IV - Pensieri pt. 2

212 34 13
                                    

FEBBRAIO

Piper entrò nella stanza e spalancò le finestre.
La luce invase la camera, come piaceva a me.
Avrei voluto ringraziarla, ma ovviamente non potevo farlo.
Si sedette accanto a me, le gambe posate sul mio letto.

- Allora, Annabeth, ti decidi ad aprire gli occhi?- disse, cercando di mantenere un tono allegro, ma le si spezzò la voce.
- Mi manchi, Ann, mi manchi da morire...

"Anche tu, Pip, anche tu. Mi manca vederti ridere, passare i pomeriggi a guardare serie tv con te. Mi manca la scuola, mi manca il mondo. Mi manca la vita."

Ero mezza morta in quel letto da più di due mesi.
Avevo la dannata voglia di urlare al mio cervello di fare qualcosa.
Di riaccendersi o di spegnersi del tutto.

MARZO

Un pezzo di musica classica partì a tutto volume.

- Buongiorno, Annabeth!- esclamò Meg.

Da quanto avevo capito, Meg era un'anziana infermiera un po' troppo affettuosa che si era affezionata particolarmente a me.
Trascorreva nella mia stanza almeno un paio d'ore al giorno, chiacchierava, guardava la tv, accendeva la musica, leggeva per me...
Dopo Piper, era la migliore compagnia che potessi desiderare.

- Sai, Annabeth...

Meg si lanciò in uno dei suoi racconti del passato, una di quelle storie mitologiche che, pur avendole già sentite decine di volte, continuavano ad appassionarmi.

APRILE

Sentivo la primavera nell'aria.
Era una sensazione strana...
Potevo percepire ciò che accadeva intorno a me, ma non riuscivo a reagire.
Era... frustrante.
E la primavera acuì la malinconia.
Piper mi faceva visita sempre più raramente; anche lei, con il suo sorriso ottimista, cominciava forse ad avere dei dubbi.

Mi sarei mai risvegliata?

MAGGIO

Piper mi stava rileggendo il Signore degli Anelli, quando ripensai per la prima volta a mio padre.
Mi chiesi come stesse.
Probabilmente era nelle mie medesime condizioni, poiché non era mai venuto a farmi visita.

Nemmeno per un momento mi sfiorò l'idea che potesse stare peggio.

GIUGNO

Ho già detto di essere una persona molto razionale e di non credere in fantasmi, visioni e presenze ultraterrene.

Ma non avevo mai sofferto di allucinazioni, quindi ciò che successe quel giorno doveva essere un effetto collaterale della mia quasi-morte.

Sentii la voce di mia madre.

Avevo otto anni quando successe.
Ricordo troppo poco di lei, e di quella notte.

Aveva i capelli scuri, che teneva sempre legati in una morbida coda bassa.
Gli occhi grigi, tempestosi, quell'aria terribilmente intelligente e terribilmente... antica, come se avesse vissuto per secoli e fosse ormai stanca della vita.
Era una donna bellissima, energica, e nonostante tutto riusciva a sorridere molto spesso.

Poi, una mattina, trovammo un biglietto.

"Annabeth, é stato un grave errore restare con te così a lungo. Ma sei la mia bambina, non potevo permettere che ci separassero. E ti ho messa in pericolo, con il mio comportamento irresponsabile. Sto facendo, sto cercando di fare la cosa giusta per te.
Per il tuo futuro.
Spero che ci rivedremo.
Anzi. Ne sono convinta.
Ti voglio bene, Annabeth.
Con amore, mamma"

Mio padre non era sembrato sorpreso.

Aveva afferrato la lettera destinata a lui e l'aveva letta, seduto sul divano, senza mostrare emozioni.

Ero riuscita a scorgere solo le prime parole, "Per Frederick. Sapevi che sarebbe successo. Scusami", e le ultime, "Dille la verità, quando sarà in grado di capirla. Ti amo ancora come il primo giorno. A."

Inutile dire che mio padre non mi parlò mai di nulla.
Nemmeno mi spiegò perché se n'era andata o perché si firmava "A", pur chiamandosi Rose.

Avevo trascorso anni a rimuginare, senza trovare una risposta.

Poi, quel giorno, la sentii.

Dapprima fu solo una sensazione.
Come se qualcuno mi stesse osservando dall'interno della mia mente.

"Annabeth..."

Credetti di sognare.

D'improvviso ricordai la sua voce, il suo sorriso, le storie della buonanotte.
La sua assurda fobia per i ragni...

È incredibile come una parola possa suscitare in noi sentimenti che avevamo dimenticato, che credevamo scomparsi, sopiti, sepolti sotto una coltre di anni passati, di vecchi rancori e di giornate trascorse sotto il sole caldo.

"Mamma..."

Non so come, ma parlammo a lungo.
Non come madre e figlia.
Non come due persone che non si vedevano da anni.
Piuttosto come due compagne di college, che condividono gli stessi interessi.
Non ci furono accenni al passato, a lei, o al presente, a me.
Solo una conversazione intellettuale su argomenti che spaziavano dall'arte alla fisica nucleare.

Era bello parlare con mia madre.

Teach me to live againTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang