BLOOD MOON 5' Capitolo "Cacciatori e prede"

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Lunedì mattina scesi in soggiorno per la colazione, e trovai mio padre e mio fratello che divoravano enormi bistecche al sangue, strisce di bacon, prosciutto e uova strapazzate.

Sedetti nauseata e una giovane cameriera in guanti e livrea mi versò con eccessiva grazia il caffè nella tazza del latte, facendo molta attenzione.

Sistemai la cravatta dell'uniforme scolastica che si era un po' allentata, allungai il braccio e acchiappai uno dei tramezzini dal piatto di portata al centro del tavolo, prima che quei due facessero piazza pulita.

«Carne di prima mattina, eh? A pranzo divorerete un cinghiale intero, immagino» commentai ironica.

«Ti sei divertita sabato sera?» Benji sorrise. Era diventato un ragazzo bellissimo, i capelli dorati e un poco lunghi gli incorniciavano il viso; le sue labbra carnose erano il sogno di ogni ragazza del nostro liceo. Anche lui indossava la divisa della Weaver Academy.

«Uhm, insomma» storsi la bocca.

«Che risposta è? L'odore dei tuoi ormoni lo hanno sentito anche i licantropi del Queens» sghignazzò lui. «Che hai combinato con quell'umano che ti sei portata a casa?...»

«Benjamin.» Nostro padre lo riprese, poi si rivolse a me con accento di rimprovero:

«Non c'è bisogno che io ti ricordi la regola più importante di tutte: mai in casa. Se ti vuoi sollazzare con un umano per me va bene, ma non gradisco cadaveri in giro. Non voglio che la servitù scappi a gambe levate, è difficile al giorno d'oggi trovare dei bravi domestici.»

Sorrise a mio fratello. «Tu che hai fatto invece?»

«Sono uscito con Judith, la figlia minore dei MacFarland. Mi ha sfiancato. È peggio di una cagna in calore.»

Nostro padre scoppiò in una risata.

I MacFarland si erano trasferiti dall'Irlanda, erano uno dei più vecchi clan di lupi esistenti in Europa. Benji non era il tipo da avere una ragazza fissa, l'unico scopo della sua vita era spupazzarsi quante più ragazze possibili, e ci riusciva alla grande.

Sbuffando, bevvi un sorso di aranciata. «Insomma, basta! Ma vi sembrano discorsi da fare a tavola?»

«Ti stai umanizzando troppo, sorellina. Va bene frequentare i nostri compagni di liceo, ma tieni sempre a mente una cosa: noi siamo superiori.»

Notando che non accennavo a rispondere, Benji proseguì con aria spocchiosa. «Te ne renderai conto quando ti trasformerai la prima volta.»

«Vado.» Indignata, mi alzai da tavola con uno scatto. Quei discorsi da predatori non mi erano mai piaciuti, né i pregiudizi radicati.

Mio padre era sempre stato orgoglioso di avere un figlio come lui. Benji si trasformava da circa due anni oramai. Cacciava con un'attenzione morbosa e sceglieva vittime su cui nessuno avrebbe indagato: prostitute, assassini, stupratori, pedofili. Sempre in altri distretti, mai a Manhattan.

Le torture che faceva a quegli uomini, mentre erano ancora vivi, non erano descrivibili a parole.

Non lasciava mai tracce e faceva sparire i resti. Ma questo era ovvio: avevamo al nostro servizio anche gorilla che svolgevano il lavoro sporco e andavano immediatamente a ripulire, dopo che qualcuno della famiglia aveva fatto uno spuntino.

La paga era buona e nessuno avrebbe mai parlato, anche perché sarebbe stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico, se avesse dichiarato che a New York City vivevano interi branchi di licantropi dall'aspetto umano.

Anche Benji si alzò. «Scappo anch'io. Papà, oggi prendo la Ferrari.»

«Rompi di nuovo il cambio e giuro che te la sequestro per un anno» lo minacciò lui. «E guida piano. Sembri un pazzo al volante. Sono stanco di corrompere gli agenti di polizia per farti togliere dieci multe alla settimana.»

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