Reality or not

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Il muretto grigio dietro la vecchia scuola è sempre rimasto lo stesso. Amber ci si siede sopra, appoggia le mani per salirci su. L'autobus arriverà a momenti, deve solo aspettare. Ha un paio di piccole cuffie bianche alle orecchie. Mastica nervosamente la masticante, stringendosi della felpa nera e larga. I jeans strappati alle ginocchia sono scuri e stretti, le scarpe nere e bianche. I piedi li lascia penzolare nell'aria. Ricorda ancora quando lei e i suoi compagni aspettavano tutti insieme l'autobus per tornare a casa, ora lei lo prende solo in rare occasioni. Fa scorrere con le dita lo schermo del suo Smartphone. Ha comprato quelle poche cose che mancavano in casa, guarda la busta nervosa, non le piace aspettare, soprattutto quando si tratta di mezzi pubblici, non si sente a suo agio in mezzo alla gente, fin da piccola ha sempre sentito questa strana sensazione di non essere adeguata, come se non riuscisse a stare bene. Le strade di Brooklyn sono tante e a piedi è impossibile raggiungere il suo appartamento. Alza gli occhi notando il mezzo arrivare, molta gente è già in piedi, pronta per salire. Il mezzo piena costringe Amber a stare in piedi, tenendosi dagli apposite aste di ferro. Guarda con aria vuota le vetrate che permettono di osservare il lungo paesaggio, gli edifici, i negozi. La città ha tutto quello che si possa desiderare. Durante il tragitto il sole tramonta, quando esce finalmente da quel mezzo, per lei infernale, si ritrova con un manto di stelle sulla testa, anche se la maggior parte sono aerei. Ma lei finge che siano stelle, come quelle che ha appeso in aria nella sua camera da bambina. Sale le scale del piccolo edificio dove sta, il suo quartiere non è dei più ricchi, ne uno dei più sicuri, ma non ha mai avuto paura di aggirarsi nelle strade di notte. Forse per via del lavoro di suo padre. La palestra è proprio a pochi isolati dalla sua casa. Entra facendosi spazio tra la gente sudata e esaltata, tifano. Amber si fa spazio fino ad arrivare vicino al ring, alza lo sguardo salutando con la mano Jack, che sul ring conta i secondi che il giocatore che sta perdendo resta a terra. Quando finalmente arriva all'ultimo numero Amber nemmeno lo sente, riesce a sentire solo le urla dei tifosi diventare quasi un mostro enorme. Lei sorride impacciata in mezzo a tutti quegli uomini enormi e muscolosi, ma quella è la sua famiglia. Infatti il vincitore scende dal ring andando proprio verso di lei.

- Scricciolo che ci fai qui?

Amber sorride, lasciando che suo padre l'abbracci, si allontana.

- Papà sei sudato...- con una faccia buffa si allontana dal padre e ride divertita. L'uomo la guarda fintamente indignato con i suoi occhi chiari, in contrasto con quelli color cioccolato di lei.

- Mi lavo veloce è torniamo a casa

- Vado a salutare Jilly

Il padre si allontana lasciando sola la ragazza, che si guarda intorno, cercando con lo sguardo la figura snella e atletica di Jilly. Una ragazza bionda da lunghi capelli e piena di tatuaggi. Ha solo tre anni in più di lei, ma è decisamente molto più donna di lei, che ancora tiene quell'aria innocente di una ragazzina delle superiori. Una volta trovata cammina svelta verso di lei. Conosce quella palestra a memoria, ci è cresciuta li.

- Jilly!!

La bionda che all'apparenza sembra scontrosa e acida, una di quelle di cui è meglio evitare lo sguardo per strada, sorride a trentadue denti non appena vede la mora avvicinarsi a lei.

- Hai visto? Tuo padre ne ha battuto un'altro

Jilly è elettrizzata, ama il ring, tanto è vero che lei è la campionessa femminile.

- Già...è parecchio difficile batterlo...- afferma la mora, nella sua voce un tono fiero e orgoglioso.

L'appartamento non è di certo un loft costoso. Ma per Amber non ha mai importato, nella sua vita sono sempre stati lei e suo padre, nessun altro e ha sempre dato a lui la precedenza, perché deve tutto a lui, tutti i lavori che ha dovuto fare per darle quella vita che per lei è perfetta. Ma qualcosa nel soggiorno non va. Inizialmente nel buio non si vede molto, ma quando suo padre accende la luce dall'interruttore vicino la porta principale tutto è più chiaro. L'intero appartamento è messo a soqquadro. Amber si volta di scatto verso suo padre che ha assunto uno sguardo preoccupato, ma soprattutto, cosa che lei coglie subito, non è sorpreso. Lo guarda mentre velocemente corre verso la sua camera da letto, Amber senza pensarci due volte lo segue, nella specchiera dell'armadio c'è un simbolo, scritto con il rosso, un serpente che si morde la coda. Amber sobbalza quando suo padre tira un grosso pugno al vetro rompendolo in mille pezzi.

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