Capitolo 1

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Sono solo le due del pomeriggio di una calda giornata d'estate. Sono appena uscita in macchina per prendere una boccata d'aria perché il ragazzo della mia amica, nonché coinquilina, ha deciso di sbatterla al muro della sua stanza davanti a me. Stare lì mi sembrava una scelta troppo imbarazzante ma anche ridicola,non avrei fatto altro che sentire i gridolini di lei e i colpi che... Basta!

In effetti uscire un po' mi fece bene. Soprattutto dopo che il condizionatore della nostra casa si ruppe. Almeno quello della mia macchina funzionava bene. 

Mi ricordai di dover passare da mia madre dopo che mi inviò un messaggio nel quale diceva che le mancavo,che la casa senza di me non era più la stessa e bla bla bla. Non è che non mi fa piacere farle visita, anzi! Dopo quello che successe con mio padre non posso biasimarla, ha bisogno un po' di compagnia e quale compagnia migliore della sua unica figlia femmina. Mia madre partorì tre figli con parto naturale (ahi,che dolore!) io sono l'ultima figlia. Mia madre voleva a tutti i costi una figlia per poter fare tutte quelle cose che ogni mamma sogna di fare ad una femminuccia. Ma mio padre le ricordò che dopo due tentativi, il terzo poteva essere in un certo senso di nuovo fallimentare. Ma lei insistette ed eccomi qua. Una ragazza di un metro e sessanta con capelli castano chiaro che poggiano sulle spalle e occhi scurissimi ereditati da mio padre. Sono l'opposto dei miei fratelli, loro sono biondi con occhi o verdi o azzurri ereditati da mia madre e dal padre di lei (mio nonno). 

Quando mia madre scoprì di avere una femminuccia in grembo organizzò una festa così grande che tutti i parenti e dico tutti quanti furono invitati.

Entro nel vialetto di casa e quando scendo dalla macchina mi rendo conto di non essere ben vestita. Indosso pantaloni grigi di una tuta e una maglietta bianca,il problema è il seno. Cioè non proprio il seno, la mia quarta mi piace, il problema è che ho indossato un reggiseno nero di pizzo che si nota da sotto la maglietta. Non faccio caso di portare delle converse quando mi ritrovo davanti la porta di casa, suono il campanello perché le chiavi le ho dimenticate a casa.

Dopo circa quattro secondi apre la porta mia madre. È come sempre bellissima con un grembiule che usa solamente quando prepara le torte, i capelli sono biondi legati in una coda di cavallo, il trucco è perfetto su quegli occhioni azzurri che si riempiono di gioia quando mi vede. «Teresa!» esclama in un sorriso che arriva immediatamente agli occhi.

«Ciao mamma!» l'abbraccio forte e capisco subito che mi è mancata tantissimo, quel profumo, quelle braccia che tante volte mi hanno stretta per consolarmi. Mi stacco dall'abbraccio le sorrido. «Ti trovo bene, che stavi facendo? Mettevi a soqquadro la casa con le teglie per le torte?» dico dando una sbirciatina verso la cucina.

Lei alza gli occhi al cielo e sorride di nuovo.«Entra e aiutami, invece di startene qui a blaterare.» Chiudo la porta e ci rechiamo in cucina. Sento il volume della tv e una musica rock che proviene da una delle stanze da letto di sopra. «Chi c'è qui con te?» chiedo mentre mi siedo sull'isola della cucina. Casa mia mi è davvero mancata. Adoro sentire il profumo di cose buone da mangiare, il divano pieno di cuscini che adoro buttare sempre per terra, adoro anche sentire l'odore di detersivo per la casa e vedere che ogni cosa è al suo posto. Mia madre è così tanto ordinata che se vede la sedia della scrivania spostata di qualche millimetro si imbestialisce. «I tuoi fratelli Jase e Harold sono di sopra a giocare con dei videogase o roba così.»

Sgranocchio qualche nocciolina che trovo sopra il bancone. «Videogame mamma, videogame.»

Mi scocca un'occhiata e poi ritorna a cucinare. Decido di salire sopra per salutare quei due giganti. Jase è più alto di me, muscoloso e un top model, e lo stesso posso dire di Harold, sembrano davvero due gemelli ma in realtà hanno un anno di differenza. Quando entro in corridoio la prima porta che mi ritrovo sulla destra è la mia stanza. Sono indecisa se aprire o no ma alla fine mi concedo almeno tre minuti per dare un'occhiata. Apro la porta e mi rendo subito conto dell'errore che ho appena fatto. La camera è come me la ricordavo,ordinata come sempre e gli scaffali sono strapieni di trofei e medaglie che ho vinto giocando a pallavolo. Mi sale una fortissima malinconia ricordando tutti quei momenti felici. Poi entrando nella stanza i miei occhi cadono su un riquadro di famiglia. Sono stretta a mio padre con un sorriso da un orecchio all'altro, mia madre invece abbraccia tutti i miei fratelli che fanno ognuno della smorfie diverse. Mi ricordo di quel giorno. Eravamo andati in pizzeria per festeggiare l'anniversario di matrimonio dei miei genitori. Vedendo gli occhi di mia madre vedo solamente la più totale felicità, vedendo gli occhi di mio padre, invece, vedo solo due occhi cupi. A vederlo soltanto anche in una foto mi vengono i bridivi, distolgo lo sguardo da quella foto e mi accorgo di avere gli occhi appannati dalle lacrime. I miei genitori hanno divorziato molto tempo fa e credo che sia stata la scelta migliore per entrambi e anche per noi figli.

«Sei uno stronzo! Hai barato!» urla mio fratello Jase dal corridoio.

Harold risponde calmo: «Sei tu che non sai giocare,coglione.» Dalla voce riesco a capire che sono vicini, mi asciugo le lacrime in fretta, non possono vedermi piangere, non possono.

«Teresaa!» Mi giro e vedo Jase correre verso di me con un sorriso bellissimo che somiglia tanto al mio.

«Ehi, fratellone!» quando arriva da me mi alza da terra e inizio a ridacchiare mentre mi stringe forte. Dentro le sue braccia sono piccolissima.

Quando finalmente mi posa per terra Harold imita il saluto di Jase, solo che questa volta i miei piedi toccano il pavimento.

«Ehi, aspetta.» Jase mi mette due dita sotto il mento e mi fa girare per guardarlo negli occhi. Vedo i suoi occhi azzurri che mi scrutano per poi dire le famose parole. «Hai pianto.» sussurra.

«No, non ho pianto, sono solo felice di rivedervi» mento. E stranamente se la bevono entrambi. Dopo il giorno più brutto della mia vita la mia famiglia, specialmente i miei fratelli e in particolar modo Jase, odia vedermi piangere, li fa soffrire troppo.

«Spero per te che sei venuta per vedere noi e non perché la mamma sta cucinando la tua torta preferita.» dice Harold con un sorriso che arriva subito agli occhi.

Lo guardo con la più totale innocenza. «Torta? Quale torta?» stavolta capiscono che mento e in risposta Harold mi carica su una spalla e inizia a scendere le scale per andare in cucina. Sto ridendo cosi forte che il volume della televisione sembra messo al minimo. «Piccola bugiarda!» dice.

«Ehi, metti subito giù tua sorella!» urla mia madre dalla cucina.

Lui obbedisce e non appena scendo gli do un buffetto sulla guancia facendolo ridere. Ci incamminiamo verso la cucina e Jase mi posa un braccio attorno alle spalle. «Mamma, perché non ci hai detto che Teresa stava arrivando?»

Guardai mia madre aspettando la risposta. Non sapevo che non aveva informato i miei fratelli. Prima di arrivare qui le avevo mandato un messaggio informandola. «Perché ho letto il suo messaggio poco prima che suonasse il campanello.»

Jase fa una smorfia. «Suonare il campanello? Hai perso le chiavi?»

«Cosa? No! Solo che la mia coinquilina..» mi fermo per non raccontare loro cosa è successo, sarebbe alquanto imbarazzante dire loro davanti mia madre che un ragazzo l'ha sbattuta al muro. Arrossisco al solo pensiero.

«Perchè sei diventata tutta rossa?» dice Harold avvicinandosi al mio viso per poi ridere subito dopo. «Capisco, capisco. Aveva altro da fare piuttosto che parlare con te.» Gli diedi uno schiaffo sul braccio e lui fece finta che gli feci male.

«Mi mancava la tua violenza,Tess.» dice Jase ridendo di Harold.

Ad un certo punto si acciuffano e il rumore del campanello li blocca all'istante. La mamma guardò la porta con il mestolo a metà tra la pentola e la sua bocca e mi scoccò un'occhiata strana. Harold si approfittò del momento per dare uno schiaffetto sul collo a Jase. Non capisco perché la mamma mi guardi in quel modo. Ma quando Harold va ad aprire la porta capisco la scenata. Il bel vicino di casa nonché amico di famiglia, varca la soglia di casa mia con un mezzo sorriso. Indossa un paio di pantaloni a vita bassa che lasciano intravedere la marca delle mutande. Una maglietta bianca che fascia alla perfezione tutti quei muscoli e un piccolo piercing sul labbro che luccica. Quanto mi è mancato quel piercing  pensai.

La gomitata che mi diede Jase mi fece ritornare al presente. Hunter entrò e quando il suo sguardo si posò su di me fino a raggiungere gli occhi con quel piccolo sorriso capii che promise guai.

Lui era un guaio in persona.

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