❝L'imprevedibilità delle svolte❞

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è come la polvere che
si posa con leggerezza
tu sei qui ma,
per qualche ragione,
non riesco a raggiungerti.

— Butterfly

sᴛɪɢᴍᴀ ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ

Nel frattempo...

Centro di Daegu. Victoria Hospital. Obitorio.

Il luogo più silenzioso del Victoria Hospital era l'obitorio, locale in cui sono esposti o temporaneamente conservati i cadaveri in attesa del riconoscimento o dell'autopsia. In quel caso si trattava di due stanze ubicate nei piani seminterrati dell'edificio.
Per ogni reparto c'era una squallida porta bianca con il proprio nome attaccato accanto ad essa, su una parete spoglia.
La parola "mortuary", a lettere blu, era grande e visibile.
Il solo avvicinarsi a quel reparto, se non si era medici, metteva i brividi: si poteva sentire da fuori persino l'aria fredda che aleggiava dentro e l'atmosfera tetra che calava sui corpi dei morti, congelati per via del tempo passato nelle celle frigorifere.
Il medico Amber Brown si avvicinò alla porta dell'obitorio e la spinse senza farci caso. Ormai si era abituata a quel persistente odore di morte, dopo tre anni di lavoro passati là dentro.
«Amber!» esclamò un collega, sorridendo, non appena la ragazza mise piede nella prima stanza del reparto.
«Namjoon», salutò a sua volta lei, mentre la porta le si richiudeva dietro. «Procede bene il lavoro?»
«Si, si», rispose il ragazzo con gli occhi scuri e grandi su di lei. «All'università mi ero fatto un'idea diversa, ma è un lavoro che mi piace davvero.»
«Bene!» esclamò Amber accennando un sorriso al ventitreenne tirocinante, intento ad esaminare un corpo steso sull'unico tavolo in lamiera di metallo, insieme ad un altro medico, che quest'ultima si limitò a salutare con un cenno del capo e una smorfia simile ad un sorriso.
La giovane, appena ventiquattrenne, laureata in America, dopo aver frequentato un'università con corsi specifici, si era trasferita in Corea Del Sud e si era guadagnata la simpatia della maggior parte dei dottori del Victoria Hospital. Giovane, carina, brava nel proprio lavoro, e, sino all'arrivo del tirocinante Kim Namjoon, la più piccola tra i suoi colleghi.
«Sei in ritardo, Amber. Di nuovo», commentò il collega a fianco del ragazzo, curvi su un freddo tavolo.
«Lo so, arrivo subito.»

In quel periodo, Amber aveva troppi grilli per la testa. Il suo ragazzo l'aveva lasciata da circa tre mesi, per via dell'assenza causata dal duro lavoro, e lei non sembrava riuscire a smettere di pensargli. Abbandonare il lavoro non le era neppure lontanamente passato per la testa. Tutti i suoi sforzi per laurearsi e arrivare fin lì sarebbero stati vani, quindi, avendo sempre avuto una personalità indomita, aveva tirato ad andare avanti. Ciononostante, però, i suoi ritardi si facevano sempre più presenti, tanto quanto i suoi pensieri.
Namjoon, che non aveva smesso di guardarla neppure mentre si raccoglieva i capelli biondi in una coda stretta, era l'unico ragazzo a cui si era avvicinata sul posto di lavoro.
L'uomo al suo fianco lo richiamò, scuotendo seccamente il bordo del camice bianco indossato dal ragazzo, riportando il giovane alla realtà mentre Amber spariva nella seconda stanza dell'obitorio, dove altri quattro medici erano impegnati nel proprio lavoro.

Passarono ore ed ore in quelle due stanze vuote. Ognuno di loro era impegnato al massimo nel proprio lavoro, come sempre. Per l'intera la giornata era filato tutto liscio, in quel reparto di servizi mortuari, fino a quando Amber, finito il suo turno di lavoro, si tolse il camice e qualcosa cadde sul pavimento, tintinnando. Quest'ultima si rese subito conto di aver perso l'anello di fidanzamento che le aveva regalato il suo ex ragazzo e che ancora aveva all'anulare, nella speranza che la rottura fosse momentanea.
La ragazza cominciò a cercare il piccolo anello, cui teneva tantissimo, ma molto probabilmente era finito dietro ad un mobile, dato che negli spazi visibili non n'era alcuna traccia.
Amber si piegò per terra e guardò sotto le celle frigorifere, ma non riuscì a scorgere nemmeno la flebile luce che emanava il piccolo brillante incastonato nell'anello. Decise quindi di spostare un mobile, vicino alla porta d'entrata dell'altra stanza e ad un cestino in cui solitamente venivano buttate le targhette con i nomi dei morti che erano stati lì dentro.
Spostato il mobile al centro della stanza, Amber finalmente trovò ciò che cercava. Rimise al dito l'anellino e fece per spostare di nuovo l'armadio inox a due ante. Però, prima ancora di metterci sopra le mani, due pezzettini di carta attirarono la sua attenzione. Erano targhette.
Amber si abbassò nuovamente sulle ginocchia e raccolse i due cartellini di forma rettangolare dal colore giallognolo i cui due fili bianchi si erano attorcigliati tra loro. In obitorio ogni targhetta, che serve per identificare i corpi dei morti, ha un piccolo buco in cima, e ad esso viene legato un filo sottile che viene a sua volta messo intorno al pollice del defunto il cui nome sta scritto sul cartellino.
Il medico staccò le due targhette e pensò che probabilmente, data la posizione in cui si trovavano, così vicini al cestino, dovevano essere stati messi in un sacco, assieme ai cartellini da buttare, e probabilmente, mentre il contenuto del sacco veniva rovesciato nel cestino, essi, ancora attorcigliati, erano scivolati fino a lì, senza che nessuno se ne accorgesse.
La ragazza si rimise in piedi e lesse le targhette, incuriosita, mentre si avvicinava al cestino a passi lenti.
Su entrambe le targhette c'erano scritte le informazioni di due donne morte nello stesso giorno.
Nella prima c'era il nome di una certa Kim Hyuna, morta dopo essere stata investita da un camion. La data della morte coincideva con quella della seconda targhetta: erano avvenute entrambe il 10 novembre 2014, due anni prima. C'erano inoltre precisamente scritti il luogo del decesso (una movimentata città di Daegu), l'orario della morte e il nome dei medici che l'avevano visitata.
Amber guardò poi la seconda targetta:

Nᴏᴍᴇ: Kɪᴍ Yᴏᴜʀᴀ.
Cᴀᴜsᴀ ᴅᴇʟ ᴅᴇᴄᴇssᴏ: ᴄᴀʀᴅɪᴏᴘᴀᴛɪᴀ.
Dᴀᴛᴀ ᴅᴇʟ ᴅᴇᴄᴇssᴏ: 10 ɴᴏᴠᴇᴍʙʀᴇ 2014
Oʀᴀʀɪᴏ ᴅᴇʟ ᴅᴇᴄᴇssᴏ: 23:17
Lᴜᴏɢᴏ ᴅᴇʟ ᴅᴇᴄᴇssᴏ: Bᴇᴏᴍᴇᴏ-ᴅᴏɴɢ, Sᴜsᴇᴏɴɢ-ɢᴜ, Dᴀᴇɢᴜ, Cᴏʀᴇᴀ ᴅᴇʟ Sᴜᴅ.

Amber strinse forte il filo dell'ultima targhetta tra le mani: quel nome le era molto familiare ma nella sua memoria non riaffiorava niente di concreto.
Era davanti al cestino e allungò il braccio per buttare le targhette, quando Namjoon entrò in stanza con il camice piegato su un braccio. Guardò Amber con il braccio ancora teso e d'istinto la ragazza tirò velocemente i cartellini dentro la tasca dei jeans color cachi. Forse era semplicemente curiosa di sapere il perché di quella strana familiarità che aveva provato nel leggere il nome scritto sulla seconda targhetta.
Kim Youra. Le suonava stranamente familiare.

«Amber», chiamò il ragazzo aggiustandosi meglio gli occhiali da vista con i bordi neri sul naso. «Che nascondi?» rise.
«Niente di importante», rispose lei tranquillamente.
«Mi fido», disse sorridendo l'altro alzando le mani accanto alla testa in segno di arresa.
Amber sorrise.
«Namjoon», disse inclinando la testa di lato quando il ragazzo le voltò le spalle per uscire. «Ti va di... prendere un caffè prima di tornare a casa?»
Il ragazzo si bloccò di colpo e solo dopo pochi secondi si voltò e scrutò attentamente negli occhi di Amber. Sembrava non crederle.
«Oh, si, d'accordo», esclamò infine, facendo spallucce e passandosi una mano tra i capelli biondo cenere.
«Bene, andiamo allora», sorrise scrollando le spalle e mettendo da parte, per il momento, l'idea che quella sera stessa avrebbe cercato su internet il nome scritto sulla seconda targhetta.

N O T E

Perdonate il capitolo indecente, è soltanto molto utile, come il successivo.

Elisa.


CHERRY BLOSSOM | k.thDove le storie prendono vita. Scoprilo ora