Essere umani, è una delle esperienze più forti che ci sia al mondo.
Almeno è quello che penso.
Non so molto dei vampiri o delle altre creature della notte.
Ho imparato a conoscere da poco questo sottile, invisibile e straordinario mondo sovrannaturale che segretamente accompagna la vita di noi umani.
Eppure per noi mortali basta poco per soffrire, per stare male.
Una malattia, un incidente ed è la fine.
Moriamo. Come tutte le cose di questo mondo.
Be, quasi tutte.
Un colpo secco, un leggero scricchiolio, una forte pressione. E spariamo nel nulla eterno.
Sono morti rapide, indolore, che non lasciano il tempo di capire quello che sta accadendo.
A volte avvengono, a volte siamo noi a volerlo.
La morte ci appare in alcuni casi, un porto sicuro. Una via di fuga.
Ma noi umani portiamo un fardello che nessuna creatura meriterebbe.
Sono le nostre emozioni.
Quelle che ci rendono schiavi, ci dominano e ci logorano lentamente il cuore, fino a che non raggiungono il loro scopo: farlo smettere di battere.
E finalmente moriamo... o diventiamo vampiri.
E loro sono fortunati, perché una via di fuga che non implichi la morte c'è l'hanno.
Spegnere tutto, fino a che il loro corpo non è altro che una casa vuota e senza luce.
Era quello a cui pensavo quella mattina all'alba mentre osservavo Klaus coprire il suo corpo con una toga. Quel corpo che cantava per me ogni notte.
Poco prima avevamo affrontato l'argomento, ma non ero stata io a fare domande, ne lui a svelarmi qualche segreto del mondo a cui apparteneva.
Era capitato per caso.
"Credo che le piacete Katerina"
Mi aveva detto Klaus sorridendomi mentre si fermava per aspettare che lo raggiungessi.
La sera prima eravamo a cavallo nei boschi.
"Sarà.."
Dissi io cercando di tenere la schiena dritta e le gambe ben salde mentre il mio cavallo bianco raggiungeva quello scuro come il cielo sopra di noi, di Klaus.
"...ma non ho la vostra stessa eleganza nel cavalcare"
Lui aveva ridacchiato sporgendosi in avanti dalla sua sella e aveva allungato il braccio per portare una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio.
A quel tocco così delicato avevo sussultato e il cavallo sotto di me nitrì nervoso.
"Questo è del tutto discutibile Katerina"
E fu a quel punto che lo sentimmo.
Un urlo così atroce da spaccarmi lo stomaco.
Aveva rotto il silenzio del crepuscolo e trasportato dall'eco di quel bosco, era giunto terrificante sino alle nostre orecchie.
"State dietro di me"
Mi aveva ordinato Klaus severo, mentre si voltava e con un colpo di stivale sul fianco del suo cavallo, partiva a tutta furia.
Senza ricevere alcun segnale, il mio imitò il trotto selvaggio del suo compagno.
Strinsi i denti mentre speravo di non cadere, tenendo le redini incollate al petto.
Dopo alcuni metri, Klaus imprecò e il suo stallone si bloccò per evitare di calpestare qualcosa, impennandosi sulle zampe posteriori.
Con grazia sorprendente scese da cavallo e io tentai di fare lo stesso. Dopo vari e goffi tentativi ci riuscii.
Quello che vidi mi lasciò senza fiato.
Riverso a terra, tra le radici nodose di alcuni alberi secolari c'era il corpo di una donna.
Il chiaro di luna illuminava il suo volto spettrale ancora bloccato in quella maschera di orrore che era stata la sua morte.
Ma la cosa che più di tutto spiccava in quella macabra scena era il sangue.
La donna, aveva la gola recisa.
Ancora fresco, rivoli di sangue rosso scuro fuoriuscivano dal taglio profondo sprofondando nella terra umida.
Era lei ad aver urlato.
Sentii qualcosa che tremava ed emetteva un gemito rotto e confuso. Un piagnucolio isterico.
Quando Klaus mi abbracciò ed io sprofondai nel suo petto, sentendomi improvvisamente al sicuro, mi accorsi che ero io la causa di quel rumore.
Ero sotto shock.
"C-chi è s-stato?"
Chiesi cercando di controllare la voce mentre le mie labbra erano incollate alla sua giacca.
Lui mi baciò i capelli mentre mi confortava massaggiandomi la schiena.
"Credo sia opera di un vampiro"
Disse funereo osservando il corpo della donna.
D'un tratto lo sentii irrigidirsi.
Alzai il capo e vidi che non fissava più il cadavere ma si guardava intorno, allarmato.
La sua fronte si corrugò mentre cercava di guardare qualcosa là infondo oltre la nebbia che vorticava leggera tra i tronchi.
"C-che succede?"
Lui non rispose ma continuava a fissare l'oscurità davanti a noi.
Mi chiesi se per caso i suoi sensi da vampiro avessero notato qualcosa che ai miei occhi miopi e imperfetti da umana, sfuggiva.
"Klaus?"
Domandai fissando i suoi occhi di ghiaccio ora freddi come la morte.
"C'è qualcuno"
Fu la sua risposta semplice e secca. Ed io sentii di nuovo freddo.
Tenendomi per mano, procedemmo a piedi lasciandoci alle spalle il cadavere di quella povera donna.
La mia mente lavorava frenetica. Mi chiesi se per caso quella donna avesse un marito, dei figli, una famiglia a cui fare ritorno. Qualcuno che l'amava e che teneva a lei a tal punto da aspettare intorno al fuoco che lei arrivasse anche se questo significava far freddare la cena. Pensai a quell'ipotetica famiglia, all'angoscia che l'avrebbe divorata mentre attendeva una donna che non vi avrebbe mai più fatto ritorno.
Klaus mi lasciò la mano e si chinò a raccogliere qualcosa.
Un ramo.
Lungo, doppio, appuntito.
Poi accadde tutto così velocemente che la mia mente faticò a registrare ogni cosa.
Una nuvola scivolò sulla luna, coprendola del tutto. Su di noi calò il buio.
Qualcosa si mosse alle mie spalle.
Due mani, che non erano affatto quelle gentili e delicate di Klaus mi afferrarono da dietro.
Una bocca calda e umida, come se fosse bagnata, si posò sul mio collo.
A quel punto gridai.
Klaus accorse subito, il suo viso tradì per un secondo un espressione sorpresa.
Poi quando si rese conto di ciò che stava accadendo, di puro terrore.
E in un attimo agì in fretta.
Una furia omicida si impadronì del suo volto glorioso. Sentii una brezza fredda sfiorarmi le braccia.
Poi la creatura dietro di me che mi teneva prigioniera sparì.
Il suo corpo finì con un boato contro un tronco, facendo cadere numerose foglie.
La luna tornò a brillare su di noi permettendomi di vedere tutto più chiaramente.
L'uomo a terra indossava vestiti lerci e strappati. Era riverso a pancia in giù, con la faccia che sprofondava nel terreno. Ma si muoveva ancora.
Per lui non era finita.
Klaus lo afferrò di nuovo per capelli, lo tirò in piedi e sbatté il suo viso contro un albero.
Sentii l'uomo gridare, come poco prima avevo gridato io. E ancor prima di me, quella donna.
Mentre vedevo Klaus all'azione, ripensai alla prima sera in cui l'avevo conosciuto.
Un angelo vendicatore, un oscuro dio pagano.
Era quello che avevo subito pensato di lui vedendolo.
E quella sera, mentre lottava con una determinazione, una furia e una rabbia gelida, le mie parole trovarono conferma. In confronto a lui, l'uomo a terra era uno zoticone. Un assassino rozzo e volgare.
Ma Klaus... Klaus era spietato e allo stesso tempo aggraziato come una divinità.
Come un eroe greco.
Klaus rivoltò l'uomo sul terreno e si chinò su di lui.
Adesso che giaceva sulla schiena, riuscii a vedere il volto tumefatto e sporco di sangue di quell'aguzzino.
Era orrendo.
Era il viso che avevo sempre immaginato avesse la morte: freddo, vuoto.
Nulla a che vedere con la bellezza arcaica e pulita dei fratelli Mikaelson.
"Hai commesso un grave errore stasera amico mio"
Sussurrò Klaus con il volto a pochi centimetri da quello dell'uomo.
"Mai cacciare in un territorio che non è tuo"
E detto questo, gli ficcò un ramo di quercia nel cuore.
Gli occhi scuri dell'assassino si spalancarono per la sorpresa, mentre la sua bocca si apriva per esalare l'ultimo respiro.
Voltai il capo sconvolta e ciò che vidi mi diede il colpo di grazia.
Poco lontano da noi, l'ultima vittima di quell'uomo giaceva a terra con le braccia e la testa staccate dal resto del corpo.
Era un bambino.
Ci ritrovammo in camera di Klaus, per la prima volta silenziosi e lontani come una coppia di sposi sconfitta dall'abitudine e dalla quotidianità.
Appena varcata la soglia, mi trascinai lenta su una panca ai piedi del letto. Mi accomodai mentre lo specchio di fronte a me, mostrava l'immagine di un viso giovane e provato.
Lentamente Klaus chiuse la porta alle sue spalle e rimase li, immobile con le braccia dietro la schiena. Mi fissava. Sembrava cauto e triste.
"Devi essere sconvolta.. non avrei mai voluto che assistessi a una cosa simile"
Per un attimo una lieve traccia di sorpresa fece brezza nella mia mente confusa. Era la prima volta che parlava con me rivolgendosi con il tono informale e confidenziale che riservava a suo fratello.
"Mi dispiace Katerina.. se avessi saputo non ti avrei mai portata in quel bosco"
Sembrava addolorato. No, non volevo questo. Il suo dolore si fece strada dentro di me divenendo un eco del mio.
Non potevo permetterlo. Non volevo che lui soffrisse a causa mia.
Non per qualcosa di cui non aveva nessuna colpa.
Stavo per dirglielo, volevo dirglielo ma quello che uscì dalla mia bocca fu del tutto diverso.
"Quell'uomo.. il suo viso.. "
Tremavo e cercai di calmarmi da sola. Perché questa volta Klaus non si avvicinò ad abbracciarmi.
"...era solo un bambino.. un bambino!"
Gridai mentre le lacrime sgorgavano libere e selvagge sul mio viso.
"...e quella era sua madre. Lo sento, lo so"
Per un attimo pensai alla figlia che non avevo mai conosciuto. Serbavo il ricordo di lei dentro il mio cuore. Era il mio talismano di felicità. Una calda sfera di luminoso amore che mi dava la forza di andare avanti nei momenti difficili. Lottavo per lei. Per me. Per noi e il futuro che non avremmo mai avuto.
"..come ha potuto farlo?"
Mormorai a me stessa più che a lui.
"..lui era diverso. Non era come te o tuo fratello...non aveva un'anima"
Mi veniva da vomitare al pensiero di quel volto smorto e di quegli occhi iniettati di sangue. Come poteva convivere quell'uomo con il senso di colpa? Come faceva a guardarsi allo specchio ogni mattina sapendo quello che aveva commesso solo la notte prima? Che esistenza aveva mai condotto fino a qualche attimo prima, quando Klaus l'aveva eliminato concedendo giustizia e riposo a tutte le sue vittime?
La risposta mi arrivò subito.
"Hai ragione Katerina.. lui non era come noi"
Klaus azzardò un passo avanti e io lo fissai in attesa.
"L'hai detto tu stessa, lui non aveva un'anima. Ha spento la parte di lui che lo rendeva umano. Molti di noi lo fanno.."
Osservò il mio sguardo interrogativo e proseguì.
".. per essere più forti, per diventare invincibili. Le emozioni sono come un'ancora che ci tiene aggrappati al nostro passato. Un enorme ostacolo tra noi e ...l'eternità"
Un brivido corse lungo la mia schiena a quelle parole.
"Tu.. tu non potresti mai fare una cosa del genere. Spegnere tutto intendo"
Sussurrai con voce intensa convinta di ciò che avevo appena detto.
Erano le sue emozioni che lo rendevano speciale. Era il tumulto della sua inarrestabile passione, della sua incredibile forza, della scintilla viva che ardeva dietro i suoi occhi azzurri. Era il fuoco che ruggiva dentro di lui che mi aveva fatta innamorare sin dal primo istante. Un Klaus senza emozioni, non sarebbe stato nulla.
"Si, Katerina.. io non potrei mai farlo"
Mi confermò lui con un sorriso più dolce del miele. E il mio cuore trovò pace.
"Posso chiederti una cosa?"
Lui si mosse a disagio, sorpreso da quella richiesta e dal tono disarmante della mia voce.
Alla fine annui.
"Perché resti li, lontano da me?"
Mi guardò sorpreso. Era una domanda che non si aspettava affatto.
"Mi hai appena visto torturare e uccidere un vampiro... capirei se non volessi che ti toccassi con queste mani.. stasera o per sempre"
Pensavo peggio.
Per un attimo stavo per cedere all'impulso di scoppiare a ridere per il sollievo.
"Non ho paura di te Klaus. Non si teme ciò che si ama"
"L'amore può uccidere"
Fu la sua risposta accompagnata da un sorriso furbo. Si morse il labbro.
Chinai il capo e sorrisi.
"Correrò il rischio allora"
Si avvicinò e allora trovai conforto nel suo corpo e nella sua anima viva.
"Sicura di stare bene?"
Mi chiese mentre si rivestiva.
Tornai con la mente al presente. Ero nuda, nel suo letto.
Mi misi a sedere, tenendomi con le mani il lenzuolo sul petto.
"Si, sto bene"
Risposi sorridendo. Lui si rilassò.
"E' stata una notte orribile per te"
"Sto bene, davvero"
"Mi dispiace dover andare"
Disse afferrando una giacca in seta blu con bottoni d'argento da una poltrona accanto al camino.
"Vai via?"
Chiesi sorpresa. E triste.
Cercai di non darlo a vedere.
"Henry della casata degli York ha chiesto una mia consulenza. Ho accettato di incontrarlo nella sua tenuta nelle campagne dello Yorkshire"
Lo fissai sbalordita.
"Intendi Henry York.. il re?"
Lui sorrise divertito dalla mia espressione.
"Ex re vuoi dire. I Lancaster hanno vinto l'ultima battaglia divenendo di nuovo sovrani d'Inghilterra"
Appena giunta a Londra, avevo subito sentito parlare della guerra che da anni dilaniava la nazione. I Lancaster, nobile e antica casata reale, si contendevano in una lotta incessante, il trono di Inghilterra sfidando gli York, altra nobile e rispettata fazione inglese.
"Quindi patteggi per la rosa rossa?"
La contesa tra le due casate era nota come 'Guerra delle due Rose'. Ciascun sostenitore sceglieva di indossare una rosa bianca o una rossa a seconda della fazione scelta.
A quelle parole Klaus ridacchiò divertito. Si avvicinò accomodandosi sul letto accanto a me. Ma al contrario di me, lui era vestito.
"Qualcuno ha fatto i compiti di storia di recente.."
Mormorò avvicinandosi pericolosamente alle mie labbra.
Un occasione che non mi lasciai di certo sfuggire.
"Vi stupite che una donna possa essere bella e colta allo stesso tempo, my lord?"
Lo punzecchiai tornando ad usare il vecchio tono formale.
Lui sorrise contro le mie labbra.
"Niente affatto milady... pensavo solo che sono molto geloso del vostro precettore. Vi ha istruita molto bene e spero solo che non sia affatto affascinante quanto il sottoscritto"
Piegai la testa di lato sorridendogli a trentadue denti. Mi alzai pronta a mettermi su di lui, mentre la sua schiena si distendeva sotto il mio corpo. Gli posai un braccio sul petto, avvicinai la mia bocca alla sua e chiusi gli occhi pronta a baciarlo.
Lui fece altrettanto.
Ma un secondo prima che le sue labbra sfiorassero le mie...
"Sono un'autodidatta"
Gli sussurrai allontanando il mio viso dal suo e scendendo dal letto.
Mi trascinai dietro il lenzuolo per coprirmi.
Quando arrivai alla porta, voltai appena il capo e lo guardai mordicchiandomi il labbro.
Disteso sul suo enorme letto, con una mano che gli copriva gli occhi, rideva.
Chiamai a raccolta tutto il mio autocontrollo per uscire dignitosamente dalla stanza e non voltarmi indietro.
Come mi aveva detto, lasciò la tenuta poche ore dopo.
Fu una semplice e ormai familiare rosa a riferirmi il suo messaggio.
Ormai me ne mandava una ogni volta che aveva qualcosa da comunicarmi. Quasi fosse un modo silenzioso e segreto di farlo.
Parlare attraverso i fiori, come se fossero lettere dell'alfabeto. Come se fossero parole che si componevano sotto i miei occhi.
Quella mattina, fissai quella rosa che avevo imparato ad associare a lui, sotto una luce diversa. Una nuova prospettiva che svelava significati prima d'ora ignoti.
Era rossa, come la fazione politica che a quanto pareva, sosteneva in prima linea.
Era rossa, come il colore delle sue emozioni che componevano il suo animo tumultuoso.
No, Klaus non mi aveva mentito quella notte. Lui non sarebbe mai stato capace di spegnere tutto.
Amava il rosso, il colore della passione. Il colore del sangue.
Il colore della vita.
YOU ARE READING
Memorie di Katherine Pierce
Fiksi PenggemarInghilterra, 1492. Katerina Petrova appena esiliata dalla sua terra, la Bulgaria, giunge in Inghilterra dove ha luogo un incontro che le cambierà la vita. Incontra Klaus ed Elijah, due fratelli uniti da un legame che lei stessa non riesce a capire f...