BLOOD MOON - Prologo

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La luna. Immensa, piena. Era tutto ciò che riuscivo a vedere, oltre la finestra aperta. Le ante sbattevano, le tende velate libravano dentro la camera come fantasmi.

Rabbrividii quando udii un rumore, soffocato dal vento che sibilava. Un suono che sembrava provenire dalle più profonde viscere della Terra. Un ululato.

«Mamma» gemetti.

Nessuno rispose alla mia invocazione. Premetti i pugni sul ventre, cercando di sopportare il dolore. Lo stomaco mi faceva male, come se una mano mi stesse strappando via gli intestini. Spostai la trapunta del letto a baldacchino nel quale dormivo. La mia veste da notte, di seta rosa, era macchiata di sangue. Fra le gambe.

Avevo dodici anni, il mio corpo era cambiato, cominciando a trasformarsi in quello di una donna.

Io però non ero come tutte le altre ragazzine della mia età, questo era ciò che mia madre mi aveva sempre ripetuto, preparandomi a quel giorno.

Inspirai e riuscii a sentire tutto quello che c'era, fuori dalla finestra aperta, nel giardino della villa: i grandi pini che si agitavano, l'odore delle felci, gli scoiattoli che si rincorrevano.

Il mio corpo era bollente e ricettivo, come non lo era mai stato. Sentivo che qualcosa era irrimediabilmente cambiato, per sempre.

I capelli mi si erano attaccati al viso, a causa del sudore. Li sistemai, portando le ciocche bionde dietro le orecchie. Anche il mio udito si era amplificato: udii il verso di una civetta, lontano, e fu come se la camera vibrasse.

Mi trascinai fuori dal letto, mi poggiai al muro e percorsi quei pochi metri che mi separavano dalla porta, tremando malferma e arrancando. Girai la maniglia e la porta si aprì, con un lungo cigolio.

«Mamma...»

Il corridoio era buio, il pavimento sembrava una lastra di ghiaccio, sotto i miei piedi scalzi. I ritratti dei miei avi mi osservarono: una sfilza di spettri, morti da chissà quanti secoli, che ridevano della mia paura. Volti di cui non avrei mai conosciuto il nome.

Non appena i raggi della luna piena mi colpirono, penetrando da una delle finestre, arretrai di colpo. La mia pelle, in quel punto, era diventata per un breve attimo madreperla. Brillante.

Continuai a camminare, mentre il mio menarca proseguiva, copioso. Forse avevo un'emorragia, dovevo andare in ospedale.

Con un sospiro, nel buio, scorsi alla fine del corridoio la porta della camera da letto dei miei genitori. Finalmente ero arrivata. Girai la maniglia, con cautela, per non svegliarli di soprassalto.

La luna piena rischiarava tutta la stanza, le finestre erano spalancate, e il vento penetrava simile a bisbigli gelati. Le gocce di cristallo del lampadario dondolavano, risplendendo come gemme; i disegni della carta da parati damascata sembravano muoversi di vita propria, e non riuscivo a staccare gli occhi da quei gigli che vorticavano lenti, ipnotici.

Mi bloccai, quando scorsi nel letto due corpi nudi. Abbracciati. Avevo sbagliato a entrare senza bussare. Sentivo dei sospiri che non avevo mai udito. Quelle non erano le loro voci. Avevano qualcosa di ferino, di selvaggio.

Provai un formicolio al basso ventre, e i dolori d'un tratto scomparvero. Nel buio della stanza, balenarono due fiammelle rosse. Gli occhi di mio padre.

Un ululato si propagò per tutta la villa, ma nessuno corse a vedere cos'era successo, nessuno dei domestici arrivò dal corridoio, alle mie spalle. Sembrava che l'intera casa fosse sprofondata in un sonno mortale.

Il corpo di mio padre pulsò, facendo guizzare i muscoli delle spalle. Fece girare mia madre di fianco e la sua mano le percorse la schiena. Tre strisce rosse brillarono sulla sua pelle lattea e lei urlò.

Il torace di mio padre mutò ancora, diventando grigio argento. La schiena di mia madre invece, divenne ancora più bianca. Un manto soffice, candido come la neve.

Non erano più esseri umani.

I due lupi si azzannarono, sopra le lenzuola disfatte dell'enorme letto in stile Luigi XIV. E vidi il rosso lampeggiare sulla trapunta, gocce che schizzavano dalla loro lotta.

Persi l'equilibrio e urtai la porta, facendola aprire del tutto, a causa della sorpresa.

«Mamma... dove sei?» chiesi, con un filo di voce.

Rimasi immobile sull'uscio, il lupo dal pelo d'argento si voltò nella mia direzione e mi osservò, infuriato che lo avessi interrotto.

Socchiuse le palpebre quando scrutò il sangue del menarca che aveva macchiato la mia camicia da notte fra le gambe, dilatò le narici e inspirò il mio odore.

Arretrai di due passi, non appena compresi perché mi osservava in quel modo. Voleva me. Era affamato.

Il lupo d'argento, in contrasto con l'immensa luna piena, levò il capo verso l'alto e ululò. Con un salto leggiadro e veloce, si lanciò verso di me. Le sue zanne luccicavano come avorio, i suoi occhi erano tizzoni infuocati.

Fuggii, inseguita da quell'animale.

Scesi le scale, al buio, senza neppure vedere dove mettevo i piedi, finché non spalancai il portone d'ingresso. Mi fiondai fuori, correndo per il giardino. Villa Rochester, la casa dove avevo vissuto per dodici anni, era un immenso edificio ispirato alla Casa Bianca, con colonne di marmo frontali e una cupola centrale, sopra il salone in cui facevamo le feste.

Era isolata dagli altri edifici di Manhattan grazie al parco all'inglese.

Noi, i Rochester, eravamo diversi da tutti gli altri newyorkesi. Me lo avevano sempre ripetuto, ma non ero mai riuscita a capire in cosa fossimo differenti.

L'ululato mi venne dietro. Stava quasi per raggiungermi. Le ginocchia mi facevano male, ma continuavo a correre, senza sapere dove andare. Non sapevo dove nascondermi, a chi chiedere aiuto.

Caddi sull'erba, inciampando in un sasso. Quando gli ululati aumentarono, diventando prima due, poi cinque e infine dieci, mi tappai le orecchie. Ero terrorizzata.

Gli occhi infuocati di quelle bestie lampeggiarono nel buio, mi avevano circondata. Non avevo scampo. Mi avrebbero divorata e fatta a pezzi.

Avvinghiandomi in posizione fetale, sperai che facessero in fretta. Rassegnata a morire, alzai lo sguardo. E accanto alla luna piena sopra il mio capo, distinsi il lupo bianco, che mi osservava. I suoi occhi erano blu come l'oceano; il suo pelo candido, come la neve più pura, veniva mosso dal vento.

Si avvicinò e sfregò il muso contro la mia guancia. Lei non mi avrebbe mai fatto del male. Non era malvagia come il lupo argentato.

Chiusi gli occhi. La mia pelle continuava a scottare, in preda a una forte febbre. Rimasi priva di sensi finché le prime luci dell'aurora illuminarono il mio volto.

Due dita mi sfiorarono la fronte, delicate. «Tesoro, stai bene?»

Era mia madre. Nuda.

«Mamma, cosa mi succede? Ho male dappertutto.» La osservai sorpresa. Non copriva la sua nudità, non si vergognava. «Come mai sei nuda?»

«Piccola mia» gemette. «Mi dispiace. Non avrei mai voluto che tu lo scoprissi così. Sai, quello che hai visto stanotte è... Io e tuo padre...»

«Che vuoi dire?» Non ricordavo nulla. La mia mente era una lavagna nera. «Che ci facciamo in giardino? Stavo dormendo nella mia camera. E stavo facendo anche un sogno molto strano. Due enormi cani, uno grigio e uno bianco, si azzuffavano emettendo rumori molto buffi.»

Il suo viso si rasserenò, dopo lo sgomento iniziale. «Bambina mia... non è accaduto nulla. Adesso riposati, e non pensare a niente.» Quando mia madre mi prese in braccio, rincuorata mi abbandonai contro il suo petto. Profumava di vaniglia, d'erba di campo, di margherite... e di un odore ferroso e pungente.

Lo stesso odore che sentivo ancora fra le mie gambe.

Sangue.

BLOOD MOON  (ESTRATTI)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora