Al mattino, al mio risveglio, qualcosa era cambiato.
Era una certezza che lentamente si faceva strada dentro di me guidandomi fuori dal torpore del sonno verso il mio primo pensiero razionale di quella giornata.
Quella notte il mio intero mondo era stato stravolto.
Questo lo sapevo per certo. Non sarei mai potuta ritornare alla mia piatta e banale vita dopo aver passato le ultime ore in Paradiso.
Per niente al mondo avrei permesso che qualcosa di simile accadesse.
Mi stiracchiai lentamente, il corpo indolenzito ma avvolto da un senso di benessere diffuso che cacciava via ogni dolore. Era come se qualcosa nel mio corpo lavorasse affinché io non sentissi dolore.
E poi ricordai.
Con rapidità la mia mano salì bruscamente verso il mio collo. Sentii una leggera sporgenza, quasi un gonfiore ricoperto di una strana pellicina che veniva via facilmente. Poi mi accorsi che quella non era una semplice pellicina ma sangue raggrumato.
Mi misi a sedere di scatto e mi fissai nel grande specchio di fronte al letto.
I miei capelli ricadevano confusi e disordinati ovunque. Non c'era traccia della perfetta conciatura che Jannette mi aveva fatto ore prima.
Ma la cosa che più di tutte catturò la mia attenzione fu quel rosso scuro sul mio collo. Come una benda o un foular cremisi. Lo toccai...affascinata.
"Non dovete avere paura milady"
Klaus entrò a petto nudo con indosso un solo paio di pantaloni di lino scuro.
Vederlo li, nudo e perfetto, risvegliò in me i ricordi della notte precedente. Abbassai lo sguardo mentre una leggera tonalità porpora colorava le mie guance.
"N-non ho paura milord"
Replicai con un filo di voce fissando il lenzuolo che mi copriva metà del corpo.
Meravigliata osservai la grazia con cui chiuse la porta alle sue spalle e si sedette in pochi e semplici attimi sul letto accanto a me. Non mi ritrassi. Era vero che non avevo paura.
Una sua mano seguii pigra il profilo della mia schiena nuda. Poi con un dito mi alzò il viso voltandolo verso di lui. Fissavo il suo volto, quel viso glorioso che quella notte aveva bruciato per me come un sole nel deserto. Di nuovo mi mancò il respiro.
"Dite la verità Katerina.. voi non mi temete"
Affermò sorpreso inclinando la testa di lato e osservandomi con curiosità.
"Perché le altre hanno avuto paura di voi?"
Chiesi abbassando di nuovo lo sguardo. Qualcosa mi faceva bruciare gli occhi. Poi capii che erano lacrime. Ero gelosa. Gelosa al pensiero che lui avesse condiviso quello che avevamo fatto la notte prima con qualcun altro. Gelosa del suo corpo nudo che veniva sfiorato e ammirato da un'altra che non ero io.
Le sue mani mi presero il viso in una presa ferrea e lo portarono a pochi centimetri dal suo.
"Voi siete l'unica Katerina"
Non gli credevo e lui fu costretto a ripeterlo ancora.
"Le altre erano solo prede. Vittime senza nome e senza alcuna storia che valesse la pena conoscere. Ma voi Katerina.. voi non siete affatto come le altre.."
Dovevo avere paura lo sapevo. Eppure non potei fare a meno che sentirmi lusingata.
Guardando quegli occhi azzurri e profondi come l'oceano non ebbi paura. Fissando quel viso fiero e dalla bellezza accecante non provai alcun brivido di paura. Solo desiderio e voglia di ripetere quanto era accaduto la notte prima.
Eppure ricordavo come i suoi occhi erano cambiati quando mi aveva morso. Ricordavo come il suo viso era divenuto una maschera feroce, quella di un predatore, mentre affondava i canini nell'incavo del mio collo. Ricordavo la sua espressione famelica e animalesca e il modo in cui i suoi occhi brillavano sinistri.
Ma adesso, con la luce del giorno, non ne ero sorpresa.
Doveva per forza esserci qualcosa in lui. Qualcosa che giustificasse il fatto che fosse così seducente, così bello da risultare irreale, così pieno di forza e carisma che tutti si chinavano al suo cospetto. Era chiaro che per essere un tale dio doveva esserci qualcosa sotto. E io pur di averlo, ero disposta ad accettare qualsiasi cosa.
"Siete.. che cosa siete?"
Gli chiesi curiosa azzardando addirittura un sorriso per farlo sentire a suo agio.
In Bulgaria circolavano molte leggende.
Uomini e donne tornati dalla morte che continuavano a vivere la loro vita succhiando sangue dalle loro vittime. Non morti che vagavano sulla terra vivendo come tutti gli altri. Era una leggenda che mi aveva sempre affascinata. Ora volevo sentire quella parola dalle sue labbra per sapere se quanto avevo sempre creduto una favola raccontata per spaventare i bimbi cattivi in paese, era in realtà una verità certa e incontrovertibile.
"Sono un vampiro Katerina.. uno degli Originali"
"Originali?"
Qualcosa nella mia espressione lo incoraggiò a proseguire. Forse era davvero convinto che non avevo paura. Non di lui.
"Uno dei primi vampiri esistenti... ci chiamano gli Originali perché siamo stati noi a dar vita a tutti gli altri"
"Noi? Volete dire che anche vostro fratello.."
'Ma certo', pensai mentre la certezza delle mie parole faceva effetto dentro me. 'Come poteva non essere anche Elijah, uno degli Originali?!'
Lui sorrise capendo quanto aveva appena intuito.
"C'è ne sono altri? .. di Originali dico.."
Ormai sapevo, dopo la sua confessione, che in giro c'erano parecchi non morti. Ma gli Originali?
"Si, ho altri fratelli.."
Rispose evasivo, come se quella parte della conversazione non fosse di suo gradimento. Cambiai subito argomento. Niente che poteva turbarlo..
"Ma come siete diventato.."
Lasciai cadere di nuovo la domanda temendo di essermi spinta troppo oltre. Sorprendendomi come sempre, lui sorrise. Un sorriso che mi fece accartocciare lo stomaco.
"Come sono diventato un vampiro?... merito di una strega. Non si riduce sempre tutto alla stregoneria?"
Mi domandò senza smettere di sorridere. Con gli occhi.
"Immagino di si.."
Risposi confusa.
Lui ridacchiò. Era chiaro che stavo giocando a fare l'esperta di sovrannaturale quando in realtà la mia conoscenza sul campo si limitava a racconti davanti al fuoco per ingannare il tempo nelle fredde sere invernali.
"Ah Katerina.. Katerina.."
Canticchiò lui e io mi lasciai cullare dal suono della sua voce che snocciolava il mio nome.
"Siete davvero una creatura incantevole"
Incoraggiata da quel complimento sorrisi come una gatta coccolata dal suo padrone e mi avvicinai a lui.
Klaus divenne d'un tratto serio, sorpreso da tanta vicinanza improvvisa. Come avevo avuto modi di imparare quella notte, Klaus amava sentirsi padrone della situazione. In quel momento l'avevo del tutto spiazzato.
Continuai a piegarmi su di lui fino a che la sua schiena non tornò ad aderire perfettamente al materasso e i suoi occhi seri e incantati a fissarmi dal basso, sotto di me.
Mi sistemai su di lui, accovacciata poco sotto i suoi addominali. Gli sfiorai il petto con una mano.
Sotto di me sentii la sua eccitazione tornare prepotentemente a pulsare.
"Cosa avete in mente Katerina?"
Mi chiese con un tono così serio da farmi sorridere. Percepivo il nervosismo covare nel suo corpo rigido.
"Non ditemi che un vampiro .. un Originale per giunta, teme una povera umana indifesa?!"
Lo provocai strappandogli una risata divertita. Ridacchiammo entrambi per un po'.
"Voi non siete un'umana come tutti gli altri.. siete una creatura tanto bella quanto pericolosa, Katerina"
Il suo tono di voce mi turbò a tal punto da lasciarmi senza parole.
Deglutii.
Mentre un nuovo coraggio nasceva nel mio petto propagandosi a velocità inaudita in ogni cellula del mio essere, mi chinai su di lui quel tanto che bastava affinché le mie labbra fossero così pericolosamente vicine alle sue.
Lasciai che i miei capelli gli solleticassero il petto mentre lui mi fissava con quello sguardo intenso che abbatteva ogni mia barriera fino all'ultima traccia di vergogna o timidezza.
Con un dito tracciai il contorno della sua labbra fredde e perfette fino a sentire la punta dei suoi canini solleticarmi la punta del dito.
Sfregai lentamente il mio bacino nudo sul suo, coperto da quei semplici pantaloni, così sottili da essere quasi inesistenti. Sentii la sua eccitazione tendersi e sollevare l'elastico dei suoi pantaloni.
"Voi mi desiderate Klaus"
Affermai come se quella consapevolezza mi fosse pervenuta solo in quel momento.
"Voi siete la chiave Katerina"
Mi rispose enigmatico accarezzandomi il viso, d'un tratto un espressione triste e sommessa.
Abbassai la testa fino a leccargli il collo. Lui gemette appena e con una mano mi accarezzò i capelli.
"Mordetemi Niklaus"
Sussurrai con le labbra ancora incollate alle sua pelle fredda e profumata. Sapeva di buono, di fresco e di pulito.
"Fate che io sia vostra ancora una volta"
E con quelle parole mi arresi a lui, lasciandogli di nuovo il completo controllo della situazione.
Jannette mi aiutò a rivestirmi.
Ero di nuovo in camera mia e dopo un lungo bagno ristoratore ero pronta ad uscire di nuovo e a continuare a fingere che vampiri, streghe e quant'altro fossero solo frutto della mia fervida immaginazione.
Mentre la mia inserviente mi spazzolava con meticolosità i capelli, districando persino i nodi più difficili, nella mia mente rivedevo quelle piacevoli e indimenticabili ore trascorse in compagnia di Niklaus. Se fosse dipeso da me, io e lui non avremmo mai abbandonato quella camera da letto, che per me ormai, era il centro del mondo.
Ma bisognava pur tornare alla vita vera e continuare a fingere.
Non che mi dispiacesse, anzi. Per me si prevedevano altri balli e serate, più ricche e sfarzose della precedente.
"Ahi"
Sussultai quando Jannette mi fece male sfiorandomi il collo con una collana. Un altro regalo di Klaus.
"Oh dio.. che avete fatto al collo mia signora?"
L'espressione che lessi sul volto di Jannette era di puro terrore. Capii che questo andava ben oltre le sue normali mansioni lavorative. Forse si stava davvero affezionando a me.
"Niente.. solo una piccola irritazione"
Risposi evasiva rimirando la porzione del mio collo leggermente arrossata.
Non mi faceva male come avevo creduto. Eppure lui mi aveva morsa li, esattamente in quel punto, per ben due volte.
Klaus mi aveva detto di non preoccuparmi. Non era una cicatrice, ne un segno indelebile. Quei due piccoli forellini sul mio collo sarebbero stati di nuovo inghiottiti dalla mia pelle e tutto sarebbe tornato come prima.
"Avete una pelle forte Katerina, come una corazza.. siete fragile e temibile al tempo stesso. Avete la fortuna di guarire in fretta, come me"
Mi aveva sussurrato mentre la sua eccitazione mi colava lungo le gambe. Quella mattina avevamo consumato un'altra dolce parentesi di puro piacere. Ero affamata di lui, del suo corpo, dei suoi sorrisi, delle sue parole. E lui sembrava felice di saziarmi.
"Hai una stola?"
Chiesi a Jannette nel puro intento di distrarla. Mi guardò preoccupata per un altro secondo prima di sparire e mettersi a frugare in una panca ai piedi del letto. La parte professionale e stacanovista di lei aveva infine avuto la meglio su quella della dama confidente e seriamente preoccupata per la mia salute.
Mi portò una piccola stola color porpora. A quanto pareva, il color sangue era un tema ricorrente in quella casa. Sorrisi pensando a quanto fosse buffa quella situazione.
Qualcuno bussò alla porta. Jannette finì di sistemarmi la stola sulle spalle e corse ad aprire. Un cameriere recava con se un vassoio d'argento appena lucidato. Sopra era riposta una sola e voluttuosa rosa rossa con uno stelo lungo e dal color verde scuro.
"Un omaggio di lord Niklaus"
Disse in tono pomposo l'inserviente passando la rosa a Jannette che dopo aver chiuso la porta me la porse. La presi con delicatezza, attenta a non ferirmi con una delle tante spine che la ricoprivano.
Ne annusai l'odore.
'Mh' pensai. 'Inebriante come il suo profumo'.
Portando la rosa con me scesi le scale seguendo l'odore del pane appena sfornato.
Trovai Klaus ed Elijah già seduti a tavola, intenti a fare colazione.
'I vampiri mangiavano?'
Credevo si nutrissero solo del sangue umano per vivere. Sorrisi di fronte a quella scena bizzarra e i due fratelli ricambiarono: entrambi pensavano che quel sorriso era un mio modo di salutarli.
Si alzarono dalle sedie in segno di rispetto, gentiluomini fino al midollo.
Klaus mi aiutò ad accomodarmi al suo fianco. Sedeva a capotavola e alla sua destra c'era Elijah.
Mi osservò con attenzione come se cercasse dei particolari che la sera prima gli erano sfuggiti.
'Era così evidente che era bastata una sola notta a cambiarmi la vita?'
"Come ha dormito la nostra Katerina?"
Mi chiese Elijah prendendo una fetta di pane caldo dal cestino al centro tavola.
Io guardai Klaus, un'ombra di intesa e malizia balenò sui nostri volti. Poi entrambi chinammo il capo come due giovani amanti che condividevano un segreto. E infatti era proprio così.
Il sorriso di Elijah vacillò appena: aveva compreso il nostro gioco di sguardi. Aveva captato quelle parole silenziose che galleggiavano sospese tra me e suo fratello maggiore.
Nel complesso comunque, mantenne un'espressione leggera e gioviale.
"Bene milord.. si dorme divinamente da queste parti"
Risposi e con la coda dell'occhio scorsi al mio fianco il sorriso di Klaus farsi più compiaciuto.
"...Lo immagino"
Replicò Elijah dopo una piccola pausa. Poi tornò a sorridere e cambiò argomento.
"Torta di mele?"
Domandò passandomi un cestino con delle fette di torta ricoperta di zucchero a velo.
Mi sporsi appena per prenderlo e in quel momento, senza rendermene conto, mi ferì la mano.
"Ahi!"
Mormorai lasciando andare la rosa che inavvertitamente avevo stretto troppo. Mi portai la mano ferita davanti agli occhi per analizzare il danno. Sulla punta del dito medio si era raccolta una piccola goccia di sangue, proprio li dove una spina mi aveva punta.
"Non è niente Katerina"
Fece Klaus con un sorriso afferrando la mia mano. Avvicinò il dito alle sua bocca e lo avvolse con le sue labbra leccandomi il sangue. Io mi sentii avvampare da quel gesto così intimo e così audace. Mentre un incendio divampava dentro il mio stomaco lo fissai di sottecchi con un espressione a tratti imbarazzata e compiaciuta al tempo stesso.
Lui mi sorrise e mi guardò con uno sguardo carico di significato. Lasciò andare la mia mano quando ebbe finito.
"G-grazie milord"
Mormorai mentre il mio cuore galoppava.
"Di niente Katerina"
Replicò con quel suo tono di voce basso e melodioso che mi procurava sempre una fitta allo stomaco.
Elijah che aveva osservato tutta la scena, non sembrò affatto contento di quella situazione.
Nel pomeriggio decisi di passeggiare per la tenuta.
Era un piacevole pomeriggio primaverile. L'aria era frizzante, per quanto le instabili temperature delle campagne londinesi lo permettessero. Un pallido sole splendeva nel cielo a tratti macchiato da lunghe e indefinite nuvole bianche.
L'intera casa era circondata e immersa nel verde. Passeggiai nel giardino sul retro, perdendomi in un piccolo labirinto creato apposta per intrattenere e divertire gli ospiti.
Ogni corridoio era diverso dai precedenti e dopo aver compreso come funzionava, ci si poteva orientare senza difficoltà. Il segreto, era che ogni viale era contrassegnato da un tipo di fiore diverso. C'era quello delle primule, piccole e delicate, erano appena sbocciate la mattina precedente. Me ne accorsi dal colore e dal profumo ancora fresco. C'era il corridoio dei gigli e quello dei girasoli. Sostai a lungo nella parte del labirinto dedicata alle rose. Era da li che Klaus aveva preso la sua rosa, quella che mi aveva donato quella mattina. Sembravano intinte nel sangue tanto erano rosse. Forse era una mia strana, nuova e malsana ossessione quella, ma ormai ogni cosa in quella casa richiamava alla mia mente l'atto intimo e viscerale di Klaus che beveva dal mio collo. L'idea che in queste ore il mio sangue fosse in circolo nel suo corpo era una cosa che mi faceva impazzire. In senso buono.
La cosa più preziosa che possedevo l'avevo condivisa con lui. Gli avevo donato la mia essenza che adesso era confusa e unita alla sua. Cosa c'era di più intimo e profondo al mondo?
Niente.
Nulla poteva eguagliare l'atto volontario del donare spontaneamente qualcosa all'altro.
E poi l'idea che le sue labbra, i suoi denti, la sua lingua mi avessero in qualche modo...marchiata. Toccata nel profondo come mai nessuno era riuscito a fare in diciotto anni della mia vita.
Ormai appartenevo più a lui che al grembo della donna che mi aveva messa al mondo. E ne ero felice. Euforica.
Non toccavo alcolici. A pranzo avevo evitato anche il più piccolo calice di vino. Chi aveva bisogno di ubriacarsi quando bastava la presenza di Klaus a farmi sentire sempre e costantemente su di giri.
Senza rendermene conto avevo preso a giocare con i petali di alcune margherite che avevo strappato uscendo dal labirinto. Ultimamente mi capitava di essere così immersa nei miei pensieri al punto da non accorgermi della presenza di altri intorno a me. Come capitò in quel momento.
"Katerina?"
Alzai la testa sorpresa. Un ragazzo dagli occhi scuri e dai capelli castano chiari mi fissava corrucciato. Avevo l'impressione che quella non fosse la prima volta che chiamava il mio nome.
"Trevor!"
Trillai felice di vederlo. Era stato il mio primo amico in assoluto quando ero giunta a Londra pochi mesi prima. E, per ironia della sorte, l'avevo conosciuto in una taverna nella quale alloggiavo. Era strano e bizzarro che tutti gli incontri più importanti della mia vita erano avvenuti in una taverna.
Se si esclude quello con Niklaus ovviamente.
"Ti sto chiamando da mezz'ora"
Fece lui fingendosi offeso. Sorrisi.
"Lo so, scusa.. ero distratta"
Mi giustificai correndo ad abbracciarlo. Speravo che sarebbe bastato quello per farmi perdonare.
Funzionò.
"Lo vedo"
Rispose lui ricambiando la stretta. Mi lasciò andare.
"Che ti succede?"
Corrugai la fronte.
"Che intendi dire?"
"Non lo so"
Replicò scrollando le spalle e calciando un sasso sotto di lui.
"Sembri...diversa"
"Più felice?"
Azzardai sorridendo.
"Meno te"
La risposta spense quel sorriso sul mio volto. Lo fissai confusa e... ferita.
"Cosa?"
"Non sei più tu ecco.. non sei la Katerina che conosco. Quella che si accontentava di un bicchiere di vino e di una chiacchierata con un amico in taverna per essere felice"
Lo fissai shoccata mentre la collera montava dentro me.
"Scusami se i miei gusti non sono più quelli di una mediocre e lurida contadina"
Replicai stizzita e ora fu lui ad arrabbiarsi. Mi pentii subito dopo aver parlato. Non avrei dovuto dirlo.
"Scusatemi voi milady se non sono più degno della vostra compagnia"
E scimmiottando un fare regale e pomposo, si sfiorò la fronte nel gesto di togliersi un cappello immaginario dalla fronte e si inchinò davanti a me.
"Trevor.."
Mormorai mentre i miei occhi diventavano lucidi.
Lui si voltò incamminandosi nella direzione opposta.
"Trevor!!"
Gridai il suo nome ancora una volta, ma la mia voce fu portata via dal vento.
Lasciai che le poche margherite rimaste cadessero dalle mie mani e mi incamminai dentro cercando di fermare le lacrime. Non volevo apparire sconvolta.
Odiavo Trevor per quello che mi aveva detto. Lo odiavo soprattutto per l'immagine che ancora conservava di me. Quella era la vecchia Katerina. Quella che si accontentava, che fingeva di essere felice ma in cuor suo sperava sempre che le cose cambiassero. E adesso che era successo, quella parte di me, la vecchia me, era morta e sepolta. E volevo che restasse tale. Che nessuno serbasse l'immagine di una ragazzina che giocava a fare l'adulta in una taverna, ebbra di vino e risate in compagnia di un amico.
Adesso che tutti i miei desideri stavano prendendo forma, non intendevo rinunciare perché uno dei miei più cari amici non amava la donna che stavo diventando.
Esatto, la donna. Non la ragazzina stupida con l'aria da eterna sognatrice.
Stavo diventando una donna che con grande fatica ma incredibile determinazione si faceva largo nella vasta e spinosa società inglese.
Avevo conosciuto il migliore degli uomini, colui che mi avrebbe aiutata a cambiare e a diventare quella che avevo sempre sognato d'essere sin da bambina.
In cuor mio stavo male non solo perché mi vergognavo terribilmente di quella che ero stata. Ma anche perché tutto quello che avevo lo dovevo a Trevor. Era stato lui a portarmi da Klaus.
Era stato lui la chiave della mia rinascita.
E per quanto adesso lo detestassi con ogni fibra del mio essere, non potei non sentirmi in conflitto per i sentimenti di stima e affetto che nutrivo nei suoi riguardi.
Ma come ogni funerale era necessario che qualcuno soffrisse e versasse della lacrime.
E dato che quello era il mio funerale, la morte del mio passato, di una parte di me, era giusto che fossi io a soffrirne e a reggere il peso di tale fardello.
D'un tratto il nome Katerina Petrova non mi sembrò più così adeguato.
Entri in casa che ormai il sole era tramontato.
Uno strano silenzio mi accompagnò dal corridoio fino a un piccolo studio accanto al salone.
Li trovai la porta semi chiusa che mostrava una piccola parte della stanza illuminata da candele.
"Ci sono altri modi Klaus"
Era la voce di Elijah. Col cuore che mi batteva a mille mi avvicinai ancor di più alla porta cercando di non emettere il minimo rumore.
"Non ci sono altri modi"
Era Klaus. Il suo tono brusco e severo mi sorprese. Era come un colpo d'ascia in pieno viso.
"Io posso tentare.. c'è sempre un'altra soluzione"
Di nuovo Elijah. Mi affacciai per vedere meglio dentro la stanza. Posai una mano sulla maniglia d'ottone nell'intento di trattenere la porta socchiusa.
Klaus fissava la luna brillare sopra le colline londinesi dietro un'ampia finestra. Aveva le mani unite dietro la schiena. La parte del corpo che riservava a suo fratello, che agitato dietro di lui, misurava la stanza a grandi passi.
"Come Elijah? Ti rivolgerai a una strega?"
Alla parola 'strega' la mia mente si fece ancor più sveglia. La mia curiosità raggiunse livelli altissimi.
"..Si"
Ammise Elijah fermandosi e fissando la schiena rigida di suo fratello. Sembrava a disagio adesso.
"Ah caro fratello.. credevo avessi imparato la lezione.."
Dalla finestra che si trovava esattamente di fronte alla porta dietro la quale ero nascosta, potei vedere riflesso il volto di Klaus. Sorrideva beffardo.
"Non ci si fida di una strega"
Concluse spietato e Elijah aspettò a lungo prima di replicare.
"Lo sai che non sono tutte uguali"
A quelle parole Klaus sorrise di nuovo.
"Proprio come le donne.. ognuna con una fragranza indimenticabile e diversa.."
Notai che il tono di Klaus ora era più leggero e meno carico di tensione. Sembrava quasi che scherzasse o che volesse cambiare argomento. Elijah al contrario si irrigidì.
"E parlando di donne.. se ora vuoi scusarmi caro fratello, avrei appuntamento con una lady che non ha nulla a che vedere con tutte le altre... Venite pure avanti, Katerina!"
Mi acclamò Klaus voltandosi e tendendo una mano verso di me.
Il mio cuore perse un battito.
Mi aveva scoperta.
Anche Elijah si voltò verso la porta mentre lentamente l'aprivo per lasciarmi passare.
Mi vestii del mio miglior sorriso e raggiunsi Klaus. D'un tratto mi sentii di nuovo al sicuro.
Non sembrava arrabbiato o infastidito. Forse credeva che non avevo ascoltato abbastanza della loro conversazione.
"Siete pronta per andare?"
Mi domandò sfiorandomi la guancia con un bacio. Di nuovo avvampai, come quella mattina a colazione quando aveva succhiato la piccola ferita sanguinante sul mio dito.
'Perché sempre in presenza di suo fratello?' 'Cosa voleva dimostrare?'
Fissai Elijah a disagio come a volermi scusare.
Per tutta risposta lui mi osservava con un espressione indecifrabile. Ma potevo scorgere del rammarico, e del dolore in fondo ai suoi occhi scuri.
Provai la bizzarra sensazione di andargli vicino e rassicurarlo che stavo bene.
Ma Klaus, che con un ultimo cenno del capo aveva salutato suo fratello, mi stava già conducendo nella sua camera servendosi di una porta secondaria.
"Buonanotte Elijah"
E per la prima volta, l'uomo più gentile e dolce che conoscevo, non rispose al mio saluto.
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Memorie di Katherine Pierce
FanfictionInghilterra, 1492. Katerina Petrova appena esiliata dalla sua terra, la Bulgaria, giunge in Inghilterra dove ha luogo un incontro che le cambierà la vita. Incontra Klaus ed Elijah, due fratelli uniti da un legame che lei stessa non riesce a capire f...