❝La fragilità accomuna due cuori di vetro❞

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non importa quanto forte
possa battere la pioggia
non importa quanto profondamente
possa essere inghiottito dall’oscurità.
io ti salverò perché tu non sei sola.

— Don't Leave Me

ᴛʜᴇ ᴛʀᴜᴛʜ ᴜɴᴛᴏʟᴅ ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ
(consigliata)


Taehyung aveva occhi che parlavano da soli. Erano occhi scuri, abissali, la cui profondità non sembrava avere fine. Non portava il silenzio che accompagna il vento tra le spighe di grano, o quello che popola il fondale marino degli oceani. Era nei momenti in cui non proferiva parola
che i suoi occhi facevano più rumore.

All'ombra dei ciliegi, Taehyung sembrava essersi perso in un posto lontano. Aveva lo sguardo all'orizzonte, laddove gli edifici più alti di Daegu si ergevano verso il cielo di primavera e le nuvole bianche. Io sistemavo la busta della spesa vicino a me, tra i fili d'erba di quel grande parco. Lo stesso in cui Taehyung mi aveva confessato la morte di sua sorella e la mia così grande somiglianza a lei. Solo per questo motivo lui mi era vicino, e solo perché lo comprendevo gli ero vicina io.
Guardava altrove, forse cercando nella calma di quel giardino un modo per spegnere le voci che lo consumavano. Il pianto soffocato di Yoongi, le urla di suo padre e la flebile voce di una madre troppo debole.
Le sue dita erano ancora sporche di sangue da quella mattina, quando aveva fatto irruzione a scuola trascinandosi dietro il fratello per riportarlo a casa. Lì vi era andato ma non aveva avuto tempo neppure per lavarsi via quel sangue secco dalle dita, e ormai ne avevo capito il motivo. Quella casa era solo pareti, pavimento e mobili. Nient'altro.
Il vento soffiava fresco, passando le sue invisibili dita tra i morbidi capelli del ragazzo, dai deliziosi riflessi color miele. Gli accarezzava la fronte e lui chiudeva gli occhi, in mancanza d'affetto, in mancanza di dolci attenzioni. L'aria sfiorava con le leggere mani di una madre, i tagli del suo viso e i lividi violacei che macchiavano la sua pelle d'ambra. La sua voce bassa rimpiazzò il silenzio e lo dipinse di un colore più caldo.
«Non hai chiesto niente riguardo alla mia faccia ben dipinta.»
Io, che già lo guardavo, dovetti solo alzare un po' il mento per incrociare il suo sguardo, che dopo poco trovò di nuovo rifugio tra i contorni delle grigie costruzioni.
«Non voglio sembrare superficiale e giungere a conclusioni senza averne il diritto, ma anche chiederlo mi è sembrato troppo invadente», confessai poco prima di scorgere, sul suo profilo, l'ombra di un breve sorriso.
«La cosa ti interessa?», domandò.
«Direi di sì», risposi un po' in imbarazzo. Il vento continuava delicatamente a soffiare.
«Facciamo così», disse dopo aver riflettuto per qualche secondo. «Ti va di fare un gioco? È molto semplice.»
Alzai un po' le sopracciglia. «Che tipo di gioco?»
I palazzi erano riflessi nei suoi occhi.
«Risponderò soltanto a tre delle tue domande.»
«Okay», feci spallucce.
«No», sorrise lui, abbassando lo sguardo e scuotendo poco la testa. «Non è solo questo.»
Si voltò.
«Avrai le mie risposte solo se anche tu risponderai a tre delle mie domande», mimò con la mano, alzandola sotto al viso. «Altrimenti non sarebbe giusto.»
«Ho comprato dei dolci. Posso offrirtene qualcuno», feci spallucce, cercando di corromperlo.
Lui sorrise.
«Magari dopo.»
Io annuii, asciugandomi le mani sulla gonna. Taehyung continuava a guardarmi.
«Hai dei segreti?» mi chiese.
«Perché lo chiedi?»
«Sembri nervosa.»
Continuavo a guardare avanti, ma riuscivo ancora a sentire il suo sguardo sul mio viso. Deglutii.
«Forse puoi scoprirlo», risposi. «Non iniziamo?»
«Si», sospirò, rivolgendo il viso ai grandi alberi e appoggiando le mani sull'erba. Il suo viso era teso, ma sembrava ce la stesse mettendo tutta per apparire tranquillo. La prima domanda era mia.
«Perché prima non mi hai lasciato chiamare la polizia?» chiesi posando su di lui lo sguardo.
Taehyung strinse la mascella e le sue palpebre si mossero in un impercettibile fremito.
«Perché quell'uomo è mio padre», disse, scandendo bene le parole.
Guardava in basso, i fili d'erba verde tra le sue dita. Nella voce calma si percepiva la fatica.
«Ma non è certo questo il motivo. Non lo faccio per lui», continuò. «Mia madre lo ama molto, sin dai tempi del liceo.
Seguì un breve silenzio, in cui le risate lontane dei bambini nel parco si mischiarono ai rumorosi respiri del ragazzo.
«Un tempo anche io ridevo così», mormorò la profonda voce che si incrinava come una spessa trave sotto il peso di un masso molto grande. «Ma dopo la morte di mia sorella è cambiato tutto. Mio padre è impazzito, mia madre è un fantasma. Anche noi siamo cambiati, io e Yoongi. Ma non saprei spiegarti bene in che modo. Ciò che è certo è che abbiamo perso molto, e questo ci ha, come dire..., prosciugati. Siamo noi, ma più scuri. Più vuoti. La perdita di Hyuna ci ha svuotati tanto da ridurci all'impotenza del controllo di noi stessi e attorno ci circonda un silenzio insopportabile.
A volte, mi sento come se... la nostra vita fosse chiusa in una grande stanza dalle pareti insonorizzate e, nonostante i nostri urli, la gente continuasse a non sentire.
Mi viene da ridere, sai, quando ti guardano con compassione e, con una mano sulla spalla, ti consolano dicendo che la vita va avanti. Non vedo come possa essere una consolazione!
E' vero, la vita va avanti, ma non è più la stessa. Se hai perso qualcosa, quel qualcosa non tornerà mai più, e tu non potrai mai smettere di sentirti inghiottito da quel vuoto che la sua scomparsa ti ha lasciato.»
Il vento si alzò bruscamente, come se avesse sentito il dolore di Taehyung, che continuava a guardarsi le mani che, dolcemente, accarezzavano il prato.
«Sono vincolato», mormorò. «Non posso fare niente per me, né per Yoongi, né tantomeno per mia madre. Perché lei è testarda, ma così testarda, Youra... Riesce a conservare il suo amore per quell'uomo, nonostante tutto il dolore che ci provoca.»
Nell'udire quelle parole così forti mi si seccò la gola e compresi la sua fragilità.
Taehyung aveva un cuore di vetro e raccoglieva in silenzio i suoi frammenti sparsi sul cemento su cui camminava scalzo.
Sorrise tristemente e, subito dopo, digrignò i denti.
«Mamma ha una forte dipendenza affettiva. Ha paura di perdere quella persona che la distrugge», disse.
«È così stupida... Glielo ripeto sempre, quanto è stupida. Lo ama e separarsi da lui sarebbe come morire, continua a ripetere. E... sai, io non voglio perdere anche mia madre.»
Annuii. Si udivano ancora le voci dei bambini che correvano in lontananza e quella della loro madre che contava ad alta voce. Taehyung tirò su col naso e sorrise malinconicamente.
«Tocca a me, adesso», alzò lo sguardo. «Parlami di te, prima dell'arrivo in questa scuola bastarda.»
Io sorrisi, sconsolata.
«C'è davvero poco da dire», dissi portandomi dietro le orecchie le ciocche ribelli che il vento spostava.
«C'è sempre qualcosa da dire», ribatté lui.
«Magari non nel mio caso», feci spallucce.
Taehyung era attento, molto attento, e i suoi occhi si riducevano a due fessure ogniqualvolta scovasse un piccolo bugiardo. O, nel mio caso, una grande bugiarda.
«Che cosa intendi dire, Youra?»
Sospirai e mi schiarii la gola, cercando di non farmi assalire dai tremori che agitavano il mio animo come i venti ne "Il Paesaggio" di Van Gogh pensando al mio passato sfuocato. Avrei tanto voluto saltare quella domanda, ignorare le sue parole e frenare il ciclone che di lì a poco mi avrebbe inghiottito nella sua incessante pioggia di lacrime. Ma non potevo, non dopo tutta la fatica che quel ragazzo aveva provato per dar risposta alla mia curiosità.
Presi fiato. Dopotutto avevo ripetuto mille e mille volte quel discorso, nel caso un giorno avessi dovuto raccontarlo, perciò mi convinsi del fatto che non avrei dovuto avere troppa paura. Si trattava solamente di ripetere, a memoria. No?
«Quello che sto per raccontarti non l'ho mai detto a nessuno, Taehyung. Alcune persone conoscono bene la mia storia, altre l'hanno sentita ai telegiornali tempo fa e altre ancora l'avranno curiosamente letta sui giornali.»
E mentre parlavo la mia voce divenne controllata e stabile, in quel momento di lucidità, mentre la mia mente cercava disperatamente di ricordare le precise parole che mi ero preparata. Con la coda dell'occhio, vidi Taehyung annuire, poi inghiottii ancora saliva e guardando l'orizzonte parlai come se stessi leggendo la trama di un romanzo.
«Fino a due anni fa... la mia vita non andava oltre le pareti di un orfanotrofio. Non avevo un padre, né una madre. Ero solamente una quattordicenne chiusa dentro uno spazioso ma triste edificio. I miei unici amici erano autobiografie, che mi tenevano occupata nelle monotone giornate che trascorrevamo là dentro. Le suore ci istruivano, facevano saltare la corda alle femmine e insegnavano le buone maniere ai ragazzi, sin da bambini. I dettagli della mia infanzia non sono in grado di ricordarli. In realtà, quello che ti sto dicendo mi è solamente stato detto. Molte cose mi verranno spiegate col tempo perché, come dice mio padre, sono ancora troppo vulnerabile. Io, esattamente due anni fa, verso sera, sono stata trovata ad appena un chilometro di distanza dal centro in cui avevo passato la mia vita sin da bambina. Sono stata trovata in mezzo alla strada, hanno detto. Suppongono che, spaventata, correndo, non mi sono accorta di un camion che aveva superato i limiti di velocità e non ce l'ho fatta ad attraversare la strada.»
Mentre le parole mi uscivano dalla bocca, scivolando come l'acqua di un torrente, potevo sentire il mio corpo scosso dai brividi e, ogni tanto, la mia voce si spezzava come il ramo di un albero pestato da un piede. Non abbassai lo sguardo. Se l'avessi fatto il ciclone mi avrebbe sicuramente investito in tutta la sua violenta forza.
«Youra», sentii la profonda voce di Taehyung sussurrare.
«E' finita così», continuai ignorando i suoi richiami. «Il mio cuore non batteva più. Ero morta, hanno detto. Hanno sollevato il mio corpo e mi hanno portata all'ospedale.
Nessuno piangeva per me. Nessuno stava soffrendo per la mia morte.»

«Youra, basta così», sussurrava il ragazzo accanto a me mentre anche la sua voce si incrinava. Se la mia mente non fosse stata vuota come una scatola, lo avrei immaginato cercar di chiudere le crepe sul mio cuore con dei cerotti. «Basta, fermati, non volevo questo–»
«E poi è avvenuto il miracolo», continuai. «Non ho ricordi precisi di quel giorno, ma nella mia mente continuo a vedere una stanza vuota. Intorno a me ci sono dei sacchi neri, lunghi e chiusi. Non ricordo altro, oltre le macchie sfuocate di camici bianchi che mi stendevano su un letto e delle voci che mi suggerivano di riposare. Mi hanno chiamata "miracolata"; mi hanno detto che non sarei più stata sola perché un buon uomo si era offerto di adottarmi. Mi hanno sussurrato che sarebbe andato tutto bene e la gente attorno a me sorrideva di gioia. Alcuni piangevano persino. Da quell'incidente non ricordo più niente del mio passato. Le pareti dell'orfanotrofio, che per anni è stato la mia casa, sono stati cancellati, e le cose che avevo imparato durante le lezioni... anche quelle svanite nel nulla.»
Mi viene in mente la citazione di un grande scrittore giapponese contemporaneo:

Ci sono cose che svaniscono all'improvviso come se fossero state recise da un colpo secco,
mentre altre si dissolvono lentamente fino a sparire del tutto.
Ciò che rimane è solo il deserto.

«"Amnesia retrograda"», sussurrai. «Amnesia retrograda, continuavano a ripetere tutti.»
Intorno a me non c'era vento, non c'erano alberi, non c'erano ciliegi, non c'era alcun Kim Taehyung. C'erano solo valanghe di parole.
Poi una mano mi afferrò dietro la schiena e sentii calore sulla mia fronte. Così, improvvisamente, vidi il ciclone, e mi investì violentemente.
«Va tutto bene, Youra», sussurrava Taehyung, avvolgendomi in un abbraccio, e carezzandomi lievemente la testa, posata sulla sua spalla. «Va tutto bene adesso.»
E le mie lacrime bagnavano la sua maglietta, impregnandola del dolore che costantemente provavo e il senso di vergogna.
«Non saresti dovuta arrivare a tanto», mormorò tra il rumore delle auto e la caduta dei petali. «Ma adesso è tutto okay... giocheremo un'altra volta.»

Kim Taehyung aveva perso la sua famiglia, io avevo perduto me stessa.
Fu allora che compresi di non essere più sola, che qualcuno condivideva un dolore, seppur diverso dal mio, altrettanto forte. Compresi che la fragilità accomuna due cuori di vetro. Ed entrambi perdevamo dalle nostre crepe.

Taehyung gocciolava come un'alba satura,
e io mi riversavo
come un lavandino traboccante.

CHERRY BLOSSOM | k.thDove le storie prendono vita. Scoprilo ora