Dicono che non apprezzi il valore di una cosa fino al momento in cui non la perdi.
Dicono che è proprio quella mancanza, quel particolare che davi per scontato, che ora non c'è più, la causa del tuo dolore.
Perché una perdita, un lutto, un'assenza cambiano la nostra prospettiva di vita.
L'ordine delle cose non è più lo stesso.
E così scopriamo che quello che ritenevamo essenziale per noi è in realtà superfluo.
O viceversa.
Mi chiedo se per i vampiri sia anche così.
Se si siano resi conto dell'importanza della loro umanità solo dopo averla persa.
Ma forse è il concetto di vampirismo a essere sbagliato.
Se osservo la vita che conducono Klaus ed Elijah, essere vampiri non mi sembra poi questa gran cosa.
Sono forti, potenti, spietati, affascinanti, seducenti.
Ma anche noi umani lo siamo.
Solo che loro, lo sono... un tantino di più.
Quella mattina il sole si notava solo per la sua assenza.
Mi chiesi se per caso Klaus andando via non l'avesse portato con se.
Klaus era il sole. Accecante, eterno, delicato ma anche crudele.
Se ti avvicinavi troppo o ci giocavi finivi per scottarti.
Proprio come col sole.
Eppure il sole era la vita. Ma allo stesso tempo poteva anche uccidere.
Come può una cosa bella far male?
Dio, questa frase mi ricordava Klaus. Non era forse stato lui a dirmi:
'Ciò che ami può anche ucciderti'?
Anche lui quel giorno si notava solo per l'assenza.
Era nello Yorkshire a discutere di strategie politiche e militari con qualche pezzo grosso della casata degli York.
E io ero sola, per la prima volta da quando ero giunta nella tenuta londinese dei Mikaelson, nel mio letto.
Un tuono, più forte dei precedenti richiamò la mia attenzione.
Voltai la testa sul cuscino, quel tanto che bastava per guardare fuori dalla finestra.
L'aria era carica di attesa. Di elettricità che crepitava ovunque.
Era il momento che precedeva una tempesta.
Il cielo era una cappa di nuvole scure che si muovevano tumultuose come onde immense.
Ogni tanto, sempre con frequenza maggiore, un lampo lo illuminava facendo apparire i colori più scuri e vividi che mai. Teatrali.
L'ultimo tuono mi provocò un brivido assurdo lungo la schiena.
Era una pura scarica di potere.
Ma.. mi piaceva.
Quando le prime gocce d'acqua presero a battere contro i vetri della mia finestra mi alzai per osservare meglio.
'Ci siamo'
Pensai pronta a godermi lo spettacolo.
E d'un tratto quando ormai l'acquazzone divenne così potente da non permettermi di guardare oltre quel muro d'acqua fitto, un'idea folle e brillante mi animò d'entusiasmo.
Uscii di corsa dalla mia camera, sorridendo come una bambina eccitata il giorno di Natale.
Mi precipitai lungo le scale e arrivai giù nella sala dei banchetti accanto alla cucina.
Lui era li, vestito di tutto punto già a prima mattina, a consumare pigramente la colazione mentre osservava il diluvio la fuori.
Quando entrai di corsa nella sala, spalancando le porte, col fiatone e la gote arrossata, scattò in piedi, rovesciando un calice di succo scuro e mi guardò allarmato.
"Cos'è successo Katerina?"
Io risi. Risi di gusto di fronte alla sua formalità impeccabile e alla serietà della sua espressione.
Scossi il capo e lui mi guardò interdetto.
"Venite con me"
Dissi infine con quella euforia che quella mattina mi teneva prigioniera.
Elijah sembrò stupito dalla mia richiesta. Poi, un secondo dopo, si pulì il labbro con un tovagliolo, lo lasciò sul tavolo e mi seguì.
"Va tutto bene?"
Continuava a ripetermi. Io camminavo e basta, cullata dal ticchettio della pioggia che lavava i vetri e i muri di quella casa.
Alla fine, una volta giunti dinnanzi all'uscita principale, mi voltai e lo presi per mano.
Sentii una scossa propagarsi dal punto in cui le nostre dita si erano sfiorate, fin sopra il mio braccio, ma non mi ritrassi. Nemmeno lui lo fece
Chissà poi se i vampiri potessero percepire cose del genere.
