Capitolo 1

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Buio. Un buio opprimente, accecante, pressante; sento che potrei finire schiacciato da questo buio così denso .

Riacquisto lentamente coscienza e provo ad aprire gli occhi; all'inizio credevo di non riuscire più a farlo, ma solo adesso mi accorgo che sono aperti già da tempo, spalancati; è come svegliarsi ma non farlo veramente, aprire gli occhi e non vedere niente. E' questa la parola che mi descrive al meglio in questo momento: niente, il nulla assoluto. E' forse questo che sono diventato? Il nulla? Sono morto? Sto ancora dormendo? Ogni piccola parte di me, anche quella più remota e nascosta, prega che io lo stia facendo, che questo sia solo un sogno e che presto mi risvegli in un letto scomodo di un piccolo appartamento di città.

Ma se questo è davvero un sogno, non ho mai sognato niente di più reale. Posso sentire ogni cosa, posso ancora sentire il mio corpo riempirsi di brividi a causa del freddo, il duro pavimento di cemento sul quale sono seduto, la mia schiena pressata contro il muro di mattoni dietro di me, il pungente odore di muffa che mi rende difficile respirare. L'aria è talmente pesante e viziata che ho la costante sensazione di soffocare, ma non c'è una finestra da aprire, né un ventilatore da far girare; diamo così per scontato le cose semplici, che scordiamo che non lo sono affatto. La quotidianità è sottovalutata.

Una volta aver ripreso completamente i sensi, provo ad alzarmi, ma solo adesso noto le catene ai polsi e alle caviglie.

Ho dolori dappertutto, è come se il mio corpo fosse pieno di aghi e il minimo movimento li facesse affondare ancora di più nella mia pelle.

Un liquido fluido e caldo inizia a colare dalla mia fronte, e non capisco di cosa si tratti finché una goccia di quest'ultimo non mi finisce sulle labbra: sangue.

Perché sono qui? Come ci sono finito? Che ho fatto di male per finire in catene in un luogo come questo?

Il panico prende possesso del mio corpo, una scarica di adrenalina mi percorre la schiena e inizio a dimenarmi con foga, ma questo peggiora solo la situazione: le manette sono così strette che al minimo movimento incidono la mia pelle, lasciandomi ferite lancinanti.

Lascio cadere la testa all'indietro, sul muro, stanco e sconfitto. Mi rassegno al fatto che l'unica cosa che posso fare è stare seduto immerso nell'oscurità di questo luogo sconosciuto. Stare seduto e cercare di ricordare come io abbia fatto a finire qui.

Inizio a tirarmi lentamente su, facendo attenzione a non graffiarmi con le catene, e mi sistemo meglio contro il muro, anche se la situazione non migliora di molto. Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, dimenticandomi dell'aria satura di muffa e umidità e tossendo stizzosamente per quest'ultima. Provo ad alzare la mano e a portarla al viso, ma la catena mi ferisce per l'ennesima volta. Frustrato, sbuffo sonoramente e la lascio ricadere a terra, decidendo che è meglio darmi da fare per sciogliere quel groviglio di nodi che è il mio cervello.

Inizio con qualcosa di semplice, così cerco di ripercorrere la giornata di ieri. L'ultima cosa che ricordo è...

Niente. Assolutamente niente. Non ho idea di che giorno sia oggi, non so da quanto tempo sono incatenato qui, a stento ricordo come mi chiamo; la mia mente è come un enorme specchio rotto in minuscoli pezzi mischiati tra loro. Ogni ricordo è vago e confuso, e mi risulta difficile rimetterlo a posto. E' una situazione ai limiti del surreale.

Sbatto ripetutamente la testa contro il muro, preso dalla rabbia, il mio respiro comincia ad accelerare molto velocemente e a diventare più affannoso di quanto già non fosse, e l'ansia che reprimevo con difficoltà si sprigiona in tutta la sua prepotenza.

La poca aria che riuscivo a respirare inizia a mancare, facendomi boccheggiare e strabuzzare gli occhi. Gli unici rumori che si possono sentire sono il mio fiato sempre più corto e le catene che sbattono pesantemente contro il pavimento.

Quando penso di aver esalato il mio ultimo respiro, una voce dal timbro grave e imponente rimbomba nella stanza vuota in cui capisco di trovarmi, facendomi trasalire.

"Nella tasca." Dice la voce, e per un attimo un qualcosa di simile ad un ricordo mi passa davanti agli occhi, ma troppo velocemente per poterlo cogliere.

Non del tutto certo di trovarci qualcosa, ma guidato dalla disperazione, mi porto con fatica una mano alla tasca dei pantaloni, cercando a tentoni nel buio e frenato dalle catene. Con la punta dell'indice tocco un oggetto di plastica in fondo alla tasca, così alzo i fianchi per aiutarmi a raggiungerlo. Dopo qualche tentativo riesco ad afferrarlo. Uno strano senso di eccessiva fatica mi colpisce tutto in una volta, così mi lascio andare contro il muro e i miei muscoli si rilassano, poi il buio, ma quello vero, quello che non ricordi neanche di avere visto da quanto in fretta ti travolge.

Non sono morto, non ancora. A quanto pare devo patire tutte le pene dell'inferno prima di uscire di qui.

Se mai uscirò.

Al mio risveglio trovo una luce sopra di me, che per poco non mi acceca, quant'ero abituato al buio.

Mi copro il volto nella spalla e dopo qualche minuto rialzo lo sguardo, cercando di riabituarmi alla luce.

La stanza è illuminata solo parzialmente; a dirla tutta, lo sono solo io.

Abbasso lo sguardo e ritrovo i pantaloni beige  -che ovviamente non ricordo di aver indossato- sporchi di sangue alle caviglie; chiudo immediatamente gli occhi e premo le labbra in una linea piatta, per poi farmi coraggio e aprirli nuovamente. Non lancio neanche un'occhiata ai miei polsi, so già cosa troverei, ma un oggetto che tengo stretto nel palmo della mano attira la mia attenzione.

La alzo leggermente ed esamino l'oggetto in questione.

Un inalatore.

Rimango a fissarlo per quelle che sembrano delle ore, corrugando la fronte e spalancando gli occhi quando qualcosa mi torna in mente.

Un ricordo.

 

Freak- Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora