capitolo 2

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Il buio. In buio profondo mi avvolgeva. Ero perso in quella nebbia corvina. Giravo senza meta in attesa di vedere un volto amico che mi portasse lontano da lì, da quell'inferno, ma piú camminavo e piú sembrava che le tenebre mi stringessero ancora di piú nella loro morsa. Ombre nelle ombre, lance di nera pece mi trafiggevano il cuore riempiendolo di sentimenti come la paura, la disperazione, l'angoscia... Man mano che continuavo a vagare fitte di puro terrore appesantivano il mio petto e il mio respiro fino a farmi ansimare: ormai aspirare quella poca aria era quasi impossibile. Le gambe pesanti, le mani gelide come il ghiaccio, e voci si insidiavano nella mia testa:

«Lascia perdere... Ormai è finita... Lasciati prendere... Nessuno verrà più a salvarti... Accogli la morte... Abbandona la tua volontá...»

Forse avevano ragione. Forse avrei veramente dovuto lasciar perdere, abbandonare me stesso e l'unica cosa che ci distingue dagli altri. Abbracciare la morte e dormire nel suo eterno oblio.
Passo dopo passo, affanno dopo affanno, quelle ombre mi stavano lentamente incatenando alla terra di nera cenere. Caddi a terra sotto il peso di quelle catene, della fatica e della rassegnazione: fiamme bluastre iniziavano a lambirmi i piedi, ghigni echeggiavano da ogni parte e la terra era come se mi soffocasse stringendomi sempre di piú a sè.
Era finita ormai. Dopo tutto il tempo trascorso nella mera illusione di salvezza, finiva cosí la travagliata esistenza di Akise Aru... Nulla più avrebbe potuto tirarmi fuori da lí. Le fiamme avanzavano sempre piú, il mio corpo, o meglio, la mia volontá si stava esaurendo diventanto la cenere che ricopriva quel posto mischiandosi all'altra: un terriccio corvino senza piú identitá. Ma proprio quando tutto sembrava perduto, un sussurro, un unico suono di speranza sentii in lontananza. Alzai lo sguardo, allungai la mano a tentoni verso quell'ultimo barlume e gridai. Un urlo liberatorio e disperato. La stretta opprimente si allentava e i ghigni si allontanavo sempre di piú: tutto sembrava piú leggero anche l'oscurità. Nel gelo della notte eterna i confortevoli raggi della vita sciolsero le catene della morte.

"Ascolta il vento... Apri gli occhi... Senti la tua anima rinascere... La tua volontà risorgere..."

"Ehi ragazzo, tu-tutto bene? T-Ti è successo qualcosa? Ra-Ragazzo..."

Un calore tenue accarezzava il mio viso, un fievole venticello sorvolava e sfiorava i miei capelli e la voce fievole un giovane si insediava nelle mie orecchie. Un suono titubante, ma che nonostante tutto nascondeva una natura limpida e candida.
Socchiusi leggermente le palpebre e una luce accecante e m'invase.

"Ehi? Tutto bene?"

Misi a fuoco. Dinanzi a me vi era un ragazzo dai capelli del colore di una quercia antica, i grandi occhi cobalti risaltavano nel suo viso minuto e le guance rosee gli davano un'aria affannata. Il suo volto un po' infantile, devo ammetterlo, ma che dentro di me risvegliava immagini, ricordi ancora confusi e offuscati da una tenebra opprimente, come se un demone li tenesse incatenati dietro ad una porta ferrigna.

Annuii con un cenno del capo alla sua domanda.

"Grazie al cielo! Resci ad alzarti?"

Annuii nuovamente e mi porse la mano esile. Non appena la toccai un brivido mi percorse da parte a parte facendomi leggermente sobbalzare: era una sensazione familiare, come se l'avessi giá provata in precedenza.

"Come ti chiami?"-mi chiese mentre mi aiutava ad alzare.

"A-Akise, Akise Aru credo..."-risposi insicuro quasi sottovoce. Erano due delle tre parole che erano impresse come fuoco nella mia mente.

"Mo-molto piacere Akise. Il mio nome è Yukiteru, Yukiteru Amano!"-affermò.

"Yukiteru Aman..."-una fitta alla testa tanto forte da farmi cingere parte della fronte con la mano destra mi interruppe. Sotto le dita avvertivo un liquido carminio che scorreva e che poco a poco formava rivoli che scendevano lungo le guance.

"Akise cosa hai?"-domandó preoccupato per poi accorgersi del sangue.

"No-non è niente... Avró sbattuto la testa da qualche parte"-lo tranquillizzai, anche se neanche io sapevo cosa mi era successo fino a quel momento.

"Accidenti, fai vedere -disse avvicinandosi a me; i nostri occhi erano a pochi centimetri l'uno dall'altro così come le nostre bocche e scostó un po' i miei capelli argentei con la punta delle dita- non sembra molto grave, ma credo che dovresti comunque fasciarlo, abiti da queste parti?"

"Ecco io non..."

"Non preoccuparti, qui vicino c'é un rifugio potrei prendere delle bende e medicarti stesso lì- disse allontanandosi un po' mentre lo guardavo stupito e confuso- vieni con con me".

"Si..."

Ci incamminammo: alberi le cui foglie smeralde sembravano risplendere segnavano il confine tra la natura e la stradina di terra battuta, il vento trasportava le note della nostra anima, il mare le faceva brillare di gocce cristalline. Mi portó in un percorso che si inoltrava nel boscherello e poco dopo un edificio di legno a tre piani si eresse di fronte a noi:

"Siamo arrivati!"-esclamó per poi farmi strada all'interno.

Le pareti erano di legno di castagno e i mobili in mogano. Tendine bianche erano appese vicino alle finestre, un piccolo divanetto rivestito di tessuto chiaro era posto vicino ad un tavolino sopra il quale vi era un vaso decorato con disegni astratti celestini di camelie del colore della neve. Verso la fine dell'atrio vi era un bancone di modeste dimensioni e dietro di esso una donna sui circa 45 anni, con i capelli neri raccolti in una treccia laterale, gli occhi verdi, un vestito lungo fino ai polpacci giallo con orli blu e un grembiule che copriva la parte bassa.

"Aspettami qui - fece indicando il divanetto- prendo il necessario e arrivo".

Feci si con il capo e mi sedetti. Sembrava una situazione così inverosimile: un ragazzo che aiuta uno sconosciuto svenuto per chissà quale motivo di cui neanche lui è a conoscenza, perfino io ci avrei pensato più e più volte prima di fare quello che lui ha fatto con cosí tanta naturalezza.
Dopo pochi minuti tornó con una boccetta di acqua ossigenata, un batuffolo di ovatta e un cerotto grande quanto la sua mano. Intinse di acqua ossigenata l'ovatta e con delicatezza tamponó la ferita per poi applicare il cerotto:

"Ecco fatto! Come nuovo, o quasi..- affermó con tono scherzoso- dovrebbe guarire in 2/3 settimane al massimo e fino a quel giorno mi raccomando di pulire e disinfettare bene la ferita, intesi?"

"Si, grazie mille per tutto..."

"Non mi devi ringraziare, l'ho fatto con piacere".

"Potrei farti una domanda?"

"Si, dimmi pure"- rispose sorridendo.

"Perchè mi hai aiutato?"

Mi guardó perplesso per pochi attimi prima di rispondere alla domanda che mi aveva ossessionato per tutto il tragitto:

"Bhe ecco, so che puó sembrarti assurdo, ma credo di averti giá incontrato. É solo una sensazione, ma è come se avessi visto giá il tuo volto, sentito la tua voce e il tuo nome, come se avessi già parlato con te in passato!"

La sua affermazione mi lasció senza parole: anche lui come me aveva avuto la stessa impressione, ma allo stesso tempo entrambi non ne riuscivamo a catturare la vera essenza. La verità nel l'inafferrabile che si nasconde nelle nostre menti al sicuro dalla luce.
Subito dopo una ragazza dai capelli di ciliegio entró e Yukiteru le corse incontro pronunciando un nome: la terza parola che mi era impressa nella testa dal momento del mio risveglio.

Commenti autrice

Hoolaa (per chi mi conosce, si non ho detto salve a tutti ragazzi ecc. faccio i capricci gne gne >^<)!
In ogni caasoo vi chiedo una cosa: Come avet passato San Valentino? (io a casa... Il mio fidanzato era troppo occupato a salvare il mondo da un'invasione di demoni parlanti con il suo Chain soprannominato Mad Hatter. É tutto vero ovviamente u.u)
Il nostro Akise invece se la passa bene con il suo Yukki eh eh

A- ma se ci hai fatto perdere la memoria -.-

Abbi pazienza non far finire la storia troppo presto :-P.
Per chi deciderá di seguirmi, arrivederci al prossimo capitoloo <3!!

I Died For You [AkisexYukiteru]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora