il mio Principe nero

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Si alzò e cominciò ad avvicinarsi lentamente. <<Sta per arrivare il mio ragazzo, sai?>> mentii. Lui continuava a camminare verso di me come se non mi avesse sentito. Non potevo credere di trovarmi in quella situazione.
<<Ti ho mai detto che ho un debole per le more?>>
Lui avanzava e io indietreggiavo.
<<Filippo, non fare sciocchezze. Se non te ne vai chiamo la polizia.>>
Rise. <<Ma chiami sempre la polizia? La chiamerai dopo. Sai per violenza sessuale quanto mi daranno? Niente di niente, dirò che mi sei saltata addosso e con le conoscenze che ha mio padre non entrerò neppure in commissariato.>>
Ero inorridita, voleva violentarmi e me lo diceva apertamente; che razza di bestia era? Si avvicinava sempre di più, ero spacciata. Mi girai e presi una bottiglia che stava sul bancone. <<Stammi lontano, altrimenti ti spacco la testa!>>
Non era per nulla spaventato, e i suoi occhi spenti continuavano a fissarmi. <<Fai la brava, vedrai che ti piacerà tantissimo...>>
Fece per afferrarmi il braccio, ma io indietreggiai e gli lanciai la bottiglia. Lui la scansò. Ero angosciata, stavo per fare una brutta fine. Non l'avevo mai fatto, era la prima volta, e quella bestia se ne sarebbe impossessata. Sentivo le lacrime cadere sul bancone.
<<Aiuto!>> gridai. I ragazzi che erano all'esterno risero.
<<È inutile! Urla, se vuoi, mi piace. Sai, piaci anche ai miei amici. Magari, quando avrò finito io, ti passerò a loro... potremmo fare una cosa di gruppo...>> si strofinò le mani, <<Non vedo l'ora di scoparti.>>
Il panico raggiunse livelli altissimi, ero in trappola! Era solo questione di tempo e quel mostro mi avrebbe presa. Non volevo piangere ma ero troppo disperata.
<<Ti prego, Filippo, sei ubriaco, domani te ne pentiresti, non fare sciocchezze, non farmi del male, ti prego.>>
Sbuffò. <<Ma se sto aspettando questo momento da mesi! Non ti preoccupare, non ti farò male, e poi chissà quanti ragazzi hai avuto. Stasera sei tutta mia, non puoi uscire, quindi vieni qua.>>
Mi venne in mente che potevo scappare in bagno e uscire dalla finestra.
Gli lanciai il grembiule sul suo viso e cominciai a correre. Filippo mi seguiva barcollando; sentivo i suoi passi dietro di me. <<Sei proprio una stupida! Dove cazzo scappi?>> rideva. Stavo quasi per arrivare alla porta del bagno; era buio, non vedevo nulla. Tremavo, ero nel panico totale. Cercai di aprire la porta che avevo chiuso a chiave, ma non ci riuscivo; il mazzo di chiavi sembrava infinito, dopo tre o quattro tentativi trovai quella giusta.
Filippo cadde. <<Dai, Hariel, guarda! Ora sono più incazzato!>>
Sentivo la sua voce nel buio. Entrai in bagno, ce l'avevo quasi fatta. Aprii la finestra, salii sul davanzale ma qualcuno mi afferrò per i capelli; era l'amico di Filippo. Gridai. Il ragazzo ghignava, si divertiva come se io fossi un giocattolo. Era molto più forte di me, sentivo la sua voce, avvertivo l'odore forte di alcol e vomito. Forti conati mi scossero. Mi obbligò a stendermi per terra con violenza; un dolore fortissimo alla testa mi fece capire che non era un incubo.
Stava capitando proprio a me! Ne avevo sentite di cotte e di crude in televisione, tutte le volte provavo molta pena per quelle povere donne, e ora ero io la vittima.
<<Eccola qua, Filippo, sbrigati che voglio divertirmi anche io!>>
Filippo si stese su di me mentre il ragazzo mi teneva ferma. Cercai di scappare con tutte le forze, lanciando schiaffi e cercando di graffiare qualcuno. Vedevo pochissimo, la luce del bar entrava a stento in quello stanzino. Filippo mi bloccò le braccia con le ginocchia; urlai per il dolore, con tutta la voce che avevo. Si slacciò la cintura. Piangevo e gridavo.
Mi strappò la camicia, <<tienile la bocca!>> urlò al ragazzo, che mi coprì la bocca con le mani. Ero sul punto di vomitare. Filippo si spostò su di me tenendomi le mani bloccate. Cominciò a baciarmi sul seno e saliva piano sul collo; emanava un odore fortissimo di liquore, e sentire la sua lingua su di me era disgustoso. Pensai di fargli credere di essermi calmata. Mi fermai e respirai lentamente, sospirai. Mi toccava e io fingevo di non essere lì; immaginai di essere al mare, immaginai di stare stesa al sole. Non stava succedendo a me, non stava succedendo a me.
<<Lasciale la bocca>> disse con voce eccitata. Salì sulla guancia, sentivo le mani dell'altro ragazzo sul seno; avrei voluto essere morta. Quando arrivò alla bocca, gli afferrai il labbro inferiore tra i denti e strinsi con tutta la rabbia che avevo. L'amico si arrestò. Filippo si ritrasse urlando e si toccò la bocca: gli sanguinava il labbro inferiore. Approfittai della mano libera per tirargli i capelli.
<<Ora hai rotto le palle!>> sbraitò. alzò il braccio destro e mi diede un pugno; lo sentii forte e chiaro tra la guancia e l'occhio destro. Tutto diventò nero, era finita! Avevo perso i sensi e stavo per perdere la verginità con un mostro. Tutti i miei sogni e la mia spensieratezza finivano lì, non volevo svegliarmi mai più.
Non so per quanto tempo rimasi incosciente. Sentivo del calore sulla guancia, percepivo un buon odore. L'occhio mi pulsava, il viso era bollente per le lacrime e per le percosse. Ogni tanto sentivo goccioline gelide che mi solleticavano il viso, provenivano dall'alto. Stavo bene, ero al caldo, ma avevo ugualmente la pelle d'oca. Avvertivo un gran male alla testa e all'occhio; non avevo altri dolori, non volevo aprire gli occhi.
Altre piccole gocce gelide e profumate mi caddero sul naso, non sapevo più dove mi trovassi. Aprii leggermente l'occhio buono, e fu allora che mi tornò la speranza.
Il ragazzo della nebbia mi guardava dall'alto, la luce era stata accesa. Era seduto sul pavimento e mi teneva la testa sulla spalla. Ero seduta sulle sue gambe; con una mano mi cingeva un braccio, con l'altra mi accarezzava la guancia. Aveva i capelli bagnati che gocciolavano. Le gocce mi cadevano sull'occhio dandomi sollievo e le sue mani grandi e forti emanavano calore; in quel momento ero sicura di essere in uno dei miei sogni più belli. I suoi occhi erano intensi e mi fece un sorriso dolcissimo. Mi sciolsi all'istante. "Siccome sono in un sogno posso fare tutto quello che voglio" pensai. Alzai la mano e gli toccai il viso, aveva un filo di barba ed era sexy, troppo per me. Il cuore mi martellava nel petto. Non m'importava di quello che avevo passato: ora ero con lui e anche se era un sogno sembrava molto reale. Portai le dita sulla sua guancia, la barba mi solleticava nel punto in cui lo toccavo; lui chiuse gli occhi. Piccole scosse di piacere mi attraversarono il braccio; poi, sempre con le dita, gli sfiorai il naso: era perfetto un po' a punta. Cercai di memorizzare tutto e continuai verso la cicatrice del sopracciglio: era piccola e a forma di L; l'accarezzai. Scesi sugli zigomi e le mascelle, gli guardavo la bocca piena e non vedevo l'ora di toccarla. Aprì gli occhi lentamente, sembrava che le mie carezze gli piacessero. Il suo sguardo era ancora dolcissimo; sembrava un altro ragazzo, sembrava più rilassato in confronto al nostro primo incontro. Era proprio un sogno!
<<Ciao principessa.>>
Tornai alla realtà; la sua voce svegliò qualcosa dentro di me, nessuno mi aveva mai chiamata così.
