SENTIRSI LIBERI NON VUOL DIRE ESSERLO. (parte 1)

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<<Sei finito.>>
<<Alzati e combatti, ho scommesso tutto su di te.>>
<<Non ce la farà mai.>>
<<Se perdi il combattimento ti do il resto.>>
Voci della folla che gli rimbalzavano per la testa come dadi da gioco precipitati a terra, mentre con la lingua percepiva il sapore metallico del sangue che gli inondava la bocca.
Aprendo gli occhi, vide il suo avversario ridere compiaciuto, esultava e ringraziava quei pochi sostenitori che avevano scommesso su di lui.
Lui era Pablo, era il migliore. Il pubblico lo adorava anche se in quel momento non gli stavano dedicando parole di ovazione ma ben sì, di ira e rabbia nei suoi confronti. Le cose non stavano andando di certo come si sarebbe aspettato che andassero.
Quello svitato gli aveva messo una mano in bocca, strappandogli via due denti, come se fossero incollati a caldo, lui riusciva a sentirne la mancanza con la punta della lingua. Non era stato certo quell'evento a metterlo al tappeto, lui lo sapeva bene. Stava perdendo i sensi ma si sforzava a tenere gli occhi aperti anche se le sue palpebre pesavano come sassi.
Giaceva a terra dentro l'inferno della gabbia. Guardando bene il suo avversario, vide che teneva stretto fra le mani una pala. L’agitava su e giù, sopra la sua testa, come se stesse celebrando un trofeo di battaglia.
Si sentiva leggero, come una farfalla fluttuante nel cielo che, senza sbattere le ali, volava sempre più su. Sentiva la pace mentre saliva, saliva e saliva. Stava morendo? Stava raggiungendo sua madre? Erano queste le domande che si stava facendo. Non era il momento, se lo sentiva ma senza troppa convinzione, come chi vorrebbe lasciarsi andare ma allo stesso tempo ha ancora tanta voglia di vivere. C'erano due poli che lottavano attraendolo verso di loro, uno da una parte e uno dall'altra. Uno rispecchiava la vita, che era rappresentata da Sofia, la sua fidanzata. L'altro invece era la morte, ed era rappresentato da sua madre. Per un attimo si lasciò andare, lei gli mancava, avrebbe voluto rincontrarla di nuovo dopo tanto tempo che se n'era andata. Ma valeva la pena andarsene così presto? Forse no. Decise di ribellarsi, sua madre avrebbe aspettato ancora per il loro incontro, lo aveva fatto per tutto quel tempo, lei non sarebbe così egoista da volerlo accanto a sé proprio in quel momento.
Pablo aveva solo 32 anni, era presto per lui, troppo presto. Eppure si sentiva volare, come se sotto di lui non ci fosse nulla, il vuoto. Era tutto luminoso, di un bianco tendente all'azzurro intenso, ne era accecato ma tanto lo faceva star bene da non sentire più bisogno di altro. Il bianco diventava azzurro, l'azzurro diventava bianco e dopo un po'... giallo, come raggi di sole. Non sentiva più dolore, niente più fatica, quasi non ricordava le rispettive sensazioni.
Qualcosa stava cambiando però...
La luce lentamente stava diventando rossa, con sfumature scarlatte come il colore del sangue, presto ricordò il gusto di quest'ultimo, poi iniziò a sentirne l'odore, infine sintomo finale dal quale fu colpito era il dolore, sentiva dolore a tutta la bocca, aveva dolori ovunque. Non se ne stava andando.
Vide una finestra dinanzi al suo viso, dalla quale penetrava in modo invasivo la luce del giorno. Capì che era stato quello ad avergli trasformato quella luce bianca e azzurra in un rosso sangue, luci bianche e azzurre che gli davano senso di serenità assoluta, attimi di pace e tranquillità come se fosse cullato dalle onde trasportato verso chissà dove, ma questo non gli importava. La luce rossa non erano altro che i raggi del sole, che gli accarezzavano le palpebre dolcemente, mutando il suo inconscio alla dolorosa realtà.
"Sono ancora vivo" pensò.
Ancora stordito cominciò a guardarsi intorno, spostando soltanto lo sguardo ma restando immobile; notava di essere dentro ad una stanza con muri di un bianco sporco, come se qualcuno ci avesse rovesciato del caffè. Difronte a lui, in alto, c'era un televisore piuttosto antiquato che poggiava su un supporto, anch'esso sembrava macchiato. Era macchiato di un qualcosa che dava la sensazione di appiccicoso, a tal punto che se ci si fosse posata una mosca sopra sarebbe rimasta lì per sempre.
Abbassando lo sguardo notò che indossava una maglia color verde, in realtà del verde della maglietta restava ben poco, perché sulla base del petto aveva un'enorme chiazza rossa.
"Sangue" rimuginava agitandosi per poi tentare di alzarsi. Ci pensò il dolore a rimetterlo K.O., a faccia in su con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Pensò che gli sarebbe crollato tutto addosso, da un momento all'altro. Una gigantesca crepa percorreva la diagonale del soffitto collegando i due angoli fra loro. Era ferito e confuso, sdraiato su un letto con macchie di ogni tipo. Deglutì, quella poca saliva che aveva nella bocca, rievocando con la punta della lingua la mancanza dei due denti. I suoi ricordi erano morti in quell'istante, era nella gabbia. Quella doveva essere la stanza di un ospedale. Ma poteva un ospedale essere in quelle condizioni pietose? In più c'era silenzio, troppo silenzio, tant'è che i suoi pensieri erano l'unica cosa che riusciva a percepire.
Non aveva mai perso un incontro prima di quel giorno, per cinque lunghi anni fu il campione indiscusso, il King della gabbia e l'incubo di ogni avversario. Certo, si sapeva che prima o poi anche lui avrebbe trovato pane per i suoi denti, era soltanto questione di tempo.
Pablo iniziò a combattere a 27 anni, aveva bisogno di soldi per il funerale della madre, morta qualche giorno prima, perse la battaglia contro il cancro che la tormentava ormai da tempo.
Era molto attaccato a sua madre, da sempre. Con suo padre al contrario, non aveva un rapporto, lui è sempre stato lontano dalla famiglia, non era un uomo presente. Paul era un cacciatore di tesori e la sua vita era un'avventura continua, aveva conosciuto Stefania, madre di Pablo, in Italia, durante una spedizione per la ricerca di un grande tesoro perduto in Sicilia.
In ogni caso era quello a renderlo così forte, l'amore per la madre, lo spingeva a vincere ogni combattimento. Ma d'altronde, la vita è fatta di vittorie e sconfitte e per lui era giunto il momento di perdere, ti toglie una cosa per dartene un'altra. Da una scelta può nascere una rinuncia, lui scegliendo per le lotte clandestine avrebbe potuto rinunciare alla sua libertà, anche se nessuno è libero finché crede di esserlo. E poi a dirla tutta la libertà è un’idea, la realtà è che siamo tutti schiavi del nostro destino e Pablo era e sarà schiavo del suo, un destino che gli poneva domande e continuerà a porgliele, su come sarà, perché e quando.
"La vita è tua e tocca a te scegliere se apprezzarla o lasciarla cadere a terra, come quelle foglie secche" gli diceva sua madre, un giorno mentre guardavano fuori dalla finestra del soggiorno di casa, durante una giornata d'autunno.
Già, la vita ti toglie una cosa per dartene un'altra, lo stesso facevano gli alberi, liberandosi delle loro foglie morte per dar vita ad altre più forti e verdi. Ma quella era una loro scelta o meglio dire, il processo della natura. Lui non aveva scelto di perdere sua madre ma questo come per gli alberi, aveva aperto a lui un altro scenario importante, ora legato alla sua vita. Pablo iniziò a combattere per poterla riportare in Italia, era giusto che la sua salma fosse sepolta ai piedi del suo paese d'origine in Sicilia, lì conobbe Sofia, oggi sua compagna di vita.
I dolori erano quasi scomparsi, si sentiva senz'ombra di dubbio meglio, però aveva fame ma soprattutto sete. Non pensandoci troppo, decise che era il momento di andarsene da quel posto, era ora di andare via e alla svelta.
Senza troppe esitazioni, si alzò piano piano dal letto e si guardò più attentamente intorno. In un angolo della stanza, c'erano quelli che sembravano essere i suoi vestiti.
"Chi mi ha cambiato i vestiti?" Pensò Pablo, alla vista degli abiti che portava dentro la gabbia, prima di finire in quel posto raccapricciante. Ma non aveva altro tempo da perdere là dentro, e senza farsi troppe domande, prese i vestiti e si cambiò. Cambiandosi notò di avere il petto avvolto da bende, passavano da sotto le braccia e facevano il giro da dietro. Le bende avevano una macchia di sangue lunga più di 30 centimetri, era sicuro che la ferita sotto, fosse ancora fresca e non voleva rischiare di perdere ancora altro sangue. Avrebbe pensato una volta arrivato a casa a cambiare il bendaggio e a disinfettare la ferita. Infilò la canottiera, per poi mettere i jeans e gli stivali. Aveva una canotta nera che mettevano in mostra i suoi muscoli, dei jeans di un blu intenso e degli stivali lunghi fino alle ginocchia. Lui spesso combatteva vestito in quel modo, mentre i suoi lunghi capelli, li teneva raccolti dentro una bandana, che era sempre rimasta sulla sua testa.
Pensò a Sofia che molto probabilmente era preoccupata per lui, non aveva sue notizie da chissà quanto tempo.
Si voltò con passo deciso verso la porta, appoggiò la mano sulla maniglia e spinse per aprirla. Fuori da quella stanza c'era un corridoio lunghissimo, sembrava infinito. Una porta dietro l'altra, tutte uguali fra loro. Il corridoio però era curato e molto pulito, a differenza della stanza dove aveva alloggiato finora. Avrebbe provato ogni singola porta pur di trovare l'uscita di quel posto. Il primo tentativo andò male, la porta era chiusa a chiave. Senza esitare tentò con un'altra, anch'essa chiusa. Ne provò un po' ma erano tutte serrate. Guardando in fondo al corridoio, vide che c'era una porta leggermente diversa dalle altre.
"Dev'essere quella la porta che mi porterà fuori da questo posto" pensò.
Scattò e si fece il corridoio di corsa, con le poche energie che gli restavano. Non gli interessava se fosse chiusa o aperta, l'avrebbe tirata giù con la forza. Giunto in fondo, si scagliò contro la porta sfondandola. Finì fuori su un tappeto d'erba. intorno a lui, alberi e piante di ogni tipo. Animali che correvano su e giù sulla distesa erbosa, ma rimase sbalordito guardandosi davanti a lui. Alla distanza di circa 100, 150 metri, c'era casa sua.
Vale a dire, che quel posto dov'era rinchiuso, si trovava dietro alla sua abitazione ma lui aveva sempre ignorato la sua esistenza. "Beh almeno non mi toccherà cercare casa mia" pensò lui sorridendo, si alzò da terra incamminandosi verso di essa.
Gli sembrava tutto una chimera, come quando un bambino chiede ai propri genitori una cosa che sarebbe meglio non sapesse e loro con tatto, gli raccontano una bugia. Ecco, lui si sentiva così, ingannato, ma da chi? Come c’è finito lì? E per quale motivo lui non notò mai l'esistenza di quel posto? Si trovava dietro casa sua, sarebbe bastato dare un'occhiata fuori dalla finestra ogni tanto.
Il tempo, i ricordi e le sue emozioni lo ingannavano. Pablo ebbe un'infanzia difficile, l'assenza del padre lo segnò, mai però si sentì così tradito. Sospettava sul fatto che lui avesse realmente trascorso del tempo in quell'edificio. Man mano che si avvicinava alla sua casa e più percorreva terreno, aumentava in lui la sensazione che fosse stata tutta un'enorme bugia, non credeva a quello che aveva visto, né ai sentimenti che avesse provato in quel breve periodo.
Giunto alla porta di casa bussò sei volte con intervallo ogni due, era il loro codice d'accesso, aspettò una decina di secondi per poi bussare nuovamente. Finalmente sentì dei passi avvicinarsi verso essa, la porta si aprì e Sofia lo abbracciò con forza facendo pressione inconsciamente sulla ferita e scoppiando a piangere. <<Dov'eri finito? È da due giorni che sono in ansia per te>> lui gridò dal dolore.
Erano due giorni che non tornava a casa, aveva partecipato a un torneo di lotte nella gabbia.
<<Sono stato nella gabbia e il mio avversario non ha avuto pietà di me>> rispose lui.
<<Sei ferito? Ti senti bene? << gli domandò lei preoccupata.
<<No, sono stato in un posto orribile, senza mangiare né bere, mi sento debole, ho bisogno di cibo e acqua.>> Lei mise il braccio di Pablo intorno al suo collo per aiutarlo a camminare, lo portò sul divano e gli disse: <<Rimani qui, riposati, io ti preparo qualcosa da mangiare e intanto ti porto dell'acqua>> Pablo la guardò sorridendo e rispose: <<Grazie amore, non succederà più te lo prometto>> abbassò lo sguardo afflitto dal senso di colpa e proseguì dicendo: <<Scusami è tutta colpa mia, dovrei cercarmi un lavoro invece di continuare a rischiare la pelle>> sulla fronte di Sofia comparvero delle rughe, assumendo così, un'espressione sconcertata e a tratti anche rabbiosa.
<<Si dovresti >> gli rispose lei voltandosi non appena finì la frase e andando verso la cucina. Non è mai stata d'accordo che lui combattesse dentro la gabbia, hanno sempre litigato per questo motivo, ma per lui era diventato uno stile di vita, lo faceva per sfogarsi oltre che per i soldi.
Non passò molto tempo, che Sofia, fece ritorno con dell'acqua.
<<Tieni, bevi piano>> si raccomandò lei ma non ebbe il tempo di finire, che Pablo senza nemmeno ascoltarla, prese il bicchiere e lo tirò giù bagnandosi il mento e la maglia, per via della foga. Lei lo guardò scuotendo la testa in segno di disapprovo, per poi continuare: <<Che questo ti serva da lezione, ci pensi a me? Come dovrei sentirmi io? Io ci sto male, tu non hai la minima paura di perdere la tua libertà? Rischieresti di perdere anche me in questo modo!>>
Lui con lo sguardo ancora abbassato le rispose: <<Vedrai che mi cercherò un lavoro e avremo una vita normale>> piano piano alzò lo sguardo incrociando gli occhi di Sofia e proseguì: <<Cosa stai preparando da mangiare? Mangi con me?>>
Sofia rasserenando la sua espressione rispose: <<Preparo una bistecca di maiale e della verdura, che ne hai bisogno>> guardandolo gli scappò un sorriso confessandogli: <<Mi sei mancato>> per poi dargli un bacio sulla fronte, con l'affetto che darebbe una madre al proprio piccolo.
<<Anche tu mi sei mancata e mi sento fortunato di essere ancora qui con te.>>

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