Jump.

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La bottiglia di vetro cadde sul marciapiede, rotolando fino ad incontrare il pallido fascio di luce di un lampione. Il ragazzo borbottò qualcosa sottovoce e non si chinò a raccogliere la bottiglia; continuò a camminare sul cemento passo dopo passo, come se ognuno di questi fosse una frustata.

Le nuvolette che erano formate dal suo fiato avevano il familiare aroma dell'alcol.

Il ragazzo si fermò accanto alla siepe, l'anima che gli bruciava come l'alcol bollente nelle vene, riscaldandolo dal freddo invernale. Rovesciò la testa all'indietro e si portò l'altra bottiglia alla bocca, bevendone un gran sorso e lasciando che il liquido chiaro lo inebetisse e lo allontanasse dal mondo.

Il cappuccio gli si rovesciò all'indietro, rivelando i capelli scuri impregnati di sudore.

Il giovane mormorò un nome, un nome di ragazza, lo stesso che aveva invocato ormai tante volte. Le lacrime gli si erano ormai seccate sulle guance, lasciando delle tracce secche, fredde come il vento che gli soffiava in faccia.

Barcollando, con la vista offuscata dai troppi alcolici bevuti quella sera, il ragazzo attraversò il viale, quasi rischiando di essere investito da una macchina a tutta velocità, che suonandogli il clacson lo sorpassò a tutta velocità. Il ragazzo se ne infischiò, e costeggiando una siepe quasi priva di foglie, giunse al ponte, dove era diretto già da prima.
Lo scroscio dell'acqua gelida del fiume sembrò in parte ravvivare i pensieri del giovane, che rabbrividendo si portò le mani nella tasca della felpa.

Quel posto era tristemente famoso per le persone che ci si erano buttate, mettendo un punto al segmento della loro vita sulla retta del tempo.
Tra poco lui sarebbe stato solo uno di quei tanti anonimi, solo uno dei tanti destinatari dei vari mazzi di fiori poggiati là accanto, la maggior parte dei quasi appassiti e marciti.

Il ragazzo si sentiva così, come quei fiori.

Per un'ultima volta si concesse di piangere.

La ragazza con cui era stato tanto, che lo aveva ormai mollato. La ragazza a cui aveva donato tutto, tutto ciò che poteva: domeniche di sole mano nella mano al parco, canzoni dedicate e notti di passione. La ragazza che aveva deciso di farla finita con lui il giorno del terzo anniversario. La ragazza a cui aveva donato senza indugi il cuore: lei lo aveva preso in mano e soppesato come un diamante, per poi strapparlo sotto gli occhi inermi e sofferenti del giovane, che in quel momento si poggiò al muretto di cemento.

«Lindsay...» mormorò lui con la voce rotta, le labbra secche che si muovevano appena, i ricordi che lo travolgevano come il fiume sotto di lui.

Non poteva più farcela, era ora di farla finita.

In un colpo solo il ragazzo finì il contenuto della bottiglia, lasciandola cadere poi oltre la balaustra del ponte.

Tra poco la avrebbe raggiunta.

Non senza difficoltà, a causa della vista offuscata e del giramento di testa come effetto secondario della sbornia, il giovane salì sul muretto mettendocisi in piedi, le All Stars nere ben piantate sul cemento, gambe e braccia divaricate, come se volesse godersi quel vento, per provare di esser vivo, prima di esser morto.

Era quella la soluzione a cui era giunto, dopo notti insonni e la distruzione nel corpo. Ai suoi genitori sarebbe importato poco e niente, ad ognuno sarebbe importato poco e niente.

I suoi compagni di classe, i suoi pochi amici, i bulli che lo prendevano in giro, parenti e la gente che incontrava a caso per strada, che si soffermava a guardarlo.

A Lindsay.
A nessuno sarebbe importato qualcosa.

Vacillò solo un attimo pensando al fratello Mikey, al suo sorriso sghembo e le battute sul loro cognome, al suo tic di riportarsi gli occhiali dritti sul naso col mignolo della mano sinistra, gesto acquisito durante una delle inutili lezioni di buone maniere a cui erano stati sottoposti. Invece di sollevare la tazzina di ceramica col mignolo alzato, lui sollevava gli occhiali.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 29, 2016 ⏰

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