IV Capitolo

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C'era una volta, nel Cashemire, un principe indiano, differente dal suo piopolo perché dotato di una pelle chiarissima. Quest'uomo prese in sposa una donna dagli occhi azzurri e dai capelli biondi: una vera rarità in India. Ogni anno, per dieci anni, nacque alla coppia una figlia aventi in tutto e per tutto le stesse caratteristiche dei genitori.
Il padre era molto legato alle figlie e loro allo stesso modo, a tal punto che lui avrebbe rinunciato alla corona piuttosto che a loro. Questo però non era giusto e le ragazze quindi, acconsentendo ai voleri del padre presero tutte marito ed ebbero una vita felice. La tradizione indiana vuole che le anime abbiano la possibilità di rinascere tre volte. Fu così che da sempre unite, le sorelle decisero che sarebbero rinate come colombe.
Pian piano morirono, e Dio assecondò il loro desiderio, facendole ritrovare tutte insieme in cielo. Le sorelle passarono la prima notte a parlare della loro passata vita, dei loro genitori e della loro felicità. Ma anche le colombe, essendo animali erano destinate a moltiplicarsi. Le dieci sorelle ottennero dai propri compagni di costruire nidi vicini su un albero di rododendro, per vivere una insieme all'altra come mai fatto in vita. Anche in questo caso il tempo passò e le sorelle si trovarono vicino alla necessità di scegliere la loro trasmigrazione definitiva.
Videro che ai piedi del rododendro vi era un cespuglio che non era mai fiorito: chiesero a Dio di poter rinascere al suo interno: fu così che alla morte delle colombe il cespuglio si ricoprì di dieci bellissimi fiori: le azalee.


Mentre facevano a ritroso il percorso verso casa, la conversazione era accesa. Indirizzata verso argomenti sciocchi e inutili, ma pur sempre accesa. Forse, la corsa verso il campo di girasoli aveva contribuito a rendere Emma più disinvolta, Federico più spensierato e allegro.
-Non pensi che qualcuno si preoccuperà? Sei mancato diverso tempo.
–Sono grande abbastanza da saper badare a me stesso- Fece spallucce. –Tuo nonno invece? Gli anziani sono piuttosto apprensivi.
-Lui non lo è- Fece una pausa, e poi rise, tra sé e sé. –Non sa usare un cellulare e non tiene neanche orologi in casa.
Federico si sorprese. –Davvero?
-Sì- annuì lei. –Crede che estraniarsi dal mondo sia il modo migliore per ridurre lo stress. Passa il tempo a modo suo.
-E in che modo?
Emma glissò la domanda con un'alzata di spalle. –Hai il telefono per chiamare tua madre? Ci vuole ancora mezz'ora e sei stato fuori tutta la notte, potrebbe preoccuparsi.
-Figurati, che vuoi che possa succedermi in una notte?
E c'era pure il fatto che la sera precedente, pensando di restare fuori soltanto per un'ora o due, non aveva pensato a prendere il cellulare, non lo aveva ritenuto indispensabile.
-Sono le mamme ad essere apprensive, non i nonni.
Federico ci pensò un attimo. –Non sai quanto hai ragione- scoppiò a ridere.
-Che c'è?
-Se dovessi trovare un aggettivo per descrivere mia madre sarebbe proprio questo, apprensiva. Ossessiva, petulante, per le cose più sciocche poi.
Emma ci pensò più del dovuto, lo sguardo perso nel vuoto. -Ti vuole bene, si preoccupa per te.
-Ha... un modo bizzarro di manifestarmi il suo affetto.
–Tu come le manifesti il tuo?- sorrise, i pensieri da tutt'altra parte.
-Non lo faccio- fece spallucce.
-Ecco, probabilmente non sa come prenderti perché tu non gliene dai la possibilità.
-Sono suo figlio, dovrebbe conoscermi, sapere come sono fatto.
-Forse pretendi troppo, è pur sempre una persona- Emma parlava come se conoscesse Simona, come se conoscesse i suoi desideri più profondi, le sue paure da madre. Era inquietante, e fastidioso.
Federico stava per tagliar corto con quel discorso, ma Emma lo incalzò con un'altra domanda: -E tuo padre?
Il sorriso che fece era amaro. –Non lo vedo da mesi.
-No?- Emma era perplessa.
-No- confermò lui. –I miei sono divorziati da un paio di anni, mia madre ha tradito mio padre con un suo amico, Pasquale. Mio padre non gliel'ha mai perdonato, e con Pasquale è finita presto.
-Mi dispiace.
Emma era scura in volto, sembrava davvero dispiaciuta, rattristata da una storia che non le apparteneva. Federico ignorava come qualcuno potesse essere tanto sensibile da farsi coinvolgere da gente e storie che non gli appartenevano.
-Non dispiacerti, non lo sono nemmeno io.
-Davvero?- lo interrogò lei, severa.
-E comunque mio padre adesso sta benissimo- tagliò corto lui. –E' in Finlandia, lavora come dirigente in una banca importante.
Nel suo tono c'era un'impronta di rancore, di rabbia, tutte indirizzate verso una persona: la madre.
-Sai una cosa?- disse Emma, di punto in bianco. Federico si accorse solo in quel momento che in quel silenzio stranamente gelato, lei lo stava osservando, attenta.
-Cosa?
Federico la guardò, i capelli castani dietro le orecchie elfiche, le guance lentigginose arrossate.
-Ti sei guadagnato la mia fiducia.
E non riuscì a capire, né a chiederle, se fossero state le sue rivelazioni o qualcos'altro.

Aprire la porta di casa fu come scoperchiare il vaso di pandora.
Federico fu immediatamente investito dalla puzza inconfondibile di alcool, così vivida grazie a un'enorme pozza di vodka che si estendeva sul parquet ciliegio dell'ingresso.
La cucina era occupata da immondizia, bottiglie vuote e piene, carte di patatine, bicchieri dal contenuto sospetto. Tre persone non avrebbero potuto mettere tanto caos neanche mettendosi di impegno.
-Bentornato!
Mamma Simona era alle sue spalle, un sacchetto pieno di immondizia tra le mani, la faccia livida. La voce vibrava di sarcasmo, era satura di rabbia.
Federico non ebbe il tempo di dirle niente, era già partita come un treno in corsa: -Spero che tu abbia una spiegazione valida per tutto questo, Federico!- Passò subito ai toni duri, agitandogli con fare minaccioso il sacchetto sotto il naso. –Una giustificazione!
-Non ce l'ho.
-Non l'avrei voluta sentire comunque!- sbraitò. –Non c'è nessuna spiegazione valida del perché ho trovato Marco Poletti praticamente nudo nel mio letto con altre due ragazze! Niente può giustificare una serie di adolescenti ubriachi nel mio salotto, nella mia cucina, in giro per casa mia mentre mio figlio non c'è!
Marco aveva esagerato, era uscito decisamente fuori dagli schemi.
Federico sapeva che la madre pretendeva delle scuse, che si offrisse di sistemare la casa, ma non disse niente del genere.
-Dov'è Alberta?
–E dove pensi che sia?- Simona si indignò ancora di più. –L'ho spedita dalla signora Averna dopo che ha visto quel porco del tuo amico con le gemelle Kessler.
-Va bene- borbottò. Aveva la gola secca, ma il frigo spalancato e vuoto gli fece intuire che non c'era acqua fredda che potesse bere.
-Allora?- lo incalzò furente. –Non hai niente da dire?
-Che vuoi che ti dica? Non è colpa mia.
-Certo che è colpa tua Federico! Ti ho affidato la casa e un tuo amico chissà come ci ha organizzato un festino mentre tu hai passato la notte fuori, senza il cellulare! Sto provando a chiamarti da ore, dove sei stato?! Con chi eri?!
Infastidito, Federico sbuffò. –Questi sono affari miei.
Simona perse la pazienza: -Diventano anche affari miei se in tua assenza la mia casa viene assalita da un branco di animali!
-Si può sistemare tutto, non è un problema- minimizzò lui. Vide con la coda dell'occhio cocci di lume sul pavimento del salotto. Forse non tutto poteva tornare al proprio posto, ma con un pomeriggio di pulizie la casa poteva tornare lucida come uno specchio.
-Non è il disordine il problema, è il tuo comportamento!- si infuriò ancora. –Non posso fidarmi di te nemmeno per la minima sciocchezza, te ne freghi di tutto e di tutti, non hai senso della responsabilità! Sei tu il problema!
Erano parole taglienti, ma non avevano effetto sulla corazza di Federico. La collera della madre non lo colpiva affatto.
-Mi ripeti sempre le stesse cose.
-Eppure continui a non capire!
-Capisco, invece- annuì Federico, calmo e pacato come sempre. –E' che non accetto che la persona che andava a letto con un altro uomo mentre aveva in casa un marito amorevole e due figli mi parli di responsabilità. Non sono il figlio perfetto che desideravi, ovviamente, ma la nostra cara famiglia felice l'hai rovinata tu, non io.
La guancia prese a bruciargli. Non si aspettava che Simona lo schiaffeggiasse: era stato un attimo, non era nemmeno riuscito ad anticipare la mossa per scansarla. Aveva incassato, e basta.
Vide il senso di colpa nei suoi occhi, affiancato dalla rabbia, dalla collera, dall'esasperazione. Sentire la verità, fredda e pungente come una doccia gelida, dritta sulla faccia, doveva fare male.
-Pulisci questo porcile- Non gridava più, la voce tremava, gli occhi lucidi in attesa delle lacrime. –Vado dalla signora Averna anche io, quando torno voglio che tutto sia pulito, Federico.
E ci fu silenzio. Né il suono del suo respiro accelerato, dei suoi passi in corridoio, delle lacrime sulle guance. Solo il tonfo della porta quando la sbatté.

-Sempre con quella lingua pungente, tu- Fu il saluto di suo padre al telefono.
Federico puliva da mezz'ora, ormai la cucina era sgombera dai rifiuti. Avrebbe potuto cantar vittoria, ma ancora non aveva dato un'occhiata al piano di sopra.
-Come lo sai?- chiese al padre, tenendo il cellulare incastrato tra l'orecchio e la spalla.
Giancarlo Visconti riusciva a capire il figlio come nessun altro sapeva fare, e a farsi capire da lui. Non c'era bisogno di troppi giri di parole nelle loro conversazioni, non ne avevano tempo nelle brevi telefonate.
-E come vuoi che lo sappia?- Il tono del padre trasudava sarcasmo, ma c'era anche una punta di divertimento. –Tua madre mi ha tenuto al telefono mezz'ora e con dovizia di dettagli mi ha raccontato che cosa hai combinato stanotte, che la casa è sottosopra, e che sei sempre di più un muro di mattoni.
Federico sorrise, immaginando il viso del padre mentre Simona parlava a raffica, la voce leggermente stridula per il fastidio e la rabbia. –Deve essere stata una tortura.
-Mi ha distratto dal lavoro, ma mi importa più di voi, lo sai.
E con voi intendeva lui ed Alberta. L'unico motivo per cui si teneva ancora in contatto con l'ex-moglie erano i figli. Non che non rispettasse Simona come donna e come madre, ma Giancarlo aveva rimosso l'affetto che nutriva per lei dopo il divorzio. Una costrizione necessaria a on star male per quel tradimento inaspettato.
-Lo so.
Federico iniziò a passare il mocio bagnato sul pavimento della cucina, rilasciando un fresco aroma di fiori al suo passaggio. Se doveva fare una cosa, tanto valeva farla per bene.
-E allora che combini? Perché fai disperare tua madre?
-Penso che abbia un po' esagerato nel raccontarti com'è andata.
Uno sbuffo ironico. –Ti conosco: Simona sarà anche esagerata, ma tu sei impossibile. Lei fa del suo meglio ma non le rendi la vita facile.
Federico roteò gli occhi, consapevole che il padre non potesse vederlo e quindi riprenderlo. –Questa storia l'ho già sentita.
-Se mi dici perché hai lasciato che Marco radesse al suolo la casa te la risparmio- rise. Aveva una risata grassa, piacevole, calda.
Rise anche lui. –Ti vendi facilmente.
-Hai una ragazza?
-Non è la mia ragazza.
-E' bella?- lo incalzò ancora.
Federico pensò un attimo a Emma: orecchie a punta, naso a patata, labbra sottili, un mare di lentiggini. –Bizzarra, ma carina.
-Allora devo decisamente bocciare l'idea di tua madre di farti prendere un volo la prossima settimana per venire qui.
Tipico di Simona: quando Federico la faceva disperare più del solito organizzava questa sorta di spedizione punitiva, con la speranza che Giancarlo facesse una bella lavata di capo al figlio. Quello che non sapeva, però, era che la lavata di capo non avveniva mai. Perché Giancarlo avrebbe dovuto passare il poco tempo che aveva a disposizione del figlio a tenergli il muso? In realtà, si divertivano: mangiavano schifezze, giocavano ai videogiochi, uscivano, bevevano, esattamente come farebbero due amici di vecchia data. E al ritorno a casa Federico era più mansueto, il cuore leggero per l'allegria che passare del tempo con il padre gli portava.
-Te ne sarei grato.
-Però tu vienimi incontro.
Federico terminò il suo lavoro in cucina: era il momento del salone. –In che senso?- borbottò confuso.
-Prova a farti perdonare da tua madre, fa qualcosa di carino per lei.
-Ci posso pensare.
-E' un inizio!- esultò Giancarlo. –Ma in fin dei conti stavolta l'hai fatta grossa, non ti senti mai in colpa?
-Non potevo prevedere che cosa sarebbe accaduto.
La risposta servì a glissare la domanda, perché sì. La verità era che non si sentiva mai in colpa nei confronti della madre per ciò che faceva. E perché avrebbe dovuto? Lei doveva sentirsi in colpa per avergli rovinato la vita, per aver costretto il padre a trasferirsi dall'altra parte del mondo, per non essere una buona madre.
-Ti prenderei a schiaffi- disse il padre, ma sapeva che non lo pensava sul serio. Percepiva la punta di ironia in quella frase.
-Inizia a fare il check-in.
-Mi hai scocciato- brontolò, soffocando una risata. –Torno a guadagnarmi il pane. Stammi bene, e dì a Marco di rinfilarsi gli occhiali da nerd e di tornare a giocare ai videogiochi.
-Ciao pà- rise lui prima che Giancarlo riattaccasse.

Il piano di sopra era messo meglio di come si aspettava, la prova definitiva che Simona aveva esagerato e che il presunto disastro di dimensioni mastodontiche che aveva provocato era tutt'altro che irreparabile.
Stava sistemando la camera da letto della madre quando sentì la voce di Marco dal piano di sotto: -Stronzone, ci sei?
-Sono sopra, sali!- gridò di rimando.
Un attimo dopo Marco era alla porta, fresco come una rosa. –Che stai combinando?
-Mi improvviso Cenerentola per ordine di mia madre- borbottò sarcastico. –Qualcuno dovrà pur ripulire il disastro che hai provocato.
–Un disastro fantastico, se me lo concedi- rise Marco. –Ti sei perso una festa da sballo.
-Peccato.
-Peccato davvero, stupido idiota! Amelia era pronta a saltarti tra le braccia, cosa ti è saltato in mente?
Federico tolse le lenzuola dal letto e le ammucchiò in un angolo. Dovevano essere lavate e disinfettate dopo quella nottata. –Avevo qualcosa di meglio da fare.
Marco era scandalizzato. Era inconcepibile per lui pensare che l'amico non fosse stato attratto da quella ragazza. –Sei un idiota- borbottò. –Ma, se non altro, grazie al tuo forfè ho potuto realizzare il mio sogno di fare un ménage à trois!
Sul letto della madre, pensò Federico.
-Sei disgustoso.
-E tu hai preferito una passeggiata notturna con chissà-chi al posto di sano sesso- fece spallucce lui.
Era di pietra mentre sistemava gli oggetti sui comodini. –Forse non avrei dovuto visto che ti sei sentito autorizzato a fare il cazzo che ti pare in casa mia.
Mantenne il tono freddo, incolore, distaccato. E questo intimidì Marco, ma non lo fece tornare sui suoi passi. –Casa tua è casa mia, amico! Tra l'altro dovrei essere io a lamentarmi: tua madre è stata una stronza stamattina.
-Sì?
-Sì, cazzo! E' piombata qui dentro tutta inorridita e ha iniziato a gridare con voce stridula 'Fuori porci!'- Accompagnò il tutto con un'imitazione di Simona.
Federico sollevò le sopracciglia. –Forse perché occupavi il suo letto, nudo e con due troie.
Marco tentennò un attimo, ma non avrebbe mai ammesso che aveva ragione. –Che esagerazione!- brontolò. –Vedi piuttosto di tenere a bada questa cazzo di esaurita, sta regredendo!
-Come scusa?
-Con la brutta figura che mi ha fatto fare deve ringraziare se non le ho sputato addosso- proseguì imperterrito.
Federico non manifestava mai la sua rabbia, ma non voleva dire che fosse incapace di provarla. –Stai parlando di mia madre- Il tono di voce fermo e sicuro, senza tentennamenti o esitazioni.
-Oh andiamo- rise Marco. –Non ti incazzare.
-E che motivo avrei?- Federico rise. Una risata tanto grossa quanto falsa. –Hai solo sfruttato la possibilità di fare un festino a casa mia, hai lasciato immondizia ovunque e ti sei sbattuto due russe nella camera di mia madre...
-Sentendolo sembra ancora più figo!- rise Marco.
-...Sulla quale ti permetti di sparare giudizi come se dovessi applaudirti per quello che dici.- Il suo viso divenne di nuovo di pietra.
Marco era visibilmente confuso, impacciato. –Eh?
-Dovresti pulire tu questo schifo, invece lo sto facendo io- continuò, il tono così freddo da risultare minaccioso. –Invece stai lì, e può andare anche bene, ma non prendere per il culo mia madre.
-Federico...
Federico lo fermò, sollevando una mano. Marco fece un passo indietro, il timore di ricevere un pugno negli occhi. –Vattene, la tua faccia di culo mi ha rotto il cazzo.

I passi di Simona erano inconfondibili al piano di sotto, così come il susseguirsi di rumori: la porta accostata delicatamente, le chiavi appoggiate sul tavolinetto nell'ingresso, un sospiro per annunciare che era in casa. Alberta non era con lei, non si sentiva la sua vocetta pimpante, il saltellare sul parquet.
Federico scese le scale. –Mamma?
La trovò in cucina, un sacchetto sul tavolo e un vaso con una pianta dal sgargiante color rosa.
-So a che cosa stai pensando- disse la donna senza guardare il figlio, posizionando sugli scaffali barattoli di noodles precotti.
-Mi sembra difficile.- Soprattutto perché non lo sapeva neanche lui, si disse. Le parole di Marco avevano risvegliato qualcosa: si sentiva in dovere di dire qualcosa alla madre.
Scusarsi era difficile: l'orgoglio e la corazza di ferro glielo impedivano. Non lo aveva mai fatto con Simona e non era sicuro di voler iniziare in quel momento.
-Una pianta di azalee non è sufficiente per farti perdonare- disse Simona, buttando il sacchetto di plastica nella spazzatura.
Federico era confuso. -Cosa?
-Però ho apprezzato il gesto, e vedo che hai pulito casa- proseguì lei. –Quindi sei sulla buona strada.
Non sapendo cosa dire, rimase zitto. Lasciò parlare Simona: -Ti ho portato da mangiare, io devo fare il turno notturno alla casa di riposo. Alberta è dalla signora Averna.
-Può venire qui.
-No, non può- disse brusca. Tossicchiò, pentita del tono usato. –Meglio che stia dalla signora Averna, per ora- si corresse.
Federico annuì. –Va bene.
-Bene. Io vado, buonanotte.
Fu fuori in un attimo, veloce come una saetta.
Federico passò sopra a quella conversazione insignificante e guardò la pianta sul tavolo. Simona diceva di aver apprezzato il suo gesto, ma non era stato lui a mandargliele: non sapeva nemmeno che aspetto avesse un'azalea fino a cinque minuti prima. Spiegarlo alla madre, tuttavia, non sarebbe servito: poteva credere che fossero un suo regalo, se voleva.
Osservò i fiori rosa, intensi nel colore e delicati nella forma. Decise che a quella pianta serviva un po' d'acqua, e mentre la innaffiava pensò che sarebbe stato bello disegnarli sul suo blocco.

L'Azalea può assumere diversi significati. Soprattutto nei paesi orientali, rappresenta la figura della donna più importante per ogni essere umano, cioè la propria madre. Da questo punto di vista l'Azalea simboleggia, quindi, l'amore più puro che esista. A questa simbologia, si affiancano altri due termini strettamente legati alla figura della donna-madre: la femminilità e la temperanza. La madre, quindi, viene universalmente considerata portatrice di entrambe queste virtù. La temperanza è la dote che viene tramandata da ciascuna madre ai propri figli per aiutarli a vivere con serenità le prove che in futuro la vita gli presenterà.
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La ragazza dei gelsominiWhere stories live. Discover now