"Venite con me"
Ripetei guardandolo negli occhi. Lui non oppose resistenza anche se sentivo un leggero nervosismo persistere tra noi.
Aprii la porta della casa e in un attimo quello che fin'ora era stato solo un dolce rumore filtrato dai vetri e dalle pareti, divenne così forte e amplificato da tapparsi le orecchie.
"Credo che non sia un buon momento per mostrarmi ciò che volete.. se questo significa attraversare il cortile adesso"
Disse in tono rigido fissando di traverso la mia mano nella sua.
Io lo trascinai fuori e lui si arrese.
"Vi preoccupate per la vostra salute?"
Chiesi correndo sul portico con lui al mio fianco.
"Non è per me che mi preoccupo.."
Rispose con un tono così basso che ebbi la sensazione di essermi immaginata tutto.
Gli lasciai la mano e.. balzai fuori dal porticato in legno.
I miei piedi nudi affondavano nella terra bagnata ad ogni passo.
In pochi secondi la mia camicia da notte bianca divenne una seconda pelle. Per fortuna era leggera e non pesava affatto.
Ridevo mentre l'acqua mi colpiva come se davvero stessi nuotando nell'oceano.
Spalancai le braccia al cielo e alzai il viso lasciando che la pioggia mi soffocasse lavando via tutti i miei pensieri, tutte le mie preoccupazioni.
Lasciandomi così, esattamente come desideravo, libera di esistere.
Mi voltai verso il porticato dove Elijah, immobile come una statua greca, mi fissava. Ma dal punto in cui mi trovavo, con tutta quella pioggia che mi danzava intorno, non riuscii a leggere la sua espressione.
"Allora venite o no?"
Gli urlai per sopraffare l'incessante scroscio della pioggia.
Dopo qualche attimo di esitazione, lo vidi abbandonare la sua posa rigida e seguirmi.
In poche e semplici falcate mi raggiunse e mi guardò senza capire.
Io ricambiavo il suo sguardo ma nel mio non c'era altro che felicità. In quel momento non sapevo neppure cosa significasse essere una persona cupa e preoccupata.
"Cosa volete mostrarmi Katerina?"
Io scossi il capo e risi, perché a volte, anche un millenario vampiro originale può essere stupido e ingenuo come qualsiasi ragazzo al mondo.
Gli presi entrambe le mani questa volta. Mi avvicinai a lui, posizionandomi di fronte, col fiato mozzo e quel sorriso eterno dovevo sembrargli una matta.
Ma non mi importava.
Restai a fissarlo e cercai di trasmettere tutta la matassa di emozioni che si agitava in me in quel momento.
Intanto la pioggia ruggiva ovunque, cancellando tutte le barriere, i confini, e lasciando che il paesaggio rurale intorno a noi fosse solo una macchia indistinta di verde.
Al mondo non esisteva null'altro se non le mani di Elijah, i suoi occhi spiritati e noi due al centro di quell'inferno dorato, unica certezza che mi diceva che non era tutto un sogno.
Quando anche lui se ne accorse, qualcosa nella sua espressione rigida vacillò.
Dopo un lungo bagno caldo e una zuppa fumante per pranzo, nel pomeriggio decisi di riposare un po'.
Fuori non smetteva di piovere, e ogni goccia che cadeva era per me un promemoria di quanto era accaduto quella mattina.
Sorrisi rigirandomi tra le lenzuola fresche di bucato e qualcuno bussò alla mia porta.
"Avanti"
Era Jannette.
Si inchinò brevemente mentre io mi mettevo a sedere sul letto.
"Lord Elijah vi informa mia signora che questa sera si terrà un ballo nella tenuta dei Smallwood qui accanto e voi siete stata invitata"
Oh, fantastico.
"Bene.."
Dissi sopra pensiero fissando un punto indefinito della stanza intorno a me.
".. e abbiamo un abito per andarci?"
Le chiesi mostrandole ciò che in quel momento mi turbava.
"Controllerò mia signora"
Annuii ma le sue parole non mi tranquillizzarono affatto.
A complicare le cose ci pensò Elijah.
Sembrava sparito, dissolto nel nulla, nella pioggia la fuori.
Uno strano senso di ansia e inquietudine mi accompagnò per tutto il pomeriggio.
Qualcosa lo aveva infastidito, turbato, a tal punto da doversi nascondere? Da me?
Forse ero solo paranoica. Forse, come al solito, la mia mente vedeva cosa che non c'erano.
Eppure il fatto che nessuno degli inservienti sapesse che fine avesse fatto il loro padrone, era un dato di fatto.
Magari stava riposando un po'. O aveva delle faccende private da sbrigare nelle sue camere.
Non mi azzardai a controllare.
L'ultima cosa che volevo era che qualcuno pensasse che mi intrattenessi anche nelle stanze private di Elijah. Non che mi importasse qualcosa di ciò che la gente pensava.. il fatto che avessi una figlia illegittima ne era la prova.
Ma ero li da poco e questa volta ci tenevo davvero a fare le cose per bene.
A distrarmi dai miei pensieri ci pensò la mia cameriera, Jannette.
"Milady ho trovato questo in una delle stanza al terzo piano"
Si avvicinò con una lunga custodia di pelle entrando in camera mia.
"E' nuovo?"
Chiesi mentre aprivo la cerniera per liberare l'abito.
Jannette arrossì e chinò il capo colpevole.
"Temo di no milady.. è di Lady Flamel l'ultima volta che è stata qui. Credo l'abbia dimenticato"
La bellezza di quell'abito che costava dieci volte la mia vecchia casa in Bulgaria, dissimulò l'irritazione nell'indossare qualcosa che in passato era appartenuto a un'altra.
"E dov'è Lord Niklaus milady?"
"Oh. E' partito ieri per lo Yorkshire. Aveva delle questioni urgenti da sbrigare con Henry della casata degli York"
A quel nome vidi gli occhi porcini del mio interlocutore spalancarsi per la sorpresa e l'invidia. Al suo fianco, un altro uomo di mezza età, robusto e con la calvizie incipiente, rifletteva la stessa identica espressione.
Io sorrisi soddisfatta inclinando lievemente il calice di champagne verso di loro e bevendo un sorso.
Con soggezione, i due uomini fecero lo stesso.
Adesso mi guardavano con un espressione diversa.
Se prima erano rimasti colpiti dal mio aspetto, adesso lo erano dalle mie parole.
Era come se mi stessero.. rivalutando.
E fu allora che mi accorsi della scintilla di rispetto e ammirazione nei loro occhi.
E il merito era tutto di Klaus e dei suoi impegni politici.
Ero arrivata alla festa solo mezz'ora prima.
La sala risplendeva di servizi in cristallo mai usati e candelabri accesi ovunque.
Mentre mi aggiravo tra quei tavoli imbanditi e quegli ospiti impacchettati nei loro vestiti d'alta moda, intrattenevo piccole conversazioni, inumidendomi di tanto in tanto le labbra con un po' di champagne. Molti dei presenti gli riconobbi di sfuggita: erano gli stessi che avevano preso parte al compleanno di Niklaus tempo prima.
Sembravano tutti interessati a parlare con me e restavano colpiti ogni qual volta menzionavo i progetti di Klaus per giustificarne l'assenza.
In quel momento mi accorsi che il mio atteggiamento era come quello di una giovane donna sposata, pronta a fornire spiegazioni e a parlare orgogliosa del suo consorte assente.
Questo, unito al fatto che ogni minuto di più sentivo davvero di appartenere a quel posto, a quella gente, a quella società che avevo sempre sognato, mi diede un senso di euforia selvaggia e incontrollabile. Una sensazione potente che vacillò quando una donna con cui stavo chiacchierando mi chiese:
"Sapete dov'è lord Elijah?"
Oh.
"Mi spiace, ma non ne ho idea.."
Risposi cercando di non mostrare quanto quella cosa mi rendesse nervosa.
"Non siete arrivati insieme alla festa milady?"
Domandò stupita la donna abbandonando il suo champagne per occuparsi di me.
L'espressione del suo viso, confermò i miei timori.
Elijah non era tipo da lasciare una giovane donna sola in una serata come quella. Ne uno che si tirava indietro quando c'era da scortare e far da cavaliere ad una festa.
Quella sera, poco prima di partire, aspettavo nel salone della tenuta che lui arrivasse a prendermi.
Invece era tornata Jannette che diceva che la mia carrozza era pronta.
Mia.
Gli chiesi di Elijah e lei scosse la testa. Le ordinai di portarmi suo notizie.
Tornò poco dopo dicendo che lui aveva degli impegni da sbrigare ma che sarebbe comunque venuto alla festa.
E così parii. Sola nella mia carrozza.
Durante il breve tragitto dalla nostra tenuta a quella degli Smallwood decisi di credere alle sue parole. Tardava perché aveva delle faccende da sistemare.
Ma adesso dopo aver parlato con questa donna con una grande predilezione per i super alcolici e i cappelli stravaganti, ne ebbi la conferma.
Elijah mi stava evitando.
Nei minuti seguenti cercai di eludere qualsiasi conversazione per dedicarmi alla ricerca di Elijah.
Dovevo assolutamente capire cosa non andava.
Lo trovai poco dopo, attorniato da un folto numero di gentiluomini e nobildonne che pendevano dalle sue labbra, non di certo immuni al suo fascino e al suo stile impeccabile.
Quasi corsi verso di lui. Poi mi fermai e con una mano gli sfiorai una spalla.
Lui si voltò sorpreso di vedermi. Il sorriso sulle labbra gli morì in viso.
"Avete un momento milord?"
Lui tentò di sorridere. Ma era chiaro che gli costasse fatica e io proprio non ne capivo il motivo.
"Perdonatemi Katerina, ma adesso sono occupato"
Era sincero. Il suo tono esprimeva davvero sincerità. Eppure io sapevo che stava mentendo.
Annuii con fermezza fissandolo con occhi duri, ma solo per trattenere le lacrime.
Lui tornò a darmi le spalle e a intrattenere i suoi ascoltatori.
E io restai sola e ferita col mio bicchiere di champagne.
Mi rifugiai in un angolo della sala a osservare gli altri che bevevano, chiacchieravano e si divertivano senza pensieri al mondo. In quel momento mi sentii la donna più sola sulla faccia della Terra e pensai a Niklaus. Al calore delle sue braccia, del suo sorriso.
Chissà se anche lui, a kilometri di distanza, condivideva i miei pensieri.
Alle mie spalle sentii una risata più forte delle altre.
Mi voltai e osservai la stessa donna che mi aveva chiesto di Elijah, tenerlo a braccetto e ridere con lui.
Provai disgusto per il modo in cui quella donna accarezzava con possessività il petto di Elijah e di come lui accettava quelle attenzioni da una donna molto più grande.
Lei lo condusse nella piccola saletta accanto, dove un piccolo numero di musicisti suonava invitando la gente a ballare.
Li seguii di soppiatto e vidi Elijah posizionarsi al centro della sala nella fila degli uomini, difronte alla quale Lady 'PassioneOriginale', come l'avevo soprannominata, prendeva posto con le altre signore.
La musica iniziò lenta e dolce, come una ballata antica.
I passi del ballo erano semplici e ripetitivi. Ogni qual volta il ritmo cambiava si faceva lo stesso con le persone.
Decisi di buttarmi sperando di non far brutta figura. Quello era un bel modo per incastrare Elijah e convincerlo a parlare con me.
Presi posto in fondo alla fila delle signore, mentre lui si trovava dal capo opposto.
Avrei dovuto cambiare un bel numero di cavalieri per giungere a lui.
E cosi passai i seguenti minuti a far finta di sorridere a uomini di mezza età e giovani così rammolliti da non saper guidare una dama in un ballo.
Ma quella tortura stava per finire.
La musica cambiò e così il mio cavaliere.
E io finii dritta nelle braccia di Elijah.
Dapprima sorrise, pronto ad accogliere la sua prossima dama, ma quando mi riconobbe, quel sorriso svanì esattamente come era accaduto poco prima.
"Mi stata forse evitando?"
Gli domandai mentre la musica procedeva lenta e sinuosa tra di noi.
"Niente affatto Katerina"
Mi rispose lui con severità.
"Allora perché ho come la sensazione che preferireste essere ovunque tranne che qui?"
Non dovevo piangere. Non dovevo.
Dentro di me ringraziai la forza e l'audacia con cui stavo conducendo quella conversazione.
Lui non mi rispose ma continuò a fissarmi con severità. Io lo guardavo, ben conscia del fatto che la mia mano fosse nella sua e dell'altra sua mano sulla mia schiena.
Tra di noi si combatteva una silenziosa e violenta battaglia.
Alla fine fu lui a cedere.
Mi lasciò andare e si avviò verso l'uscita proprio mentre la musica moriva come il mio umore.
Caparbia lo seguii fino a quando non lo trovai in un corridoio buio li vicino. Camminava senza sosta, come se volesse trattenersi dal fare qualcosa.
"Elijah"
Lo chiamai.
Il suo nome rimbombò sui muri vuoti e giunse fino a lui.
Continuò a camminare.
"Elijah. Fermatevi"
Ordinai alzando la mia gonna per correre verso di lui.
"Andate via"
Disse evitandomi ancora. Ma le mie gambe continuarono ad avanzare verso di lui.
"Aspettate"
Cominciavo ad avere il fiatone.
"Ditemi solo cosa c'è che non va"
Con mio grande stupore si fermò.
Si voltò pronto a fronteggiarmi, immenso nella sua collera fredda come il ghiaccio.
"Volete davvero saperlo? Volete davvero sapere cosa c'è che non va?"
Mi chiese a labbra strette fissandomi con quegli occhi che avevano il potere di disintegrarmi.
"Si"
Mormorai annuendo.
"Voi Katerina! Siete voi il problema"
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso.
Sbalordita e con la sensazione che qualcuno mi stesse soffiando via l'aria dai polmoni lo guardai andar via.
Aveva rovinato tutto.
Allora cosa avevo da perdere?
"Ditemi perché"
Gli urlai e lui si fermò ancora. A testa bassa. I pugni rigidi lungo i fianchi.
Potevo osservare solo quello, dato che continuava a darmi le spalle.
Attese un attimo e poi mi raggiunse in un secondo, con la sua velocità da vampiro millenario, scuotendomi i capelli con la brezza che lo accompagnava.
Mi afferrò il braccio e mi guardò negli occhi come se mi stesse per svelare un segreto.
"Non permettetemi di legarmi a voi"
Disse con voce lenta e ruvida.
"Nella mia vita ci sono fin troppi vincoli. Non posso permettere anche questo"
Dapprima le sue parole mi confusero. Mi ronzavano nelle orecchie come api sui fiori.
Poi si conficcarono nel mio cervello come schegge di vetro.
Lui .. non mi voleva.
Quando fu sicuro che avevo recepito il suo messaggio, si voltò e andò via.
Questa volta non feci nulla per fermarlo.
Non ricordo quanto tempo restai sospesa in quel corridoio, con la luce della luna che mi illuminava il corpo per metà. Come se non fossi li per davvero.
Come se mi trovassi bloccata in una sorta di prigione mistica del dolore.
Sapevo solo che accanto a me qualcuno festeggiava e rideva ignaro di quanto era avvenuto in quel corridoio.
Ma per me la festa era finita.
Senza preoccuparmi di salutare nessuno, ne ringraziare i padroni di casa per l'invito, salii sulla mia carrozza e andai via.
Il mattino seguente dormii fino a tardi.
Fuori il tempo mi era solidale, riflettendo il mio umore cupo e solitario.
Il vento soffiava rabbioso dirottando le gocce di pioggia che scendevano con meno urgenza del giorno precedente. Di nuovo il sole era assente. Di nuovo Klaus non era ancora tornato.
Mi alzai dal letto raccogliendo i pezzi di me che Elijah non era riuscito a distruggere la sera prima.
Se le sue intenzioni erano quelle di evitarmi ero sicura che non l'avrei incontrato in giro per casa.
Perciò non correvo rischi.
Passai il resto del giorno nel grande salone della casa, che nonostante il camino acceso, restava freddo e anonimo come il mio spirito.
Come avevo previsto al mio risveglio, di Elijah, quel giorno, non si vide neanche l'ombra. Per quanto ne sapevo aveva lasciato la casa.
Ecco perché quando alzai il capo per fare una pausa dal libro che avevo quasi terminato, restai sorpresa per due motivi.
Il primo era che leggendo non mi ero accorta di aver fatto così tardi. Il sole era calato da un pezzo e la luna splendeva limpida oltre le vetrate della sala illuminando la terra bagnata.
Il secondo era la presenza imponente e impeccabile di Elijah che come un custode di un tempio greco, mi fissava sulla soglia della porta.
Il mio cuore accelerò senza che potessi fare nulla per fermarlo.
"Sono stato brusco con voi ieri sera"
Cominciò azzardando un passo nella sala.
"Vi chiedo di perdonarmi Katerina"
Io abbassai il capo. Rivederlo aveva risvegliato il dolore e l'umiliazione della sera prima.
Mi sentivo ferita, graffiata dalle sue parole. E i miei occhi umidi esternarono il mio dolore.
"Katerina.."
Il suo tono aveva abbandonato quell'impronta formale e rigida di poco prima. Non potei resistere alla tentazione di alzare il capo e guardarlo. Restai sorpresa nel vederlo in ginocchio ai miei piedi, il suo viso così vicino al mio. Non l'avevo sentito arrivare.
"Katerina.."
Ripeté di nuovo facendo gorgogliare il mio cuore.
"Vi prego... vi imploro. Ho bisogno del vostro perdono"
La sua voce così intensa e febbrile sconfisse lentamente quella parte di me che gridava di mandarlo via. Non potevo fargli questo. Non se parlava così, col cuore negli occhi e con quel tono così sincero da lasciarmi disarmata.
"Non ho fatto che pensare a voi per tutto il giorno. Non ho chiuso occhio, tormentato dal rimorso per quello che vi ho detto"
Sentii il suo respiro affannoso, come se avesse appena corso per chilometri, solleticarmi il viso.
"Voi non avete colpa. Non posso incolparvi per i fardelli che il mio animo deve sopportare. Perciò vi prego, concedetemi il vostro perdono. Non posso continuare a vivere con la consapevolezza che il vostro cuore riserba rancore nei miei riguardi"
Ogni resistenza dentro di me cedette. Sentii i cocci che aveva lasciato la sera prima alzarsi e ricomporsi. Riparare le parti di me che aveva rotto.
Ma c'era un'ultima cosa che dovevo fare per sentirmi davvero intera.
Cancellare quel martirio dal suo volto antico.
"Io.. vi perdono Elijah. E vi chiedo scusa per quello che avete passato a causa mia"
Lui scosse il capo e strinse un pungo davanti al suo viso. Come per trattenersi.
"Sono io a dovermi scusare con voi. Sono stato crudele e imperdonabile. Non merito la vostra compassione mia signora, ma ne ho bisogno"
Nella sua voce traspariva tutta la sofferenza che lo avviluppava.
Sorrisi sentendo il mio cuore improvvisamente leggero.
Lui allungò una mano verso il mio viso, come a voler raccogliere qualcosa.
Una lacrima.
"Nemmeno io posso continuare a fingere che voi non esistiate. Nutro dell'affetto per voi Elijah. Siete un uomo puro e ho bisogno che il vostro sguardo continui a sfiorarmi e vegliare su di me"
Trassi un profondo sospiro donando ossigeno ai miei polmoni.
Era come rinascere.
Confessare quelle parole mi era costato. E anche tanto.
Ma adesso ero felice di averle dette. Avevo esternato i miei sentimenti per lui a tal punto da accettarli io stessa. Avevo ammesso che provavo dell'affetto per un altro Mikaelson che non era Klaus. Non sapevo spiegare perché, ne come, ma Elijah con la sua gentilezza, con la sua bontà d'animo e il suo onore puro come quello di un cavaliere medievale, si era aperto un varco nel mio cuore. E io non potevo far nulla per impedirlo. Ne volevo.
Lui deglutii continuando a fissarmi come se sul mio viso potesse leggere la più antica delle favole.
"Prometto che veglierò sempre su di voi Katerina e che troverò sempre un modo per salvarvi quando sarete in pericolo"
Le sue parole e l'intensità del suo sguardo enigmatico mi provocarono un brivido lungo la schiena.
Ma alla fine, superato quel momento, il mio cuore si scaldò come burro fuso.
Cercai le sue mani e gliele strinsi, aiutandolo ad alzarsi e a farlo accomodare accanto a me su quel divano. Non volevo sentirmi come la protagonista del libro che stavo leggendo : una regina spietata e crudele che giocava con i sentimenti dei suoi cavalieri, pronti a tutto per averla, persino alla morte.
Con il peso di quelle parole che aleggiavano tra noi, i nostri occhi si incontrarono stringendosi in mute promesse.
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Memorie di Katherine Pierce
FanfictionInghilterra, 1492. Katerina Petrova appena esiliata dalla sua terra, la Bulgaria, giunge in Inghilterra dove ha luogo un incontro che le cambierà la vita. Incontra Klaus ed Elijah, due fratelli uniti da un legame che lei stessa non riesce a capire f...