Ero sdraiato lì da non so quanto tempo. Gli occhi stentavano ad aprirsi e gli arti faticavano a muoversi. I miei capelli, ironicamente neri, si impigliavano nella sabbia come petrolio. Persino il mio più lieve respiro veniva tramutato in leggere bolle. Esse andavano verso l'alto, un posto a me sconosciuto, un eden senza forma nel quale risuonavano note di pianoforte che venivano distorte dalle onde. Una melodia cosí familiare, ascoltata talmente tante volte da essersi ormai erosa con il tempo; mi sembrava quasi di vedere gli spartiti, ingialliti al terreno e strappati da quell'assurdo guidatore d'orchestra che è il tempo .
Le bolle trasportavano con loro i miei pensieri:"Dove sono?"
Una lacrima, ormai erosa, scivolava sulla mia guancia.
"Perdonami ti prego..."
Con tutta la forza che avevo misi la mia mano davanti alla bocca per analizzare la situazione. L'ossigeno era passato tra le mie dita e si era liberato tanto facilmente quanto quelle insensate parole.
L'ultima cosa che vidi con i miei occhi, ormai quasi socchiusi dalla fatica, fu la superficie dell'acqua. Notai chiaramente un bambino; stava ad osservare il fondale con occhi accesi e curiosi, come alla ricerca di un tesoro. Al suo fianco apparve una sua piccola amica che finì per imitarlo assecondando il suo silenzio. Ci fu un solo scambio di battute tra di loro, le loro voci non arrivavano a me, così mi affidai alle labbra:"Promessa... futuro..."
Fu tutto quello che colsi.
La ragazza sorrise piegando leggermente la testa e lasciando scoperto l'orecchio destro, portò le mani dietro la schiena e soffiò dolcemente sul naso del ragazzo. Lei, infine, corse via in maniera euforica. Il ragazzino la assecondò mostrando un'espressione quieta e serena per poi seguirla verso la fine della spiaggia.
Da quel punto non riuscì più a resistere allo stato di sonnolenza e mi abbandonai a Morfeo. Riaprì dolcemente gli occhi per la seconda volta. Non c'erano più né sale né sabbia ma solo un edificio. Sembrava una costruzione molto antica, dallo stile ottocentesco e sfarzoso; immerso nel rosso e nel velluto. Io ero in piedi davanti a una finestra che dava su una piccola sala, era arredata in maniera leggermente più austera; presentava pareti e muri in legno, dominavano i colori castani. All'interno vi ritrovai quei due bambini. La ragazza stava seduta su uno sgabello estremamente raffinato e troppo alto per lei. Muoveva in maniera giocosa le gambe per enfatizzare il suo essere piccina e osservava con fare esperto l'enorme strumento che si stanziava davanti a lei. Una tastiera lucente, un colore nero sfarzoso, una minuziosità nei dettagli a dir poco maniacale: il miglior pianoforte che abbia mai visto. Esso recava una incisione in oro posta sulla parte frontale dello strumento. Al fianco della ragazza, tranquillo ed allegro, siedeva il ragazzino. Una seggiola per due persone. Il loro innocente senso di condivisione li faceva sembrare bambini qualunque ma quella sensazione fu sfatata dal primo appoggio delle dita sulla tastiera. La bambina dominava fluidamente le redini del piano che sembrava quasi affogarla nella pece. L'amico rimaneva lì a fianco, chiudendo gli occhi e assaporando quella melodia che pervadeva la stanza. Sembrava tutto così lento, un frammento di infinito a cui avevano accesso i due infanti e l'osservatore corvino. Stavo lì in piedi ad ascoltare, guardare, non avevo fatto altro fino a quel momento. La confusione più totale si generava nella mia testa e il solo chiudere gli occhi faceva apparire davanti a me un quadro astratto e contorto della situazione. Una forte fitta colpì la mia testa. Posai il palmo sulla fronte e cominciai a gridare dal dolore, era come se qualcuno stesse facendo pressione sulle mie tempie. Afferrai il capo con entrambe le mani e rimasi in ginocchio per qualche secondo. Allontanai la mano destra dal viso e la guardai."Lacrime... nere?"
"Cosa significa? "
Mi appoggiai al davanzale della finestra in cerca di riposo; la stanza era ormai svuotata e il piano era malridotto e pieno di polvere. Osservai il mio riflesso nel vetro.
"Che mi succede?"
Vidi un essere stravolto, distrutto dalle emozioni. Esso versava lacrime amare da entrambi gli occhi. Dall'occhio destro usciva dell'inchiostro e da quello sinistro bianche gocce di neve.
Un urlo ancora maggiore squarciò l'aria e la casa crollò in pezzi lasciando solo un piccolo corpicino tra le macerie, ignaro, indifeso e posto in piedi; esso dava le spalle al mio corpo. Io ero ormai accasciato sul terreno in attesa di perdere i sensi, il dolore continuava a martoriare la testa e la vista si faceva sempre più offuscata. La bambina, che emergeva dalle macerie, si voltò verso di me e non disse nulla, non sorrise, non si mosse; si girò solamente per fissarmi come avevo fatto io, assistendo alla mia agonia."Promessa... futuro..."
Gli ultimi pensieri lucidi di quella follia...
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Storia Di Un Corvo A Cui Spuntarono Piume Bianche
Short StoryUn corvo, forse la creatura più ripudiata del regno animale: meschino, approfittatore, crudele ed egocentrico. Persino in mezzo ad un gruppo di simili è disposto a ignorare gli altri per il bene personale e ostenta con veemenza la sua fierezza, come...