Memories

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Martina's pov

-Che ne diresti di raccontarmi il perché tu non possiedi più una lettera per tuo padre?- le domandai, poggiando la penna sul ripiano di vetro lucido davanti a me, i suoi occhi fuoriuscirono dalle orbite per la sorpresa, di certo non s'aspettava che potessi imparare così in fretta ad osservare ciò che mi era attorno.

Quel giorno portava i capelli lisci, trovavo fosse ugualmente bellissima, lo era sempre. Era triste, forse, piuttosto vuota, ma era bellissima.

Indossava solo un maglione largo e un leggins, le sue unghie portavano uno smalto sbiadito e sul suo volto c'era la completa assenza di un trucco che mascherasse i suoi tristi pensieri.

-T'ho insegnato fin troppo bene.- ma la Blake di cui parlava tanto non era minimamente paragonabile a quella che sorrideva alle mie affermazioni fin troppo provocatorie, ma che non la scalpivano, riusciva, ormai, a ricordare senza che le lacrime dilagassero per le sue guance rosse.

Sorrisi d'istinto, sciogliendo la crocchia disordinata che m'ero fatta quella stessa mattina mentre battevo le ultime pagine di quel romanzo al computer, attendendo solo dettagli per rendere riconoscibile una così dannata storia.

-Me lo racconterai?- mi eressi sulla sedia, la schiena aderì perfettamente al vetro freddo, mentre lei mi superava, aprendo un'anta del mobile, con destrezza, e tirandone fuori un pacco di fazzoletti.

Mi sorrise cupa, un po' sola, avvicinandosi a passi d'una lentezza allucinante, ma i minuti passarono così velocemente, che mi sembrò fossero passati solo pochi secondi da quando le ebbi rivolto la domanda a quando si sedette di fronte a me, stringendo fra le sottili dita i fazzoletti.

-Questa volta, Martina- lo ammise, la trovavo così fragile, ma forte, per niente orgogliosa -mi vedrai piangere, perché anche le anime più dure si spezzano ai ricordi.

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Schiuse le labbra, le mani tremolanti davanti alla bocca e gli occhi si dilatarono maggiormente, bruciando fortemente.

Lasciò cadere per terra il casco, quelle mura vecchie, ricche di pianti e suicidi mai confessati. Quella strada che si apriva dove tutti dormivano, eternamente, o forse, anche di più.

Dove, di notte, pensava, le anime ridessero fra loro, raccontando al vecchio portinaio la loro storia, come fossero finite in quel posto, chi prima, chi dopo.

E lei, col casco vicino ai piedi, il petto che scoppiava e tanti rimorsi che fin troppo ballavano, sentiva come se fosse divisa dal fare quello che avrebbe sempre, se non di più, desiderato, scegliendo, nuovamente, di sbagliare.

Guardò Federico, teneramente accovacciato ed intento nel raccogliere il casco, e lui le sorrise, rassicurante. Aveva ancora gli occhi rossi, ancora non si capicitava, ancora l'anima tagliata.

-Non é giusto- scosse la testa, piangendo in maniera contenuta, osservando i vari uomini che vendevano i fiori e le anziane signore che li compravano, chiedendo i più freschi per il defunto marito.

Le auto che parcheggiavano, probabilmente numerose perché troppe il primo erano mancate nel visitare, perché troppe avevano paura di non aver più forse una buona stella.

Alcune salutavano il portinaio, la barba gli accentuava i lineamenti stanchi, le mani erano piene di pieghe, quasi quanto il volto, sinonimo di una vita vissuta lavorando, se non troppo, addirittura.

Le piante che si azalvano lì, dinanzi a quell'ingresso, lo aveva sognato per anni, altrettanto temuto.

Lo guardò, la guardò, si guardarono. Temeva e lui lo sapeva, le strinse la mano.

Kiss me again, pleaseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora