CAPITOLO DIECI.

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"E se ti mostro il mio lato oscuro mi stringerai ugualmente questa notte?"-Pink Floyd.



Sento la porta ingresso aprirsi dalla tranquillità di camera mia, riconosco il rumore dei loro passi, sono mia madre e mio padre.
-Gwen tesoro, dove sei? - Urla mia madre.
-Sono qui mamma - dico a voce alta scendendo le scale.
Li trovo entrambi in cucina intenti a posare sul tavolo tutte le buste della spesa. Appena mi vedono, lasciano le cose che hanno in mano dove capita e corrono ad abbracciarmi, sussurrandomi un piccola ma percettibile "ci sei mancata". Amo i nostri teneri abbracci di gruppo, manca solo la mia piccola Audrey per completare la nostra famiglia.
-Dove sei stata? - Mi chiede mio padre staccandosi.
-Con Castiel - rispondo.
-Castiel, eh - sorride furba mia madre Tiziana.
Arrossisco notevolmente. Se c'è una cosa che in questo periodo non mi riesce completamente è nascondere qualsiasi emozione io provi.
Adesso i miei genitori mi guardano con aria interrogativa, si è creato un silenzio davvero imbarazzante tra noi. Guardo velocemente la mia immagine riflessa nella finestra di vetro posta sopra il lavandino. I miei genitori non sono stupidi, e basta guardarmi anche solo di sfuggita per capire cosa realmente provo in questo momento, e cosa provo per il ragazzo nominato poco prima.
-Gwenny, devi dirci qualcosa? - Domanda mio padre con tutta la serietà che può possedere una persona tutt'altro che seria.
Mia madre, invece, continua a sorridermi, ha capito tutto.
-Ci stiamo provando - dico. Suona un po' male, e vedo subito il volto di mio padre cambiare colore, mentre quello di mia madre sprizza gioia da ogni poro. -Tranquillo papà, non dobbiamo procreare - mi correggo velocemente. Voglio sparire, non ho mai provato tanta vergogna con i miei genitori.
-Allora sa tutto? - Mi chiede mia madre.
-Sì - rispondo io - tutto. -
-E lui? - Domanda mia madre, mio padre è ancora pallido.
-E lui niente mamma, cosa poteva dire? - Rispondo alla sua domanda con un'altra domanda a cui sono sicura non risponderà.
-E cosa avete fatto oggi da soli? Dove siete andati? - Chiede mio padre con lo sguardo fisso nel nulla.
-Papà nulla di quello che credi tu - cerco di rassicurarlo - mi sono fatta un tatuaggio. -
-Un che?! - Dicono all'unisolo.
-Un tatuaggio - ripeto piano.
-Scusa tesoro, mi sfugge il momento preciso in cui ne hai parlato con me e tuo padre! - Esclama abbastanza arrabbiata mia madre.
-Mamma volevo un tatuaggio e l'ho fatto, quando avrei dovuto farlo? A diciotto anni? Non so neanche se ci arrivo! - Mi pento subito di ciò che è uscito dalla mia bocca -e poi sia tu che papà ne avete almeno uno - cerco di rimediare alla mia maledetta lingua.
Vedo lo sguardo adirato di mia madre addolcirsi, fino a diventare davvero triste.
-Me lo fai vedere? - Sorride appena.
-Certo -
Levo la felpa rossa e mostro l'albero tatuato sul braccio sinistro.
-E' molto bello tesoro - continua -ma è stato pulito? Ha usato tutto correttamente? -
-Sì mamma, tranquilla. -
Mia madre possiede due tatuaggi, il primo l'ha fatto quando aveva all'incirca la mia età: è un'edera che, partendo dal piede, si arrampica sino al ginocchio, e il secondo l'ha fatto insieme a mio padre poco dopo la mia nascita, entrambi hanno il mio nome tatuato sulla parte alta della schiena, poco sotto il collo. Anche io mi farò tatuare i loro nomi sulla mia pelle, così rimarrano per sempre un segno indelebile sul mio corpo, perché nel cuore già lo sono.
Ho voglia di abbracciarli, e lo faccio immediatamente. Prima mia madre, che ricambia senza esitare.
-Scusa - sussurro.
-No amore, scusa tu - dice piano al mio orecchio.
Dopo passo a mio padre Eden, chiedo scusa anche a lui.
-Sarai sempre il mio preferito - dico anche.
-E tu sarai sempre la mia piccola principessa - mi stringe più forte -se ti farà soffrire, gli spezzo le gambe. -
Mi stacco perché un campanellino di allarme mi rimbomba nel cervello, svegliando quei pochi neuroni attivi che vagano solitari: Caren.
-Caren! - Esclamo guardando l'orologio, tra venti minuti devo essere da lei.
-Me l'ero completamente dimenticato Gwen, sali in macchina, io arrivo subito! - Dice mia madre mentre è alla ricerca della sua borsa color caramello.
-Vengo anch'io? - Domanda mio padre a sua moglie.
Mia madre gli si avvicina all'orecchio e gli dice qualcosa, non riesco a sentire nulla.
-Va bene, sto a casa. -
***
Io e mia madre siamo sedute in macchina, stiamo ascoltando un CD di Claudio Baglioni, ogni tanto è bello tornare ad ascoltare della buona musica italiana. Prendo il telefono, ho voglia di parlare con Castiel, gli scrivo un messaggio? Non avrei mai pensato di farmi dei complessi su l'inviare o no uno stupidissimo "Ehy".
-E allora? - Domanda d'un tratto.
-Allora cosa? -
-Insomma, tu e lui -
-Andiamo mamma! Non è successo niente -
-Tesoro è normale provare nuove cose alla tua età, si hanno nuovi impulsi e - sta per continuare quando io prendo la parola.
-Mamma non abbiamo fatto niente!- Mi metto una mano sulla fronte e mi abbasso abbastanza adirata.
-Ma Gwendolyn, accadrà prima o poi, hai quasi diciassette anni, e vorrei che tu fossi pronta -
-Mamma, vuoi farmi davvero educazione sessuale? - Dico con voce pietosa e visibilmente arresa.
-Sì, e vorrei che tu mi stessi ad ascoltare - fa un profondo respiro - dicevo, soprattutto... emh, i ragazzi a questa età hanno gli ormoni che scoppiano, quindi hanno più istinti riproduttivi rispetto alla femmina -
-Istinti riproduttivi? Davvero mamma? -
-Non mi interrompere, perdo il filo - fa una piccola paura - dicevo, di nuovo, è probabile che Castiel ci provi, è la natura, sta a te respingerlo o accettarlo -
-Ti prego mamma basta! - La supplico.
-Può anche far male la prima volta tesoro, ma non devi avere paura, e non vergognarti di te stessa. -
Se mi getto da un'auto in corsa, quante probabilità ho di sopravvivere?
-Se hai bisogno di qualunque cosa sai che ci sono, o se vuoi qualche consiglio -
Noto dal finestrino l'edificio in cui si trova lo studio medico di Caren, è alto nove piani, di colore rosso, che con il sole di oggi lo fa diventare letteralmente fuoco. Prendo la parola prima che lei inizi a parlarmi delle sue esperienze "di vita" sì chiamiamole così.
-Guarda mamma siamo arrivate! Che peccato, continueremo eh - dico con falsa tristezza e facendo una leggera smorfia di sollievo.
-Continueremo sicuro - risponde mentre parcheggia.
Scendiamo ed entriamo, dobbiamo salire al quinto piano, prendiamo l'ascensore con un piccolo uomo baffuto di poche parole, con cui scambiamo solo un timido "buongiorno". Arriviamo velocemente su e il procedimento è sempre lo stesso con la mia odiosa dottoressa: saluti, baci, organo? No, iniezione, ciao. Finiamo anche prima del solito, sarà per i nostri dieci minuti di ritardo, avrà molti pazienti, anche la domenica.
Torniamo all'auto e posto subito la radio su un canale a caso, l'importante è non ritrovarmi nella stessa situazione di quasi trenta minuti fa. Castiel! Stasera dovrei andare da lui! Me lo stavo totalmente dimenticando. E ora chi glielo dice? Penserà sicuramente male, abbasso il volume.
-Mamma stasera sono da Castiel -
Vedo un sorrisino formarsi sul suo volto.
-Ah sì? E che dovete fare? -
-Mamma non saremo soli! Ci saranno anche gli altri - mento.
-Va bene, va bene, a che ora devi andare? -
-Dopo mangiato -
-E quando ti dobbiamo venire a prendere? -
-Ti chiamo poi io -
-Ricorda che domani c'è scuola -
-Sì lo so mamma-
Si crea uno strano silenzio tra noi, riempito solo dalla musica proveniente dall'autoradio, la guardo, penso a quanto sia bella e invadente, a quanto io sia fortunata ad averla accanto.
-Ti va a comprare qualcosa da metterti per stasera? - Chiede.
-Sì, perché no -
-C'è un grande centro commerciale, poco lontano, arriviamo in cinque minuti -
-Va bene mamma, ma non voglio più sentire la parola sesso da qui all'eternità finché non sarò io ad intraprendere il discorso, affare fatto? -
-Veramente io non ho mai pronunciato la parola sesso, ma affare fatto. -
-Benissimo - esclamo.
Parliamo del più e del meno, hanno chiamato i miei nonni avvertendo che non sanno se arriveranno nella data prevista, ma verranno sicuro per il mio compleanno, il ventisei gennaio, mancano ancora venti giorni, e non so come si sarebbero messe le cose in questo lasso di tempo, può succedere qualunque cosa, ormai non sono più sicura di nulla, neanche di arrivare viva al giorno seguente. Smetto di pensare, non voglio che mia madre mi veda triste, ha già tantissimi problemi per la testa, me al primo posto, metterci anche la mia depressione la ucciderebbe ulteriormente. Scuoto la testa e preparo uno dei miei sorrisi migliori.
-Allora siamo arrivati? - Domando.
-Sì quasi - mi sorride dolcemente.
E' un centro commerciale normale, non molto grande, non uno di quelli che si vedono nei video di Londra alti 30 metri, è piccolo ma accogliente.
Passiamo un pomeriggio tipico mamma e figlia, uno di quelli belli e divertenti. Compriamo un vestitino nero e bianco, non tanto elegante, arriva sino al ginocchio e lascia scoperto il nuovo tatuaggio, mi ha fatto vedere anche qualche intimo, è inutile scendere a patti con lei, non cambia mai. E' bello vederla sorridere, è bello veder sorridere la mia famiglia in generale, è bello vederli sorridere con me, la causa della loro sofferenza. Torniamo a casa per le 19:00, mia madre si mette subito a cucinare qualcosa senza germi e al vapore, ormai sono abituata. Io ne approfitto per prepararmi, non metto il nuovo vestito, lo terrò per un'altra occasione.
"Ti sto aspettando, ho anche visto se l'airbag funziona, tutto okay, spero" è Castiel.
"Puoi anche smontarli, faccio pilota di secondo nome"
"Ne sono sicuro, a che ora vieni?"
"Tra 20 minuti"
"Vedi che non ti aspetterò più di tanto! Ho mille cose da fare, io"
"Sì, immagino"
Mangiamo velocemente, mio padre emana una strana ansia, ma perché sono tutti convinti che faremo qualcosa stasera? Be' non faremo assolutamente nulla!
Mi accompagnano entrambi i miei genitori, almeno non avrò qualche consiglio "pre-serale" da mia madre, non parlerebbe mai di certe cose davanti a mio padre, per lei queste sono cose da donna a donna.
Li saluto rassicurandoli che stavolta al mio ritorno non avrò nulla di nuovo.
Suono il campanello, e sento un "Chi è?" dalla voce femminile "Gwendolyn" rispondo.
Il cancello si apre e vedo uscire velocemente dalla porta Castiel, mi sembra abbastanza arrabbiato. Si avvicina a passi svelti verso di me.
-Ehy è successo qualcosa? - Gli domando quando è a poca distanza da me.
-Ci sono i miei - risponde apatico.
-Oh, e cosa vuoi fare? - Chiedo.
-Nulla, andiamo in macchina? -
E' palese che non vuole farmi entrare a conoscere i suoi genitori, va bene, immagino che sia per lui che per loro Debrah sia ancora fresca.
-Cass ma dove vai? Perché non fai entrare la tua amica? - Domanda dal portone una donna che credo sia sua madre, è alta e magra e bella, solo ora noto la differenza di qualsiasi madre normale con la mia, mia madre è decisamente troppo pelle ossa, infondo ha una figlia malata di cancro, e anche io sono troppo pelle ossa, la malattia mi ha distrutto e continua a distruggermi.
-Se non te la senti non entriamo - mi sussurra all'orecchio Castiel - sai, sanno essere molto invadenti, e alle volte insopportabili -
-No, va bene - gli sorrido.
-Okay - una leggera foglia di rabbia vola via dal suo volto.
Andiamo verso la porta ed entriamo. La donna è lì ad aspettarci.
-Ehy Cass non me la presenti? - Incita il figlio dandogli una leggera gomitato nel fianco.
-Finiscila! - Cerca di rilassarsi - Lei è Gwendolyn - ora si rivolge a me - Gwendolyn lei è Tabata -
-Piacere di conoscerti - Dice Tabata stringendomi la mano.
E' proprio bella, capelli rossi come il figlio, occhi verdi, naso piccolo e ha le forme che ogni donna dovrebbe avere, ma che io non posseggo. Indossa una maglia a maniche lunghe rossa e un paio di skinny jeans.
-Piacere mio - dico sorridendo.
-Vieni cara ti faccio conoscere mio marito - mi prende per un braccio e mi trascina sino in cucina, dove il padre di Castiel è intento a cucinare.
-Micheal - lo chiama la moglie.
L'uomo si gira e non nasconde il suo stupore nel vedermi con Castiel accanto.
-Oh, e tu chi sei? - Mi domanda avvicinandosi fino ad arrivare a pochi centimetri da me.
-Mi chiamo Gwendolyn, signore - annuncio.
-Avete finito? Adesso possiamo andare?! - Domanda Castiel adirato ai suoi genitori.
-Ma io l'ho appena conosciuta! Fammi scambiare due parole con lei Cass - protesta il padre.
-Prego siediti - Tabata sposta una sedia dal tavolo invitandomi con la mano a sedermi.
Castiel mi trattiene dalla maglietta, ma io mi divincolo velocemente senza che nessuno noti nulla e mi accomodo dove Tabata mi ha detto. Micheal che è la fotocopia del figlio con i capelli neri e il naso decisamente troppo lungo, si accomoda di fronte a me, Tabata accanto al marito e Castiel accanto a me.
-Allora, uscite insieme? - Domanda Tabata.
Il mio volto si illumina come una pallina di Natale, aspetto che sia Castiel a rispondere alla domanda.
-Ti interessa davvero saperlo? - Castiel si mette una mano sulla fronte.
-Sì e interessa anche a me - sorride Micheal.
E interessa anche a me, ma non lo dico.
Sembra davvero un interrogatorio.
-Sì - risponde esausto il ragazzo seduto accanto a me - ora possiamo andare? -
-Che bello! Se vuoi saperlo Gwendolyn quella Debrah non mi è mai piaciuta - annuncia Tabata mettendosi la mano davanti la bocca fancendo un'espressione disgustata - troppo volgare.
