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Era un giovedì mattina.
Una mattina non diversa dalle altre.
Una mattina orribile.
Mi ero svegliato imbronciato e stufo, stufo delle solite grida di mia mamma provenienti dalla cucina.
Ogni giorno mi alzo, vado in salotto ma loro mi ignorano, i miei genitori, come possono essere così passivi nei miei confronti.
Non si preoccupano se io soffro.
Mia mamma non mi prepara la colazione mi saluta con un bacio appena alzato, mi fanno un cenno con la testa e io ricambio con un sorrisino distratto.
Loro non se ne accorgono.
Mi trascinai a terra sopraffatto dai litigi, non fanno altro che gridarsi contro, non mi ricordo un abbraccio un segno d' affetto, niente.
Ormai sono abituato ma ciò non significa che mi vada bene, non mi va assolutamente bene che si odino a tal punto da fare si che mio padre picchi mia madre.
Loro non sanno che io ne sono al corrente, ma come non notare i pestoni su tutto il viso di mia madre.
Comunque continuai a camminare sul pavimento gelido, arrivai in cucina, mi sedetti attorno al tavolo e sospirai, io sospiro sempre.
"Comunque..." feci :" L'altro giorno ho preso A+ in algebra...".
Non riuscì
ad attirare l'attenzione dei miei , quindi abbassai la testa, rivolta sul piatto vuoto, :" George" disse mio padre:" Devi cominciare a concentrati sul futuro, devi prenderti le tue responsabilità.
Sei un Omalley, George.
Io, come lo era tuo nonno, sono un camionista, attraverso le lande più isolate per consegnare anche solo un pacco. E tu?
Ti diverti con sciocchezze del genere.
Io alla tua età già lavoravo e con ciò ora mantengo una famiglia.
Mi deludi!" detto questo se andò.
Io ero devastato da quelle parole, lo studio era ciò su cui mi consolavo e sapere che LORO erano contrari mi svuotava di tutto.
Mi alzai, presi lo zaino e senza fiatare emettere alcun suono, me ne andai.
Scesi le scale di fretta, avevo delle lacrime che scorrevano come fiumi sul viso, mi oscuravano la vista e il pensiero del volto di mio padre mi faceva mancare l'aria e venire un nodo alla gola.
Caddi.
Rotolai per tre rampe di fila.
Mi sentivo malissimo.
Avevo un dolore fortissimo al fianco, respiravo a mala pena, e un'ondata di sangue mi stava scendendo dalle narici.
Mi misi in piedi, avevo rotto gli occhiali.
Gli occhiali che LORO mi avevano regalato per il mio 15 compleanno.
Mi sentivo a pezzi, non tanto per la caduta, ma per il fatto di aver rovinato l'ultimo ricordo di loro, della loro relazione con me.
Piansi.
Piansi come se non ci fosse una fine e i miei singhiozzi mi otturavano le narici.
Ero in apnea.
Mi appoggiai alla maniglia del portone, la tirai e uscí.
Uscì da quell'incubo.

La Ragazza Col Nome D'aprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora