"Putroccola"
Era questo il messaggio che leggevo dal display, "bel modo di cominciare una conversazione" pensai tra me e me, e per una volta lo pensavo senza essere sarcastica, mi piaceva, aveva quel tono scherzoso che avremmo usato solo tra di noi. Risposi a tono cominciando una raffica di insulti
"Stupida"
"Cretina"
"Babba"
"Troia"
"Zoccola"
E più continuava più ridevo.
Forse qualcun'altro a leggere la nostra conversazione avrebbe pensato ad un litigio, ma non era così, era un modo diversamente innocuo di giocare.Etnapolis... Chissà da quanto tempo non mettevamo piede dentro a quel centro commerciale. Niente di speciale ovviamente, una semplice serata tra amici, avremmo passeggiato, avremmo mangiato qualcosa, avremmo riflettuto a lungo sul se spendere o no quei due euro al posto di risparmiarli, ma alla fine avremmo ceduto. Le ore trascorrevano leggere, lo facevano proprio perché di tempo ne avevamo poco ed alle 21:30 saremmo già dovute essere nella macchina della zia di Pia. E le 21:30 arrivarono inevitabilmente presto, salutammo i ragazzi e ci incamminammo verso la macchina. Intanto studiavamo tra di noi un modo per poter ancora stare fuori senza dover tornare a casa così presto anche il sabato sera. Ma alla fine solo io e Sara decidemmo di restare fuori. Ci lasciarono in Piazza d'uomo ed il nostro primo pensiero fu il bagno. Già, il bagno.
Il secondo la birra, ovviamente.
Comprammo una bottiglia a testa e ci incamminammo per Sant'Antonio tra mille discussioni. Io le chiedevo consigli, lei guardava dritto, ascoltava, rispondeva. Ammiravo i suoi meravigliosi capelli ricci e scuri, mi piacevano così tanto su di lei, aveva quell'aria tenera di chi crede di potersela cavare da sola ma che inevitabilmente ha bisogno di essere protetta, anche solo per il conforto di sapere che almeno qualcuno ci prova. Lo sapevo che lei, la mia piccola Sara avrebbe potuto fare a pugni contro il mondo avendola sempre vinta, sapevo che era forte abbastanza per potercela fare.
Le bottiglie si erano svuotate, ci eravamo sedute sopra la solita panchina e parlavamo di libri, come facevamo sempre.
Un piccolo albero addobbato per le feste Natalizie stava davanti a noi, o forse sono solo io che ora confondo i diversi periodi.
Decidemmo di giocare. Ricordo con un sorriso che io quel gioco lo chiamavo "Campana" lei con un altro termine dialettale che ora non ricordo. Le macchine passavano, sembrava che ci spiassero a giocare in quel modo tanto infantile, eppure era divertente, riusciva a riscaldare in quella notte tanto fredda.
Ma la serata giungeva al suo termine, forse era meglio tornare a casa, così raggiungemmo mia madre per un passaggio ed anche quella serata si concluse pure nella sua immensa bellezza...