<<Sto sognando?>>
Lui mi sorrise e continuò ad accarezzarmi la guancia. <<No, principessa, come ti senti?>>
Mi guardò un po' preoccupato. Chissà perché ogni volta che ci incontravamo ero sempre ferita, ma questa volta era peggio. Notai che aveva un maglioncino di filo nero e che ero coperta con il suo giubbotto di pelle. Mi aveva visto in reggiseno? O peggio? Scattai per sedermi meglio, lui mi fissava stupito.
<<Cos... cosa mi è successo?>>
La testa mi pulsava e l'occhio pure.
Mi parlò con dolcezza: <<Sei stata aggredita.>>
Mi girava tutto, così poggiai la testa suo petto, il suo odore buonissimo mi fece stare subito bene, profumava di detersivo, di pulito e di muschio. Poggiai anche la mano, già che c'ero, "quando mi capita un'altra occasione così?" pensai. Il suo torace era sodo, aspirai più che potevo il suo odore.
<<Dov'è Filippo? Cosa mi ha fatto?>>
Alzai il viso verso di lui che aveva cambiato espressione. Aveva il fuoco negli occhi, e fece una smorfia impercettibile con la bocca sensualissima. Quell'uomo era troppo bello, era una specie di Dio greco, ne ero certa. <<Non ti preoccupare per lui, non tornerà più a darti fastidio.>>
<<L'hai fatto fuori?>>
Mi sorrise. <<Non ancora.>>
Pensai che scherzasse. <<Mi ha...>> Non riuscivo a continuare.
<<No, principessa, sono arrivato in tempo.>>
Mi fece il suo sorriso dolce e intravidi i suoi denti bianchissimi e perfetti.
<<Come hai fatto? Erano in tre.>>
Alzò il sopracciglio e mi guardò con furbizia. Averlo così vicino, il suo odore, le gocce che gli cadevano dai capelli, le sue braccia forti mi facevano un effetto assurdo. "Sono passata dall'inferno al paradiso in una sola serata" pensai. Il cuore non aveva mai rallentato, la voglia di toccarlo era fortissima.
<<Mettiamo un po' di ghiaccio sull'occhio, piccola?>>
Il mio viso divenne bordeaux; mi aveva chiamata piccola e principessa, non poteva essere vero. Sarei rimasta tutta la vita in quella posizione; stare in braccio al ragazzo che avevo sognato per giorni era il mio traguardo. Me lo sentivo, i miei pensieri sarebbero corsi sempre da lui. Avevo dimenticato Filippo, avevo dimenticato il suo amico; stargli vicino mi faceva dimenticare anche il mio stesso nome. Ero quasi grata a quell'animale perché mi aveva fatto rivedere quello che, ero sicura, sarebbe diventato il mio grande amore.
Ci alzammo. La sua presenza e la sua altezza mi facevano sentire al sicuro; mi teneva la mano mentre andavamo verso il bancone. Quando arrivammo nel bar notai che c'erano gocce di sangue per terra; mi fermai e lo guardai spaventata. Lui aveva un'aria indifferente, fece spallucce e guardò il sangue impassibile.
<<Ho dovuto convincerli, non volevano andarsene.>> Rimasi a bocca aperta; immaginai Filippo e gli amici che le prendevano di santa ragione. Trattenni un sorriso, lui se ne accorse e cominciò a ridere. Inutile dire che quando rideva era sconvolgente: gli si formava una fossetta sulla guancia sinistra, i suoi occhi scuri brillavano come stelle, si illuminava completamente e intorno a lui tutto spariva; niente poteva competere con quella luce. Non l'avrei dimenticato mai più, magari un giorno l'avrei raccontato a mia nipote, avevo conosciuto l'essenza dell'uomo. Nessun uomo si poteva paragonare a lui. Anche io risi, lui prese il ghiaccio continuando a sorridere, lo mise in un fazzoletto di stoffa che prese dal suo jeans nero e me lo poggiò sull'occhio. Provai un gran sollievo. Aprii l'altro occhio e vidi che mi stava vicinissimo, era tutto concentrato; aggrottò la fronte e gli si formò una rughetta in mezzo agli occhi. Era eccitante sapere che si stava prendendo cura di me; non ne capivo il motivo ma non ci volevo pensare. Volevo illudermi anche solo per qualche minuto, volevo godermi quei pochi istanti di lui. La sua bocca socchiusa era quasi sulla mia fronte; potevo sentire l'odore del suo alito, odorava di buono, mi venne l'acquolina. Desideravo con tutta me stessa un suo bacio. Mi guardò come si guarda una bambina e mi fece un altro sorriso. "Gli faccio pena?" era l'unica spiegazione che mi davo. Io ero carina, iente di particolare; lui era la bellezza, il fascino e la sensualità fatta uomo.
<<Va meglio?>>
"Da quando ti ho visto è andata una favola". <<Sì, va molto meglio, grazie! E grazie per tutto! Se non ci fossi stato tu...>> chiusi l'occhio <<non ci voglio nemmeno pensare.>>
<<Non ringraziarmi, mi trovavo nei paraggi.>>
Continuava a fissarmi intensamente, non ero ancora convintadi esseresveglia.
"Baciami, baciami, baciami" pensavo solo quello, chiusi gli occhi ma il bacio non arrivò.
Aprii l'occhio e notai che guardava l'orologio; voleva andarsene, ero delusa, mi sentivo una stupida.
<<Puoi andare se vuoi, sto molto meglio>>
Lui mi guardò negli occhi, era molto serio, i capelli continuavano a gocciolare.
"Baciami, ti prego".
<<Chiudi il bar, ti accompagno a casa, sono le tre e ne hai passate già troppe.>>
Non me lo feci ripetere due volte. Lui uscì per prendere la macchina, io pulii il sangue del verme, chiusi e lo trovai fuori che fumava. Volevo dirgli che era in pericolo, stavo per saltargli addosso. Si portò la sigaretta alla bocca, avevo la gola secca, deglutii per l'emozione. Mentre espirava mi disse: <<Andiamo!>>
Salimmo nella mia 500. Lui era venuto in moto ma faceva troppo freddo, così decidemmo che mi avrebbe accompagnato con la mia auto. Il giorno dopo sarebbe ritornato per riportarmela e l'avrei rivisto. Si mise al volante e accese l'aria calda; io mi sedetti al suo fianco, gli spiegai dove abitavo. Ero piccola e indifesa accanto a quell'uomo. Mi girai verso di lui e cominciai l'interrogatorio.
<<Come ti chiami?>>
Mi guardava di traverso. <<Reiyel.>>
Immaginavo che non fosse italiano, aveva la carnagione scura e tratti latini, ma poteva essere anche del sud Italia.
<<Sei italiano?>>
Sorrise. <<Diciamo che vengo da molto lontano.>> Ero affascinata. Ogni tanto guardavo le sue mani che toccavano il manubrio, e le desideravo; erano mani forti e vissute, le immaginai su di me. Cercai di pensare ad altro.
<<Quanti anni hai?>>
Sbuffò leggermente. <<Ventiquattro, più o meno.>> Faceva il misterioso e mi piaceva da impazzire. <<Qual è il tuo film preferito?>>
Rise. <<Vuoi sapere il mio film preferito?>> <<Perché no?>>
<<Dunque, posso dirti che non guardo molta tv, ma adoro il cinema, mi piacciono i film d'azione>> sorrise.
<<E il tuo piatto preferito?>>
Continuava a sorridere. <<Adoro la pizza napoletana>> mi guardò di sbieco.
<<Sei mai stato a Napoli?>>
<<Certo! Adoro Napoli, la pizza, e anche le napoletane non sono niente male.>>
Ero morta e sepolta, il mio viso era così acceso che potevo illuminare tutta Milano. Mi feci forza approfittando della penombra della macchina.
<<Quindi ti piacciono le napoletane?>>
<<ehm, sì! Anche, perché no?>> aprì leggermente la bocca.
<<La tua ragazza è napoletana?>>
Non mi rispose, cambiai argomento.
<<Cosa ci facevi al parco l'altra notte?>>
Guardava la strada, staccò la mano destra dal volante per accendere lo stereo. La radio stava dando una canzone dei Queen.
<<Ricorderai, quando tutto questo svanirà e tutto sarà finito strada facendo, quando invecchierò sarò lì al tuo fianco a ricordarti quanto ti amo, ti amo ancora...>>
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Cosa significava?
<<Love Of My life>> guardò la radio, <<la canzone.>>
Mi stava prendendo in giro. <<Hai tradotto una frase della canzone?>>
Annuì. Era sereno, sembrava il ragazzo di ventiquattro anni che diceva di essere.
<<Ti piacciono i Queen?>> annuì. Restammo in silenzio per un po' ad ascoltare quelle note magiche. Volevo fargli altre cento domande. Lui fermò la macchina e si girò verso di me.
<<Principessa Hariel, ragazza del bar, ragazza di diciannove anni, siamo arrivati a palazzo.>>
Sentivo i suoi occhi dentro i miei, ero su un altro pianeta, in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa per lui. "Perché non ho preso casa a Brescia o magari a Napoli? Il tragitto sarebbe stato più lungo!"
<<Sembra che l'occhio sia ridotto piuttosto male ma non preoccuparti, passerà tra qualche giorno.>>
Continuava a guardarmi negli occhi; mi toccò l'occhio gonfio e fece una smorfia di dolore, poi tornò alla sua espressione dolce.
<<Reiyel, Rei, sei stato gentilissimo. Scusami se ti ho fatto perdere tutto questo tempo.>>
<<Dovere, principessa! Considerami come un tuo servitore.>>
Era ironico ma non riuscivo a frenare il sangue che mi saliva alla testa. "Non te ne andare, non te ne andare".
<<Devo proprio andare>>
"Ecco lo sapevo". <<Rei, posso chiederti il numero di telefono? Sai, per metterci d'accordo con la macchina.>>
La scusa era plausibile. <<Dammi il cellulare.>>
Glielo diedi e lui memorizzò il numero. <<Ecco fatto.>>
Non volevo scendere. Lui uscì, fece il giro della macchina e mi aprì lo sportello. Scesi, si accese una sigaretta. Teneva il braccio sinistro appoggiato al tetto dell'auto, la sigaretta nella mano destra. "Lo fa apposta?". La risposta era "no", era naturalmente affascinante, non faceva nulla per esserlo. La sua statura e il suo portamento mi mettevano a disagio; in quel momento mi sentivo troppo insignificante vicino a lui. Il suo viso cambiò espressione, i suoi occhi avevano una luce diversa; sembrava il ragazzo glaciale della prima volta che lo vidi. <<A presto, principessa.>>
Non volevo che andasse via, lui era già in macchina, aspettava che aprissi il portone. Mi girai e lo salutai ancora una volta con la mano; lui mi fece un altro sorriso e andò via. Entrai nel palazzo, mi misi a sedere su uno scalino, dovevo riflettere subito su quello che mi era successo. Era successo davvero? Mi aveva salvata per pietà? Mi aveva accompagnato per gentilezza? Forti brividi mi percorrevano la schiena; senza il suo sguardo ipnotico ricordavo tutto con più lucidità. "Mi ha accarezzata, mi ha chiamata principessa, forse perché mi considera una ragazzina. Però mi ha curata, l'avrà fatto per pietà? Ha detto di chiamarsi Reiyel e di avere ventiquattro anni; gli piacciono la pizza, i film d'azione e le napoletane. Io sono napoletana,lui lo sa? Non mi ha voluto dire altro".
Quando ricordai l'ultima cosa, stavo per svenire. "Principessa Hariel, ragazza del bar, ragazza di diciannove anni".
Come conosceva il mio nome e la mia età? Fui presa da scosse di euforia. "Se si era informato su di me, forse un piccolo interesse ce l'aveva. Impossibile! Forse gliel'aveva detto Filippo?"
Mi alzai e corsi a casa.
Avevo indossato il suo giubbotto di pelle, sentivo il suo odore, ero eccitatissima e già immaginavo con impazienza la prossima volta che l'avrei rivisto. Andai in bagno e mi guardai allo specchio: ero un mostro. L'occhio destro era gonfio e viola. "Maledetto! Ecco perché mi guardava con quello sguardo! Come potevo piacergli conciata così? Stronzo maledetto di Filippo!"
Tolsi il suo giubbotto, mi feci una doccia. Quando tornai a letto notai che Tiziana dormiva beatamente. L'indomani avrei inventato qualcosa per l'occhio, non l'avrei fatta preoccupare. Portai il suo giubbotto nel letto con me e, annusando il suo odore, mi addormentai.
Quando mi svegliai Tiziana era già uscita; saltai giù dal letto e mi guardai allo specchio. Stavo peggio del giorno prima: l'occhio era un po' sgonfio ma era ancora più viola; ci spalmai un po' di crema idratante. Mi vestii in due minuti. Stavo per chiamare Rei per la macchina, aprii la finestra e per poco non svenni per la sorpresa: la 500 era parcheggiata sotto l'edificio. Stavo per strozzarmi con la mia stessa saliva, scesi le scale volando. Rei era lì e l'avrei rivisto tra pochi secondi! Arrivai all'auto ansimando, ma era vuota. C'era un biglietto adesivo attaccato al finestrino: "Le chiavi sono nella buca della posta. Buona giornata, principessa".
Mi sentivo uno schifo, ero molto delusa. Decisi di chiamarlo "si vive una volta sola" pensai. Risalii a casa e presi il cellulare; cercai il suo numero ma niente, non lo trovavo, digitai il suo nome e niente, non c'era! Ero furiosa.
"Come si era permesso di prendermi in giro così? Se non gli piacevo e non voleva darmi il numero di telefono, bastava dirlo". Ero amareggiata, mi ero solo illusa, ero niente e lui era troppo. Buttai via il suo biglietto. "Vai a quel paese, Reiyel!"
I giorni passavano, l'occhio guariva e gli amici si bevvero la storia della caduta. Seppi che Filippo aveva lasciato la città. Rei era sparito, non sapevo come restituirgli il giubbotto, ma da un lato non volevo privarmene; ogni tanto me lo mettevo sulle spalle e sentivo il suo profumo, immaginavo che quella pelle fosse il suo petto nudo. Ero perdutamente innamorata: solo il fatto di sapere che c'era il suo giubbotto mi faceva emozionare.
Mancava poco a Natale, quel giorno andai al centro commerciale, dovevo completare gli ultimi regali. Era pomeriggio, posteggiai nel parcheggio sotterraneo. Restai nel centro commerciale un'ora buona; non era facile trovare qualcosa di particolare per mio padre. Alla fine mi arresi al solito profumo; mia madre mi aveva detto che era finito e mio padre usava quella fragranza da anni ormai.
Ritornai nel parcheggio. Una grossa moto nera era due file avanti alla mia 500. Non potevo credere ai miei occhi: Rei e una ragazza dai capelli biondo platino erano sulla moto; lui era seduto di lato, lei era bellissima. Indossava un giubbotto nero corto, pantaloncini cortissimi neri e stivali con tacco a spillo di pelle nera fin sopra il ginocchio. Aveva qualcosa di rock, il suo viso era di una bellezza straordinaria, riuscivo a vedere i suoi grandi occhi verdi da metri di distanza. Ancora una volta mi resi conto di quanto fossi insignificante e di quanto loro fossero perfetti. Dovevano stare insieme, sembravano fatti l'uno per l'altra, avevano entrambi una bellezza fuori dal normale. La ragazza stava sistemando due buste nello zaino che si mise sulle spalle.
Volevo sparire, sprofondare. Cosa dovevo fare? Non potevo restare lì immobile. Decisi di ritornarmene dentro; poi pensai che dovevo farmi vedere. "Magari mi saluterà, a saperlo avrei messo il mascara. Ogni volta che mi vedeva ero in uno stato pietoso, ma non potevo reggere il confronto con la sua ragazza in qualsiasi caso. Mi feci coraggio e cominciai a camminare verso di loro.
Appena feci il primo passo, Rei si voltò e mi vide; il suo sguardo era inespressivo e scostante. "Mi ha riconosciuta?". Mi avvicinavo ma lui era sempre più indifferente. La ragazza si sistemò dietro di lui e gli abbracciò la vita, poggiò la testa senza casco sulla sua schiena. Lui mise in moto mentre mi feriva sempre di più con la sua indifferenza. Ero a qualche centimetro di distanza; i brividi mi facevano male. Lui accelerò e non mi salutò neppure. Corsi in macchina, lanciai le buste e i regali nel retro e scoppiai in lacrime. Mi sentivo piccola, inutile, invisibile, stupida!
Passai un Natale terribile. Ero nella mia città con i miei genitori, e anche Tiziana era con me; cercavo di pensare il meno possibile al ragazzo della nebbia, anche se continuavo a sognarlo. Mi veniva in mente il suo sorriso, il suo sguardo dolce, e mi faceva male il petto. Non mi aveva illuso in nessun modo; il problema ero io. Ero un'inguaribile sognatrice, credevo di essere in una favola, credevo di aver trovato il principe
azzurro invece avevo trovato un principe nero.
<<Ma lo sai che hai rotto con questa faccia da funerale? >> Tiziana era seduta sul mio lettino; io leggevo, la ignoravo. <<Siamo a Napoli, c'è il sole, andiamo a fare shopping!>>
La guardai annoiata.
<<Non pensarlo più, è un povero fesso se non ha capito che ragazza sei!>>
In quel momento entrò mia madre. <<Allora, se state anche oggi a casa, prendo la scopa e vi caccio via! Siete giovani e belle, perché non andate a divertirvi?>>
<<Hai ragione, mamma. Natale è passato, e tra due giorni ripartiamo. Stasera facciamo baldoria. Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato!>>
Cercai di essere convincente, non ce la potevo fare a sentire i suoi consigli infiniti. Anche mia madre si sedette sul letto. <<Cosa sono? Pene d'amore?>>
Sapevo che l'avrebbe capito, mi conosceva troppo bene, e poi l'avrebbe capito chiunque. Non ci somigliavamo per niente fisicamente, ma era una bella donna di cinquant'anni, sveglia ed emancipata, tanto da accettare che la figlia di diciannove anni se ne sarebbe andata in un'altra città con un'amica solo per fare esperienze nuove. L'adoravo: da lei avevo imparato l'umiltà e il rispetto per le cose e le persone. Da mio padre invece avevo imparato il modo di sopravvivere a qualsiasi cosa e situazione.
<<No, Maria, tua figlia non si rende conto che può trovarne mille di ragazzi; si è fissata con uno scemo che ha visto due volte.>>
Volevo uccidere Tiziana. <<Ok, va bene, prepariamoci e stasera andiamo a ballare!>>
Guardai Tiziana con occhi furenti.
Lei alzò la testa. <<È la verità!>> mi disse.
Mia mamma mi sorrise. <<Morto un papa se ne fa un altro.>>
"Certo, come no! Tutti i giorni si incontrano uomini strabilianti come Rei! Magari stasera ne vedo tre o quattro".
Uscimmo dopo cena. Ci avviammo verso un locale dove prima di trasferirci andavamo spesso; si trovava a Posillipo. Mentre Tiziana guidava, guardavo fuori dal finestrino: Napoli di notte era spettacolare. Il Vesuvio era incorniciato dal mare, piccole barche si muovevano verso il porto, le luci della strada e delle case le davano un tocco di magia. A vederla così sembrava che esistesse solo il vulcano circondato da stelle. Avevo vissuto diciannove anni in quella città, ma ogni volta che la guardavo rimanevo senza parole. Guardai il cielo scuro, pensai ai suoi occhi, avevano lo stesso colore. "Dove sei, Rei?". Quando entrammo nel locale, i nostri amici ci corsero incontro e ci abbracciarono; erano felici di vederci e anche noi lo eravamo. Bevemmo qualcosa, io sempre succo. Ricordammo tutte le stupidate che facevamo al liceo. Aveva ragione Tiziana: quell'uscita mi fece proprio bene.
Erano le due di notte. Tiziana cominciò a cantare; tutti i ragazzi sbavavano come al solito. C'era una bella atmosfera. Notai che il cellulare di Tiziana si illuminava, guardai chi fosse. Erano i suoi genitori, uscii e risposi.
Quando Tiziana finì di cantare, si sedette al mio fianco con viso compiaciuto. Le accarezzai il braccio chiedendole: <<Andiamo un attimo fuori?>>
Uscimmo, non sapevo come dirglielo. Optai per la cruda verità: <<Tiziana, ha chiamato tua madre, ha detto che tuo padre è in fin di vita.>>
Iniziò a piangere. <<Oh mio Dio! Andiamo a fare le valigie!>>
Ci abbracciammo.

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