui Spuntarono Piume BiancheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora