Il suono della campanella rimbomba tra le mura dell'antico edificio. E' l'ultimo giorno di scuola ma nel rigido liceo si tiene lezione fino all'ultimo minuto. Composti i ragazzi raccolgono le loro cartelle dai freddi pavimenti ed escono dalle aule. Il corridoio si riempie delle loro voci che piano piano prendono forza e invadono quello spazio austero fino a raggiungere il cortile dove e i libri si sostituiscono con palloncini pieni di acqua. Sotto gli occhi impotenti dei docenti la battaglia ha inizio. Gavettoni, uova, farina. Tutto è lecito. Nessuno li rimprovererà, l'estate è lunga abbastanza per cancellare il ricordo di questo giorno. Allora la vedi. La ragazza del primo banco e lo lanci con tutta la forza che hai, quel palloncino caricato a vino. Lei urla mentre il suo vestito firmato si macchia irreparabilmente. L'immagine è così buffa e la soddisfazione così grande che ti distrai e sei spacciato. Una bottiglia d'acqua si svuota sulla tua testa e il fedele compagno di banco ti cosparge di farina segnando l'inizio di un inseguimento che si concluderà con un bagno nella fontana posta al centro del prato. E questo è solo l'inizio di una lotta che nasconde molto più della gioia di aver terminato l'anno. Ci sono conti in sospeso, scherzi da ripagare. C'è il ricordo di tutti quei suggerimenti richiesti e mai arrivati, di quei falli durante le partite, di quella convivenza forzata. E' la valvola di sfogo di una generazione repressa tra le mura di una scuola privata. Ho sempre aspettato questo momento ma quest'anno ho deciso di non parteciparvi. Quest'anno il mio posto è dietro una finestra del primo piano, nel bagno delle ragazze.
Sola, in silenzio, in attesa.
E' l'ultimo giorno di scuola, dell'ultimo anno a pochi giorni dalla maturità e c'è una cosa che devo fare. Guardo i ragazzi allontanarsi sporchi, bagnati, felici, mentre gli insegnanti cercano di sfuggire alla loro follia. Due volanti della polizia posteggiano davanti all'ingresso e intimano gli studenti a sgomberare il cortile. Lentamente il prato si spopola, le volanti ripartono, i cancelli si chiudono e la festa termina. Non c'è più nessuno se non il vecchio custode.E' proibito restare nell'edificio dopo la chiusura.
La porta del bagno si apre e sussulto spaventata.
"Stella?"
Sei tu.
"Luca! Ti avevo detto di bussare!" sottolineo innervosita.
Scuoti la testa.
"Non ti va mai bene niente. Dai andiamo che non voglio passare la vita qui dentro."
"Se è per questo neanche io, già dobbiamo tornaci la prossima settimana!"
"Allora non fare troppe storie e sbrigati."
Quanto odio quando fai così. Non ti smentisci mai: è da quando ci siamo conosciuti che vuoi sempre avere l'ultima parola. Ti supero e percorro il corridoio fino allo scalone che porta al piano superiore. I tacchetti delle ballerine stridono sulle lastre di marmo mentre raggiungiamo il secondo piano.
"Ma non potevi metterti le altre scarpe?"
"E tu non potevi lasciare la lingua a casa?"
Ti avvicini, mi fai passare una mano dietro la schiena e mi tiri a te. Mi baci con passione. Gli occhi si chiudono, le bocche si aprono, le lingue si sfiorano.
Non riesco a trattenere una risata.
"Scemo! Andiamo, prima che ci scopra il bidello."
Mi prendi per mano e mi trascini fino alla porta in fondo al corridoio. E' di legno massiccio con la serratura di acciaio. Abbasso la maniglia e spingo senza ottenere alcun risultato.
"E' chiusa."
"Ti aspettavi che la lasciavano aperta per noi?"
Effettivamente...
Metti la mano in tasca e rovisti tra il cellulare e le chiavi del motorino.
"Cosa stai cercando?"
"Questa." rispondi sventolandomi un oggetto metallico davanti agli occhi.
"E sarebbe?"
"Chiamiamola una chiave multiuso. Come pensavi di aprirla la porta tu? Con le forcine?"
"E se anche fosse?" ribatto.
"Sinceramente preferisco non saperlo." concludi inserendo la chiave nella serratura.
"Ma dove l'avresti presa?"
"Amici."
"Ti sembra una risposta?"
"Ti sembra il momento di farsi problemi?"
"No, volevo solo sapere chi incolpare quando mi interrogheranno in commissariato per scasso."
"Spiritosa." commenti.
La serratura scatta, la maniglia si abbassa, la porta si apre e noi entriamo nello studio. Il preside è una persona molto all'antica. Ha una libreria di mogano appesantita da volumi ingialliti e le pareti sono tappezzate di riconoscimenti per l'istituto. La poltrona in pelle consumata è un regalo del sindaco di Roma e la statua sul piedistallo di marmo nell'angolo gli è stata donata dal presidente della facoltà di archeologia della Sapienza. L'ambiente è ampio ma è impregnato dall'odore di tabacco. La scrivania è il pezzo più autentico di tutto l'arredamento, pare che sia appartenuta a non so quale cardinale in non so quale secolo, fatto sta che il preside ama vantarsi della sua proprietà. C'è una diceria secondo la quale esista un cassetto segreto in una delle gambe che la sostengono ma nessuno ne ha mai confermato la veridicità.
Entrare in questo studio per uno studente può significare solo due cose: essere il rappresentante d'istituto o rischiare l'espulsione. Visto che né io, né Luca siamo mai stati rappresentanti d'istituito, la nostra precedente presenza in questa stanza può avere un'unica spiegazione. Un giorno ci siamo ritrovati seduti sulle due poltrone rosse, con la testa bassa e le fiamme negli occhi. Siamo sempre stati in classi diverse, io e Luca. Rivali nello sport, nel rendimento scolastico, nelle amicizie, finché un giorno la rivalità è diventata gelosia e la gelosia ripicca. E' così che il preside esasperato dai richiami degli insegnanti ci ha convocato. Ci siamo seduti sulle poltrone e imbarazzati abbiamo promesso di porre fine ai nostri litigi per evitare l'espulsione. E' così che tutto ha avuto inizio. I pomeriggi di pulizia delle aule sono diventati uscite, le uscite inviti... E noi siamo diventati Noi. Inseparabili, competitivi, innamorati. Per questo siamo qui.
"Stella, vieni." mi richiama Luca sdraiato sotto la scrivania.
Mi abbasso e mi stendo al suo fianco. La schiena sulle piastrelle e le gambe piegate.
"L'hai portato?"
"Certo." rispondo estraendo l'Uni-posca dorato.
"A te l'onore." proclama.
"Cosa scriviamo? Qui si conobbero Luca e Stella?"
"Ma ti pare che mi faccio quasi arrestare per scrivere: qui si conobbero Luca e Stella?"
Tolgo il tappo e faccio aderire la punta al legno scuro. Sottili lettere luccicanti si delineano precise.
Una volta che l'amore nasce, ovunque ti porti il cuore, c'è sempre un posto che ne conserverà il ricordo.
Questo porta i nostri nomi: Stella e
Mi prendi il pennarello dalle dita e lasci la tua firma.
Luca.
"Luca?"
"Dimmi."
"Ti amo."
"Anch'io."
YOU ARE READING
Lampo di vita
RomanceRoma, Settembre 2011. Una giovane donna è su una terrazza a guardare dei fulmini in lontananza, poco distante, alle sue spalle, c'è un uomo che la guarda... Roma, Estate 1996. Luca e Stella sono giovani, diplomati e innamorati... Una storia narrata...