Capitolo 6

241 19 20
                                    

Can anybody hear me? I'm hidden under ground
Can anybody hear me? Am I talking to myself?
Saying, "Tag, you're it, tag, tag, you're it."
He's saying, "Tag, you're it, tag, tag, you're it."
***
"Non c'è tempo da perdere."
Vengo svegliato dal borbottio astratto di quella voce che ormai mi pare di poter etichettare come familiare.
Familiare. In fondo non ha nulla di diverso da quella di mio padre, di mia madre, persino di mio nonno. Fredde, distaccate, roche, e ognuna di esse mi provoca quei brividi agghiaccianti di terrore e di ribrezzo.
"Sta per finire, presto se ne renderà conto." Continua, questa volta con un tono infantile, quasi femminile.
Non sta parlando con me, per lui sto ancora dormendo; sta parlando da solo. Sorrido tra me e me, la cosa non mi sorprende: solo un pazzo può pensare di agire in questo modo senza subirne le conseguenze. Ma se non gli importasse delle conseguenze? Se il suo unico scopo fosse quello di distruggermi, sia fisicamente che emotivamente? Non riesco a immaginare una motivazione tale da spingere un uomo a compiere un atto simile e non riesco a smettere di chiedermi: perché? Non mi credo capace di compiere un gesto tanto sconsiderato da meritarmi questa prigionia. Ma d'altronde, io non so nulla, giusto? Non so nulla del mio passato, se non quegli spezzoni di ricordi che si fanno strada nella mia memoria mentre dormo; immagini deformate e suoni ovattati, uomini e donne senza volto sono le uniche cose che rammento al risveglio, raramente riesco ad attribuire un volto ad una persona. Eppure ogni volta c'è quella sensazione... Quel senso di déjà vu, quella consapevolezza che qualcosa di più grande sta per arrivare, che il pezzo mancante del puzzle sarà presto ritrovato negli anfratti più oscuri della mia testa e che renderà tutto più chiaro. Sorrido esilmente al vuoto che si estende davanti a me.
Anche sorridere ormai fa male. La mia faccia è come di plastica, al minimo movimento sento che potrebbe andare in frantumi. La situazione non è diversa per il resto del mio corpo. Sto andando lentamente in piccoli pezzi, e alla fine qualcuno dovrà raccogliere le mie ceneri. O forse no, forse rimarrò qui per sempre, anche sotto forma di piccoli brandelli di pelle secca, sporca e morta.
Ho già pensato a questo. Alla mia morte, intendo. In passato morire in un luogo simile sarebbe stato l'ultimo dei miei desideri. Adesso morire non è più un'idea che mi mette paura. Adesso morire sarebbe una possibile, seppur estrema, via di fuga.
"Dylan, no!"
Questa voce.
"Fai silenzio, razza di idiota! È una sua scelta."
Mi trovo di nuovo nel campo. La figura alta e slanciata giace in cima a quella collina spoglia. Non risiede sul terreno, anzi, non appartiene a nulla di ciò che riesco a vedere. È come una presenza, qualcosa che posso sentire, ma che non si mostra. Eppure è lì, so che quella figura alta e slanciata, con i suoi occhiali da sole, il suo lungo cappotto e i suoi occhi di ghiaccio mi osserva da quella collina. Questa volta non avverto il suo sguardo puntato su di me, ma su qualcosa dietro di me.
"Non mi importa, non mi importa!" Esclama la voce infantile alle mie spalle.
"Dylan... Io..."
"Silenzio! Dylan, non ascoltare nulla di ciò che ti dirà. Guarda in basso, Dylan!" Urla la figura della collina.
"No, no, no, no! È una trappola!"
"Fallo!"Ordina la figura in un tono terrificante, la sua voce mostruosa e profonda risuona in tutto il campo.
Sto quasi per abbassare lo sguardo, quando la voce dietro di me si fa più vicina e la mia spalla viene sfiorata da qualcosa.
"Non rimane molto tempo. Ricordati quello che sto per dirti, perché non ci rivedremo per un lungo periodo.
Sette: la coscienza;
Due: il rimorso;
Nove: il perdono;
Tredici: la libertà."
"Non... Non capisco..."
"Devi prestare molta attenzione. Sii prudente."
"Cosa... Cosa sono quei numeri?"
"Non rimane più tempo. Ora devi svegliarti."
"No! Aspetta!"
"Svegliati, Dylan! Sveglia, o il vento ti porta via." La sua voce si spezza, inizia a singhiozzare violentemente. Il ticchettio di un orologio risuona da un punto indefinito del campo, nuvole nere oscurano il cielo, che diventa dello stesso cupo colore. I miei occhi si fanno pesanti.
"Non voglio svegliarmi! Non posso svegliarmi! Mi prenderanno!"
Vengo afferrato dalle spalle con forza. "Svegliati, o non ne uscirai vivo."
Mi volto e la vedo.
È lei.
O meglio, era lei.
Indietreggio alla vista di quella visione orrenda, ma inciampo sui miei passi e finisco sull'erba umida del prato. Quegli occhi... Non sono i suoi teneri occhi vivi di un tempo. Sono opachi, come se fossero fatti di vetro, rossi come il sangue.
Una lacrima rossa scende sulla sua guancia pallida come il cielo sopra di noi. Poi un'altra, e un'altra, e un'altra ancora.
Mi sorride, mostrandomi una fila di denti neri e affilati come coltelli.
"Sei... Sei t-tu?"
Smette improvvisamente di sorridere. Avanza lentamente verso di me, si avvicina pericolosamente al mio volto. Un tremendo odore di carne putrefatta si insinua tra le mie narici, provocandomi un conato di vomito.
"Non fidarti di nessuno, è più vicino di quanto pensi."
Sono sveglio.
Questi improvvisi momenti di black out si fanno sempre più frequenti, ma sono il fattore meno preoccupante al momento.
"Dobbiamo sbrigarci, come faremo!" Prosegue la voce.
"Te lo dico io, mostriamoglielo prima."
"No, no! Sei impazzito? Non è ancora pronto."
"Lo è, lo è! Riuscirà a scappare, le catene si stanno spezzando. È il momento."
Le catene si stanno spezzando. Mi volto lentamente verso quella ferraglia legata ai miei polsi, ormai ridotti in condizioni pietose. Nonostante l'oscurità, riesco a vedere che gli anelli sono pieni di ruggine, sembrano potersi staccare da un momento all'altro.
Penso. Penso alle conseguenze di quello che ho in mente di fare.
Una voce si fa spazio nella mia testa bisbigliando: "Sii prudente."
Forse dovrei seguire quella voce. Forse dovrei rimanere a vedere cosa succede. O forse, in questo caso, essere prudente comporterebbe la mia condanna. Non si presenterà un'altra occasione simile. Alzo il braccio con un movimento lento, non devo assolutamente di farmi scoprire. Porto le catene al massimo della loro lunghezza, poi le tiro con forza. Sento caldo, ma il mio corpo trema per la paura e l'adrenalina. La puzza di muffa mi travolge più forte che mai, potrei avere un attacco d'asma da un momento all'altro. Ma non lo permetterò. Non permetterò alle mie debolezze di impedirmi di fuggire da questo inferno.
La voce continua il suo monologo delirante, non si è accorta del mio movimento.
Un rumore secco. La catena si è spezzata, è per terra adesso. Il mio cuore si ferma per un istante. È tardi per tirarsi indietro. Oggi vincerò io. Per una volta nella vita, sarò io a sconfiggere i mostri.
Mi guardo intorno, per riflesso, sebbene sia tutto al buio. Sto sudando, le mie orecchie pulsano per la pressione e l'eccessiva tensione, sono sicuro che siano rosse come peperoni.
Do uno strattone alla catena che lega il polso ancora bloccato. Un altro rumore. Si è rotta. Non rimangono che quelle alle caviglie.
Mi alzo in piedi, per un attimo la testa gira e mi sento quasi svenire, ma mi riprendo velocente e strattono la catena spingendo la gamba destra all'indietro, faccio lo stesso per la sinistra.
È fatta.
Sono libero.
Rimango fermo, sorpreso della piega che sta prendendo la situazione.
E adesso corro. Non ho idea di dove io stia andando, non riesco a vedere niente. Le manette delle catene sono ancora attaccate ai miei polsi e alle mie caviglie e mentre mi muovo strisciano per terra facendo un baccano infernale. Continuo a correre. Mi sembra di girare intorno.
Vado a sbattere contro qualcosa. Qualcosa di metallo. Metto le mani avanti, cercando di capire di cosa si tratti. Tocco qualcosa. È una maniglia. C'è una porta davanti a me.
Abbasso la maniglia, la porta si apre.
Scoppio in un pianto esageratamente disperato. Non posso ancora crederci.
Sono salvo.
Ce l'ho fatta.
Avanzo rapidamente, sono ancora circondato dal buio, ma non demordo. C'è un silenzio sinistro, la voce ha smesso di parlare con se stessa; è un pessimo segno. Procedo la mia corsa nel buio, verso una destinazione ignota. Essendo stato seduto per chissà quanto tempo, le gambe tremano e sembrano poter cedere da un momento all'altro, mentre il resto del corpo è completamente intorpidito. Ma non è più possibile tornare indietro.
Sbatto nuovamente contro qualcosa, la tocco nella speranza di essermi imbattuto in un'altra porta, quella di uscita possibilmente.
Ma non è una porta.
È il petto di una persona.
Indietreggio lentamente.
C'è silenzio. La persona continua ad osservarmi, immobile.
"Povero, povero ragazzo." Esordisce con quella voce che ormai conosco bene. È lui. È quel pazzo che mi tiene qui.
"Pensavi davvero che ti avrei lasciato andare così facilmente? Ohw, Dylan. Dovresti sapere che non siamo così sciocchi."
In un eccesso di rabbia, mi lancio contro di lui. Provo a colpirlo ripetutamente, ma para tutti i miei colpi con facilità. Inciampo nelle catene.
"Oh, no, no, no. Così non va bene. Ha ancora il coraggio di attaccare? Quale arroganza! Mi sa che avevi ragione, non è ancora pronto." Sta parlando di nuovo da solo.
Tento di attaccarlo una seconda volta, ma mi colpisce violentemente con un oggetto metallico, dritto in fronte.
Cado a terra, impotente.
"La... La coscienza... Dylan... È la cosa fondamentale... Sì... Decisamente."
Sprofondo nel sonno accompagnato dalla risata agghiacciante della persona davanti a me.
Non uscirò mai vivo da qui.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: May 05, 2018 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Freak- Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora