Quel giorno, aspettavo di parlare con la mia collega a proposito di un bambino che abbiamo dovuto mandare in una casa famiglia. Anche se non è mai bello dover prendere questo tipo di decisione a volte è indispensabile. Come ero quel giorno? Portavo il trucco, lo chignon e indossavo uno dei miei soliti vestiti eleganti, ma avevo delle occhiaie paurose. Questa, però, era la mia routine. Sempre la stessa sensazione, sempre la stessa musica. Chopin, Beethoven, Mozart era irrilevante, il problema era che la sentivo sempre e vedevo sempre quelle mani. Mani che suonavano senza interruzione quella straziante melodia e quando finalmente mi avvicinavo per risalire al viso del suonatore mi svegliavo. Tutte le notti, tutte le sante notti. Ero seduta sulla mia scrivania quando Elena, la mia collega e socia, bussò e dopo il cenno di accomodarsi si sedette. << La famiglia è disperata e ho paura che abbiamo commesso un errore>>, affermò di punto in bianco con un ansia troppo contagiosa. E in quel momento non ne avevo bisogno. Elena ha un bel viso occhi grandi e marroni capelli corti, bassina e magra, molto magra, troppo. Da quando la conoscevo la vedevo sempre più magra. " Ma senti da che pulpito parte la predica" , si intromise la mia dolce coscienza. Una domanda: ma si possono fermare i pensieri? No vero? << Che intendi dire Elena?>> le chiesi non più di tanto stupita. Era troppo buona e molte volte abbiamo rischiato per questo, però volevo sentire le motivazioni di quell'affermazione. << Intendo che forse dovremmo dare a quei genitori una chance, forse non è come pensiamo>>, disse girandosi le mani. Tic insopportabile potrei aggiungere.
<< Uno noi non pensiamo ma agiamo e due cosa ti ha fatto cambiare idea?>>, le chiesi fingendomi interessata e mentre Elena era in procinto di rispondere, il mio telefono squillò. Era Steven. Ma cosa voleva a quest'ora? Sapeva quanto mi irritava essere disturbata in ufficio. "Buon pomeriggio amore" sussurrò in modo dolce. Già amore. "Buon pomeriggio a te Steven, c'è un motivo per la tua chiamata? Sto con Elena e discutiamo di un bambino di sette mesi che abbiamo portato in una casa famiglia", enunciai per fargli capire che era un momento delicato e sbagliato. Da un po' tutte le sue intromissioni erano sbagliate. "Dev'esserci un motivo per chiamare la mia futura moglie?" Futura moglie? Tra me e lui si è parlato di matrimonio solo i primi mesi dopo la proposta. Sorrido in modo che mi potesse sentire. In effetti no non deve. Ma era passato così tanto tempo...
“Allora hai chiamato per sentire la mia voce tesoro?” Tesoro? L’ho chiamato tesoro? Ero incredula io stessa per la parola che mi uscì di bocca. Erano praticamente due anni che non riuscivo più a chiamarlo in nessun altro modo se non Steven o al massimo Steve. Ma questa è un'altra storia. “Mi ha chiamato tuo padre” disse in tono preoccupato. Ero scioccata. “Mio padre? Ti ha chiamato? Ha chiamato te?”, sbottai incredula. “Ha chiamato perché erano settimane che non gli rispondevi” continuò in tono di rimprovero. “E si stupisce di ciò?” ribattei. “Comunque Steve ho da fare ci vediamo stasera a casa.” Dissi chiudendo in assoluto quella conversazione. Non rispose e riattaccò. Elisa mi guardava con la faccia interrogativa, ma non mi andava di certo di spiegarle di mio padre, ma non perché era lei, ma perché di lui non volevo parlare proprio con nessuno. Da quando mamma era morta aveva iniziato a rifarsi vivo pensando che io, mi correggo che noi, potessimo aver bisogno di lui. Ma ne io ne tantomeno i miei fratelli abbiamo mai avuto bisogno di lui. La mia mamma, la mia bella, dolce e stupenda mamma era di lei che avevo bisogno ma non c’era più. Era morta proprio nel periodo in cui una figlia può avere più bisogno della sua mamma. Mi sono sempre chiesta se avrei avuto la forza di non fare quello che ho fatto, di oppormi a quella scelta se lei fosse stata ancora in vita. Ma ormai da quel che è fatto non si torna indietro. I se, i ma o i forse erano e sono tutt’ora solo degli stupidi appigli per sentirmi meno colpevole. Ed io lo ero, ero colpevole di non essere stata più forte e di aver accettato una decisione presa da altri perché troppo impotente per fare opposizione. Elisa mi fissava con quei suoi occhioni marroni, come se provasse pena, ma io non avevo di certo bisogno della pena degli altri. Eppure quando tutto successe lei mi è stata vicina. <<Ti manca vero?>> disse accarezzandomi il braccio. << Di chi parli Elisa?>>, chiesi facendo la finta confusa, anche se sapevo bene di chi parlava e delle lacrime iniziarono a rigarmi il viso. Non le diedi modo di continuare e aggiunsi :<< Hai presente la sensazione che provi quando ti manca l’ARIA?>> D’un tratto lei mi prese una mano e con l’altra mi asciugò una lacrima, ma non disse nulla. Mi sembrava quasi di averla vista piangere ma non alzai di nuovo lo sguardo, non volevo stesse male per me. << Vado a prenderti un bel caffè così possiamo continuare a parlare del piccolo Michael.>> Così dicendo mi lasciò le mani e uscì. La mia mente vagava, vagava e continuava a vagare ma pensava sempre a lei. “Melanie tieni per mano tua sorella non lasciarla mai andare” la sua voce mi rimbombava nel cervello, ancora così nitida, così soave. Oh mamma! “Mel ce la faremo” diceva “Noi quattro insieme ne usciremo” Era malata la mia povera mamma e aveva provato a lottare. Ha lottato per tre anni ma quella maledetta malattia la avuta vinta su di lei. Era così forte, così allegra e niente la scoraggiava e quando dico niente è niente. Quando stavamo al suo capezzale all’ospedale ci guardava a tutti e tre come se facesse finta di non capire. Ma capiva, lo sapeva e lo ha sempre saputo. Ci osservava a me e mia sorella e diceva: “Cosa sono queste facce? Perché non vi truccate un po’? Non sono mica morta io?”. E, da quel giorno fino all’ultimo, io e mia sorella, anche se con la mano che pesava un macigno, ci truccavamo. Per lei. Per vederla sorridere, forse, per quella che ogni giorno poteva essere l’ultima volta. Era una donna eccezionale. Ci ha tirati su praticamente da sola. Anzi potete levare il praticamente. Nostro padre non c’è mai stato e non ha mai aiutato. Mai. E ora chiamava. Che faccia tosta. Non lo sopportavo e se gli parlavo era per pietà o forse per non avere ulteriori rimorsi nella mia vita. <<Mel allora che facciamo con Michael?>> la voce squillante di Elisa mi riporto alla realtà con una bella tazza di caffè fumante. <<Elisa senti>>, iniziai a dire, << dalle segnalazioni che ci sono arrivate quel bambino non si nutriva da giorni>>, non dava cenno di disapprovazione e quindi continuai, << e c’eri anche tu con me quando il medico ha detto che dal risultato delle analisi poteva essere così, in quanto i suoi valori erano sballati>>, le dissi in tono quasi di rimprovero. <<Ma…>> provò a interrompermi ma la bloccai. << Ma… abbiamo il dovere ma anche il diritto di verificare se realmente queste persone siano in grado di accudire loro figlio, e soprattutto di verificare se gli hanno fatto del male. E questo è davvero tutto >>, conclusi. Questo bastò a zittirla e si diresse verso la porta. <<Ti voglio bene Mel lo sai?>> dichiarò senza neanche darmi modo e tempo di rispondere e se andò nel suo ufficio.
Le volevo bene anch’io, ma per lei tutto il mondo era rose e fiori. Doveva svegliarsi proprio come mi sono svegliata io due maledetti anni fa.

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SEE YOU IN THE DARK
ChickLitMelanie ha 24 anni, un fidanzato e un lavoro... vive però una vita che ormai non le appartiene più e dalla quale vorrebbe liberarsi perché da quando ha perso la mamma è cambiata .... Melanie sogna.... sogna mani che suonano ininterrottamente....so...