Frammento #1

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Sono furiosa con la mia Musa: continua a fare la preziosa e non mi fa scrivere nulla di interessante tale da essere pubblicato. Ho voglia di pubblicare qualcosa ma non ho nulla che valga la pena di essere condiviso - forse neanche questa cosa merita di essere resa pubblica. Non ho l'ispirazione, quel brio che mi fa buttare giù storielle che ritengo interessanti.

Diciamo che la mia vita in generale mi sta dando poche soddisfazioni. È un periodo abbastanza grigio, tendente al nerognolo fangoso.

Non che la mia vita in generale sia caratterizzata da particolari gioie, lo ammetto.
Ogni cosa "bella" me la sono guadagnata: i bei voti a scuola, la laurea (nonostante sia considerata più o meno come carta straccia), il mio attuale fidanzato, i miei lavori. Niente raccomandazioni, niente sconti, niente colpi di fortuna.

Di porte in faccia ne ho prese tante.

Ho lasciato indietro tante persone, soprattutto quelle che consideravo "amiche", persone che mi avevano promesso tanto ed a cui io ingenuamente avevo dato di tutto e di più. Persone che io ho sempre portato in palmo di mano, a cui ho perdonato milioni di peccati in nome della nostra amicizia, sacrificato con il sorriso i mille pianti che sono spontanei quando si ha sedici anni. Ho pianto con loro perché loro avevano bisogno di piangere ma raramente loro lo hanno fatto per me.

Il fatto è che fin da piccola ho sempre avuto il marchio della "brava ragazza". La tipica ragazza intelligente, sveglia, secchiona, imbranata, educata, volenterosa, bruttina, timidina ma concentrata su ciò che è importante. Impeccabile.
Nessuno si è mai preoccupato del perché io fossi così e pochi hanno superato questa mia apparenza, ancora adesso che le scuole le ho finite.

Il problema è che tutto ciò è sempre stato una maledizione.
Se tutti ti considerano buona ed intelligente, con tanto autocontrollo, gli errori che capita di fare pesano il doppio agli occhi degli altri. Già sbagliare non è piacevole, ma infinite volte mi sono sentita dire: "Ma sembravi così intelligente/brava/paziente" e "Da te non me lo aspettavo proprio".
Specialmente la seconda frase mi fa un male pazzesco sentirla ancora adesso, a quasi ventisette anni. La delusione. Specialmente da persone amiche di cui mi fidavo ciecamente. Avrei messo mani sul fuoco, ma anche piedi, occhi, orecchie, capelli, cuore e cervello sulla brace o in un branco di lupi affamati per persone che al mio primo alzare la voce, al mio primo puntare i piedi, ad un mio minimo accenno di amor proprio, hanno preferito lasciarmi andare, senza passare dal via.

La colpa non è tutta loro: l'essere spesso calpestati fa aumentare l'orgoglio ed io non l'ho saputo gestire. D'altronde, i secchioni sono famosi per non saper gestire al meglio le relazioni umane, giusto?
Dall'altra parte, si sa, i luoghi comuni si applicano solo quando fa comodo e nel mio caso, nessuno ha ritenuto ne valesse la pena, forse io per prima.

E poi il grande errore l'ho fatto io, permettendo a queste persone di salire nella mia classifica personale, facendo guadagnare loro un posto che non meritavano. Perché -col senno di poi- i segnali premonitori c'erano, ma non li avevo voluti vedere, nella speranza che il mio perdonare, giustificare, smussare potesse essere ricambiato.

Perché, in fin dei conti, io faccio tanto la snob, la criticona -una parola cattiva ce l'ho sempre per tutti- ma sotto sotto sono comunque una persona sensibile ed insicura, una grande sognatrice, che sogna il lieto fine.
Più invecchio e meno lo sono, ma continuo a sperare che le mie fatiche saranno ricompensare, prima o poi. È più forte di me.

Solo che il fatidico "poi" non è ancora arrivato e mi pongo delle domande - giusto, perché tra le mie maledizioni devo avere anche la capacità di farmi delle seghe mentali che un'adolescente se le sogna.

Se tutto quello che ho fatto finora fosse stato inutile?

Il grande impegno nello studio -a parte una cultura poco superiore alla media- non sta fruttando, in nessun senso, né economico (che mi interessa relativamente), né formativo-culturale, né della mia persona. Anzi, più lavoro, più divento insicura di me.

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