VI Capitolo

3 1 0
                                    

Bellis, figlia del dio Belus, un giorno, mentre danzava con il suo fidanzato, attirò l'attenzione del dio della primavera, il quale invaghitosi della fanciulla tentò di strapparla al fidanzato, che spaventato di perdere l'amata reagì in modo molto violento scagliandosi contro la divinità. La Fanciulla per non guardare quel cruento massacro, chiuse gli occhi e si trasformò in una margheritina.*


-M'ama o non m'ama? Non m'ama o m'ama?

Canticchiava questo Alberta, quella mattina. Agitava Barbie e Ken in una danza che scatenava la sua ilarità, al ritmo di quel motivetto inventato da lei.
Federico entrò in cucina sbadigliando: -Buongiorno.
-Buongiorno, tesoro- sorrise Simona al figlio. –Vuoi del caffè?
Non attese una risposta: era già indaffarata con la caffettiera.
-Alberta si è svegliata molto presto stamattina.
Buffo, si disse Federico. Buffo come la sorellina fosse riuscita a dormire con il frastuono della festa di Marco, protrattosi fino alle due.
L'aroma di caffè riempì la stanza, risvegliando quella parte del suo cervello che era ancora assopita.
-Dice che si è molto divertita con te.
Federico si strofinò il viso. La barba gli punzecchiò le dita. –Non abbiamo fatto niente di speciale.
-M'ama o non m'ama? Non m'ama o m'ama?- continuava a canticchiare la bambina in salotto.
Simona versò il caffè nelle tazze e lo allungò al figlio. –Mi ha detto che avete disegnato, giocato con le bambole, cenato in giardino...
-Le sue attività preferite- borbottò, sorseggiando dalla tazzina fumante.
-E mi ha detto anche che c'era una tua amica...
Eccolo, il punto del discorso.
-Hai qualcosa da chiedermi?
Simona pareva compiaciuta: era riuscita ad arrivare dove voleva. La sua fama di informazioni infiammava gli occhi scuri. –La conosco?
-No.
-State insieme?
-No. E' come ha detto Alberta, un'amica.
-La prima amica che porti a casa, sì- commentò lei, scettica.
-E' venuta a trovarmi, non l'ho invitata.
-Non l'hai mandata via.
Sospirò esasperato. Ostentava così tanto fastidio, che anche Simona fece un passo indietro in quella corsa sfrenata per soddisfare le sue curiosità. –Cosa vuoi che ti dica?
-Tesoro, non so. Vorrei che mi raccontassi- E sembrò quasi una supplica, una preghiera affinchè il figlio la rendesse più partecipe della sua vita.
Rimase neutrale davanti a quell'ammissione. -Da quando vuoi che condivida con te la mia vita privata?
-M'ama o non m'ama? Non m'ama o m'ama?
-Dio, Federico!- Simona si passò una mano sul viso. –Sono tua madre: è ovvio che mi interesso alla tua vita. So che vorresti ci fosse tuo padre in questo momento...
-Sì, lo vorrei- la fermò lui.
-Ma lui non c'è...- E la voce le si inclinò, fino a tremare, sull'orlo delle lacrime. –Non è qui... Ci sono io, qui con te.
Osservò la madre, ma non si sentì per niente in colpa. -Sai che non è qui per colpa tua... Per questo fai così, vero?
Simona cercò di ignorarlo. –Vorrei solo aiutarti.
-Ma io non ho bisogno del tuo aiuto- rise, rise senza nemmeno accorgersene. –Sei molto più brava a distruggere le cose piuttosto che ad aggiustarle, me la cavo meglio da solo.
-Federico!
-Che c'è?
-Smettila!- strillò. Sembrava una bambina capricciosa in quel momento: le guance arrossate, gli occhi lucidi di lacrime. La somiglianza con Alberta era sconvolgente. –Sei crudele!
-Me la cavo, anche con la mia crudeltà.
E se ne andò, senza soddisfazione, senza sapere se fosse più arrabbiato o ferito, o triste. Quelle emozioni erano sempre così nascoste che quando si presentavano non sapeva distinguerle nemmeno lui.
-M'ama o non m'ama? Non m'ama o m'ama?
-Alberta, smettila!- disse gelido alla sorella. –Non ti ama!
La bambina lo guardò, confusa e triste.

Parlare con il padre era l'esatto opposto: semplice, senza bisogno di troppi giri di parole o filtri.
Seduto ad uno dei tavoli del Bangladesh, quella sera raccontò a Giancarlo tutto quello che era successo, dall'arrivo di Emma fino all'ennesima lite con la madre.
-Sai cosa è tutta questa rabbia repressa che hai?
Federico prese a girare il dito sul bordo del bicchiere pieno di birra. Anche se erano le sei, farsi stordire dall'alcol era sempre un piacere.
-Non ho rabbia repressa.
-Per questo si chiama repressa, non sai di averla- rise Giancarlo, con quel vocione che lo contraddistingueva.
Sospirò, con un mezzo sorriso che il padre non poteva vedere. –Illuminami.
-Il tuo culo orgoglioso non accetta i rifiuti e punisce il mondo al posto di chiedersi 'perché?'.
-La lampadina non si accende.
-Ma sì che si accende, non sei deficiente- lo incalzò. –Stavolta non è colpa né di tua madre né di tua sorella, e tu lo sai.
-E di chi sarebbe?- borbottò.
-Se la risposta te la do io, che gusto c'è?
-Stronzo.
Giancarlo rise. –Sono tuo padre, no? Fatti della stessa pasta.
-Pasta di merda.
-Al posto di fare il coglione, va a scusarti con Simona. Non mettere a soqquadro la tua vita perché le cose non vanno come vuoi tu.
Federico scuoteva la testa già da minuti. –Come se le avessi dato tanta importanza!- commentò infastidito.
-Ah!- gridò Giancarlo, un bambino entusiasta per aver scoperto chi metteva le mani nella marmellata. –Visto che sapevi di che cosa stavo parlando!
-Ti sbagli.
-Smettila di fare il coglione, Federico –lo riprese bonariamente. –Negare le cose non pone rimedio, ci sono già passato. Muovi il culo e fa qualcosa, non sputare veleno su chi non ha colpe. Ti saluto!
E la telefonata si interruppe così, bruscamente, senza che Federico avesse il tempo di salutarlo e di aggiungere qualcos'altro per difendersi.
Ma a cosa sarebbe servito? Non avrebbe mai ammesso che il padre aveva ragione, sarebbe costato troppo al suo orgoglio già ferito.
In due sorsi finì la birra. Di nuovo si sentì deliziosamente stordito.
-Te ne offro un'altra.
Riconoscere i capelli rosso fuoco e le gambe di due metri non fu difficile.
-Sbaglio o ti avevo dato il ben servito?
Amelia arricciò le labbra, rigorosamente tinte di rosso. –Non sbagli.
-E allora non ti disturbare.
-Ma non mi hai dato la possibilità di giocare tutti gli assi nella manica- sorrise lei, furba.
-Eri già sufficientemente nuda se è questo che intendi, non mi serviva che scoprissi un centimetro in più di pelle per capire che non mi interessa.
-E' che di solito è così che funziona, sempre- Amelia non attese l'invito a sedersi: lo fece e basta, accavallando le gambe lunghe. –Non ho neanche bisogno di sforzarmi.
-Deve essere gratificante sapere che ti basta un sorriso per avere il letto caldo per una notte.
Federico fece un cenno alla cameriera, che al bancone riempì un altro bicchiere di birra ghiacciata.
-Affatto- commentò Amelia. –Soprattutto perché la mattina seguente il letto è freddo e troppo grande.
-E questo perché dovrebbe interessarmi?
-E' a me che interessa, ma non sono qui a chiederti il perché- Lei lo osservò, mentre sorseggiava la birra e si puliva la bocca dalla schiuma. –Lo so già.
Lui sorrise. –Fare autocoscienza aiuta di tanto in tanto, no?
-Tolgo il piacere della conquista se mi servo su un piatto d'argento.
Questo gli fece venire in mente Emma. Se Amelia toglieva il piacere della conquista, per Emma era necessario così tanto impegno che forse veniva meno la voglia di tentare. Se da una parte Amelia andava dritta al sodo, consapevole di ciò che voleva, Emma era così complicata da essere un mistero persino per se stessa.
Ma non voleva pensare a Emma. Non perché fosse arrabbiato con lei, non voleva e basta. Non aveva ragione di serbare rancore, no?
-Togli anche dignità alla tua persona se concedi a tutti la possibilità di averti- disse, mettendo ordine ai suoi pensieri.
Amelia ammiccò. –E' questo il punto: do a tutti la possibilità di avermi, così che non mi abbia nessuno fino in fondo.
-Ti manchi di rispetto- ribatté Federico. –Se sei tu la prima a non rispettare te stessa perché qualcun altro dovrebbe sentirsi in dovere di farlo?
Amelia rise sguaiatamente, finta e isterica. –Io mi diverto, tesoro mio, non sai quanto mi diverto. E, ti garantisco, mi rispetto e mi amo per quella che sono.
Federico le sorrise. –Vediamo le cose sotto due prospettive diverse, tesoro. Hai visto? Non mi serviva venire a letto con te per capire che siamo incompatibili- ammiccò lui, questa volta, in una velata presa in giro nei suoi confronti.
-A me invece serviva questa chiacchierata per capire che mi piaci- allungò il suo bicchiere di birra e lo fece tintinnare con quello di lui.
-Non avrai più di questa chiacchierata, da me.
-Ed è qui che ti sbagli!- civettò con voce squillante. –Questa volta voglio sforzarmi.
Trattenne un sorriso, la birra nel bicchiere quasi terminata. –Ah sì?
-Visto che il mio solito approccio non funziona, ne provo uno diverso- annuì lei. –Mi piaci, te l'ho detto.
Federico fece schioccare la lingua sul palato. –Non sono io a piacerti, è l'idea che io ti abbia rifiutata la prima volta.
Buffo come il rifiuto scateni reazioni opposte a quelle che si desiderano, si disse Federico. Amelia lo aveva preso come incentivo.
Buffo come un no venga letto come qualcosa di più, anche dove è semplicemente un rifiuto, senza giustificazioni.
La ragazza allargò le braccia. –Scopriamolo!
-Non mi interessa essere la tua sfida, né scoprire quali sono i tuoi assi nella manica- Federico si alzò e la osservò, dall'alto verso il basso. –Ma grazie per avermi offerto la birra.
E la lasciò lì, da sola, fiero di come si era comportato anche se tante parole erano state solo uno spreco di fiato.
Amelia non era affranta o abbattuta. Aveva sostenuto il suo sguardo fino all'ultimo, nell'atteggiamento tipico di chi crede di avere il mondo nel palmo di una mano. Le labbra rosse incurvate nascondevano la sicurezza della vittoria anche quando si era davanti a una sconfitta.

Il tuo culo orgoglioso punisce il mondo al posto di chiedersi il perché, aveva detto il padre. Ma, al posto di riflettere sul perché che Giancarlo aveva posto, Federico pensava a quanto fossero scurrili gli insegnamenti che gli venivano impartiti dal padre.
Tornato a casa, trovò la madre addormentata sul divano, il Buio oltre la siepe aperto a pagina novantadue.
Deciso ad andare a letto senza nemmeno perder tempo a togliersi i vestiti, Federico salì le scale.
-M'ama o non m'ama? Non m'ama o m'ama?
La stessa cantilena della mattina, ma priva di entusiasmo, di allegria.
La camera di Alberta era ancora illuminata, la porta socchiusa. La bambina era sul pavimento: accarezzava i capelli alla Barbie, vestita di tutto punto per il suo matrimonio, ma senza il suo Ken ad attenderla.
-M'ama o non m'ama?- ripeté ancora una volta la bimba.
-Tesoro?- la chiamò Federico, chinandosi accanto a lei.
Albertina gli sorrise forzatamente e lui capì: punire la sorella per qualcosa che non era stata lei a generare non era giusto. Sfogarsi con il mondo non era la risposta, soprattutto perché non c'era niente per cui arrabbiarsi. Era stato un bacio accidentale, non sarebbe più successo.
-Barbie non sa se vuole sposare Ken e quindi consulta le margherite per risolvere il problema.
Federico rise. –Barbie non ha nessuna margherita.
-Un po' di fantasia, Fede- sbuffò la bimba, senza severità.
-Va bene!- sollevò le mani in segno di resa. –Facciamo finta che Barbie abbia una margherita. Deve essere un fiorellino a stabilire se vuole sposare Ken o no?
Albertina fece spallucce. –Se non può stabilirlo con la margherita, allora come?
-Non so... Ma solo Barbie può decidere per sé.
-E come fa a decidere se non con la margherita?- borbottò, aggrottando le sopracciglia scure. Federico rise. –Deve sapere se le piace Ken, se vuole stare con lui... Questo può stabilirlo facilmente, le basta un bacio per capirlo.
-Fede lo sai che sono solo bambole, vero?- mormorò Albertina, con il tono apprensivo di una piccola mammina.
-Ma certo- sorrise lui, ma forse non era vero. Forse non parlava delle bambole. -Vai a letto, domani ti aiuto io a celebrare le nozze.
-Non sei più arrabbiato?- chiese la bimba, sorpresa.
-Arrabbiato?- la scimmiottò lui, divertito. –E perché dovrei essere arrabbiato?
-Oggi mi hai detto tu che Barbie non ama Ken. Ed eri arrabbiato.
Sì, forse aveva detto qualcosa del genere, ma non si riferiva di certo al gioco di Alberta.
Federico si diede dello stupido per essersela presa con la sorellina.
-Ma sì che lo ama, io non parlavo di loro.
Albertina piegò la testa di lato. –E di che cosa parlavi?
Di Emma.
-Di nessuno. Non dovevo arrabbiarmi, è stato solo un bacio accidentale.
-Un bacio?- ripetè la bambina confusa.
Federico si passò una mano in viso. –Ti aiuto a mettere il pigiama.

Mentre si rigirava sul letto nel tentativo di prendere sonno, si ripeteva che la confusione che gli rimbombava in testa era colpa del padre, di Giancarlo, che aveva instillato il dubbio là dove non c'era nemmeno da chiedersi il perché.
Quel bacio era stato un incidente, si ripeté ancora una volta, forse per convincersi della cosa. Federico non era arrabbiato, non serviva ingigantire una cosa che di per sé era così semplice: era stato un incidente. Non c'era stato nessun rifiuto da parte di Emma perché non c'era stato nessun bacio, solo un incidente di percorso. E comunque non si sarebbe mai lasciato turbare da una reazione negativa di lei, non le aveva dato così tanta importanza. Era tutto a posto.
Proprio mentre ci pensava, sentì un cigolio sospetto, come di qualcosa che si apriva. Non era la porta: era perfettamente chiusa quando sollevò di poco la testa per controllare. Era la finestra, dalla quale era entrata una figura che adesso si nascondeva nell'ombra.
Federico non si lasciò tradire da nessuna emozione mentre Emma avanzava verso il suo letto, silenziosa e furtiva come un gatto. Scostò le coperte e lei si rifugiò nel suo letto.
-Non mi chiedi che ci faccio qui?- gli sussurrò, guardandolo dritto negli occhi.
-Aspetto che sia tu a dirmelo- soffiò lui.
Le labbra sottili si incurvarono in un sorriso, che alla luce della luna sembrava quasi spettrale.
-Non volevo scappare via in quel modo.
Suonavano come un discorso che fai ad un bambino per spiegargli che no, non può avere il gioco che vuole. A Federico questo non piacque. –Lo hai fatto- sibilò incolore. Era più facile, più giusto, mantenersi incolore piuttosto che farle presente ciò che realmente pensava.
-Ero confusa, avevo bisogno di mettere un po' di chiarezza nella mia testa.
-Non potevi aspettare domani per dirmi la conclusione della tua lunga riflessione?- commentò scocciato lui.
-No, dovevo vederti subito- sorrise lei, ma senza allegria. –Dai, non è stato forte vedermi entrare dalla finestra?
Federico rise. –In realtà averti nel mio letto mi preoccupa: non hai un coltello sotto la gonna, vero?
-Niente del genere- scosse la testa. –Senti... Mi dispiace per essere corsa via.
-Non ti scusare: è stato un incidente, non succederà più. E' tutto ok.
Lei lo fissò per qualche istante, indispettita. –Un incidente?- ripeté, scettica.
-Emma vai a casa, è tardi.
La spinse leggermente, per farle capire che era arrivato il momento di andare. Emma non si mosse dal suo letto: continuò a guardarlo truce, ostinata come non mai.
-Non mi sono arrampicata sul muro di casa tua nel cuore della notte per andare via a mani vuote.
Federico sbuffò, indicandole la stanza. –Sentiti libera di portare via quello che vuoi: un souvenir per la tua arrampicata.
-No- protestò lei, forse con un tono di voce troppo alto. –Voglio ciò per cui sono venuta.
-Sarebbe?
-Devo baciarti.
-Eh?- borbottò lui, sollevano le sopracciglia.
Ma non ebbe tempo di dire altro perché Emma lo baciò, stringendolo a sé.
Federico rifletté un istante prima di lasciarsi andare: no, quello della sera prima non era stato un incidente, si disse, e sì, baciarla gli piaceva forse più del dovuto.

Nel linguaggio dei fiori la Margherita assume diversi significati tutti volti alla positività e collegati al concetto di 'verità'. Tra i significati più frequenti troviamo quello di semplicità, innocenza, spontaneità, bontà, freschezza e purezza, amore fedele. Grazie ad un'usanza comune nel Medio Evo ha assunto il significato di: "ci devo pensare", da cui derivò il significato di "abbi pazienza". Nella religione cattolica tradizionale significa "bontà d'animo".
[www.ilgiardinodegliilluminati.it]

Nel Medio Evo le Dame usavano cingersi il capo con delle margherite ogni volta che non erano decise sulla scelta dello spasimante: di qui il significato "ci devo pensare".
[www.dilloconunfiore.com]

La ragazza dei gelsominiWhere stories live. Discover now