-E da dove vieni Gwendolyn, dove vi siete conosciuti? - Chiede subito dopo Micheal.
-Io vengo dall'Italia, ci siamo conosciuti a scuola -
-Mi aveva preso il posto nella panchina - Castiel sembra un po' più sollevato, ma sono sicura che gli ha fatto un certo effetto risentire quel nome.
-Brava! - Esclama Tabata -Tienigli sempre testa! -
-Lo farò - rido piano.
-Gwendolyn dobbiamo andare, il film inizierà tra poco - dice Castiel guardando l'orologio e fingendo preoccupazione.
Decido di stare al suo gioco.
-Oh è vero! - Esclamo preoccupata - sarà meglio andare!-
-Dovete andare al cinema? - Chiede Micheal.
-Sì - risponde suo figlio.
-Peccato avremmo voluto così tanto continuare a parlare con te - dice delusa Tabata.
-Un'altra volta, con piacere - le sorrido.
Castiel prende il suo giubbotto di pelle, le chiavi della macchina e usciamo, i suoi genitori mi salutano con un abbraccio. Adesso siamo nel vialetto di casa sua, stiamo camminando per andare verso il cancello, lui è davanti a me.
-Ce l'abbiamo fatta - fa un sospiro di sollievo.
-Sono carini - dico - andrebbero d'accordo con i miei, sono molto simili anche a loro pia -
Non mi lascia il tempo di finire di parlare che mi bacia sollevandomi un po'. Si stacca dopo non molto.
-Su andiamo - dice aprendo il cancello.
Non capirò mai del perché ogni volta che si stacca da me dopo avermi baciata fa finta di nulla, forse gli piace vedermi imbambolata ancora con le labbra schiuse e gli occhi chiusi. Fatto sta che mi da un leggero fastidio. Perché? Perché ne vorrei altri ma lui si allontana.
Saliamo in macchina, non accende l'autoradio questa volta.
-Dove andiamo? - Domando senza nascondere la mia curiosità.
-In questo quartiere un tempo c'era una piccola pista per le auto, adesso non la usano più, ma è ancora intatta -
-Sei davvero sicuro che vuoi insegnarmi? -
-Ho altra scelta? - Sorride.
-No - sorrido anche io.
Arriviamo quasi subito, oppure no, non lo so, so solo che ho passato quasi tutto il tempo a guardarlo.
Siamo davanti una vecchia pista illuminata da otto lampioni, è brutta e si vede che è abbandonata da tempo, ma la strada è ancora cementata, quindi si può ancora correre. Ha la forma di un 8, e non è tanto grande.
-Ma possiamo starci? - Domando a Castiel sporgendo la testa dal finestrino.
-Ti ricordo che qui comando io - si tocca il petto con la mano. - Adesso mettiti alla guida. -
-Okay -
Scendiamo dalla macchina e ci scambiamo i posti.
-Allora, prima di tutto la cintura - me la fa vedere dal posto del passeggero.
-So qual è la cintura Castiel -
-Volevo esserne sicuro - tossisce - ti imposto il cambio automatico, altrimenti facciamo mattina -
-Ah ah! - Faccio la finta risata.
-Il primo pedale è la Frizione, non ti servirà, quindi non premerlo, il secondo è il freno, serve per fermarsi -
Lo guardo male. Ride.
-L'ultimo è l'acceleratore - si ferma a guardarmi - ci sei? -
-Ci sono -
-Gira la chiave-
L'auto si accende.
-Accendi i fari - mi segna un pulsante che io premo. La pista si riempie ancora di più luce.
Ho una strana sensazione allo stomaco.
Premo il pedale dell'acceleratore, la macchina parte spedita, mi manca il respiro, come quando sei sulle montagne russe.
-FRENA! - Urla Castiel tenendosi stretto alla maniglia sopra di lui.
Freno e la macchina fa uno strano rumore.
Per un po' restiamo fermi lì senza dire niente, sconvolti. Poi ci giriamo a guardarci. Scoppiamo a ridere.
-Ci stavi facendo ammazzare! - Ride Castiel - Devi vedere la tua faccia -
-La mia? Guarda la tua! - Rido - ti sei cagato addosso! -
-Sei ancora sicura di voler imparare? -
-Sì, ho solo bisogno di allenamento. - Rimetto le mani sul volante - ci riprovo. -
I tentativi successivi non sono migliori, ma ci divertiamo tantissimo, Castiel continua a prendermi in giro "Ma non ti chiamavi pilota di secondo nome?" Ed io continuo a ridere. Chi l'avrebbe mai detto che nella mia situazione sarei ancora stata in grado di ridere, di vivere. Devo tutto al ragazzo che mi siede accanto, sì devo tutto a lui. Sta ancora ridendo quando prendo l'iniziativa io e lo bacio, lo volevo fare e l'ho fatto. Mi stacco velocemente da lui lasciandolo come ogni volta lui lascia me e dico "Riparto?" lui sorride e mi ri-bacia. "L'ultima ce l'ho sempre io" dice.
Andiamo avanti così per ore e ore, finché non sono in grado di andare almeno dritto, senza esagerare col gas.
-Diciamo che non sono tanto portata come pilota - ammetto esausta.
-Sì, diciamo pure così -
-Facciamo che lo tolgo dalla lista? -
-Sì toglilo - ride - ci abbiamo provato, e ti ci vuole ancora tanto tempo -
Rido anche io.
-Va bene -
Restiamo circa dieci secondi in silenzio.
-Allora dimmi cosa c'è dopo -
-Intendi nella lista? - Domando.
-Sì -
-Voglio andare al mare -
-Al mare? -
-Sì, voglio vedere il tramonto al mare, e voglio farlo con te. - Dico un po' imbarazzata.
-Ma siamo in Inverno -
-Mi piace il mare di Inverno.-
-Va bene, allora domani sera andremo al mare, mangeremo lì - si ferma un attimo - ti porterai il cibo da casa?-
-Devo per forza - sorrido un po' rammaricata. -Scusa se non possiamo andare a mangiarci una pizza o un hamburger -
-Ehy, non devi chiedermi scusa, scherzi? Ci teniamo in forma, devo giusto buttare un po' di pancetta -
-Sì hai ragione, sei grasso - dico ironica, ha un fisico perfetto.
-Si chiamano muscoli mia cara, muscoli da vero uomo - si tocca gli addominali - su tocca, tocca l'acciaio -
Li tocco e sono veramente muscoli.
-E' tutto grasso - rido.
-Questo non ti permetto di dirlo! - si alza la maglia e mi mostra i suoi addominali.
-Okay, okay - cerco di distogliere lo sguardo, sono tutta rossa. - Hai vinto tu -
Sta per baciarmi quando il mio telefono inizia a vibrare, è mezzanotte passata.
"Pronto?"
"Gwen è tardissimo! Dove sei?! Veniamo?" E' mia madre.
"Mamma, Castiel mi stava giusto riaccompagnando."
-Sì signora, siamo già in macchina - dice Castiel a voce alta per farsi sentire al telefono.
"Va bene, a dopo tesoro" Chiudo la chiamata.
-Se per domani mi vuoi ancora viva, è meglio se torno a casa -
Ci ri-scambiamo i posti, adesso lui è alla guida. Ci mettiamo in marcia verso casa mia, la radio stavolta è messa al massimo e passiamo tutto il tempo a cantare le stesse canzoni.
Arriviamo subito, troppo subito. Castiel si ferma con la macchina davanti casa.
-Grazie per averci provato - dico.
-Di nulla - sorride - a domani -
-A domani -
Ci scambiamo un piccolo bacio ed entro in casa.​ Guardare il tramonto sul mare.Imparare a Guidare.Tatuaggio

Sono una macchina da scrivere fatta di sogni (Dolce Flirt)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora