M J.

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-"How do you know when it's over?"-
-"Maybe when you feel more in love with your memories than with the person standing in front of you."-










Erano le cinque del pomeriggio, stavo camminando da sola per un sentiero, accanto al quale scorreva un corso d'acqua limpida. Avevo le cuffie nelle orecchie, la musica ad un volume abbastanza alto, come se volessi spegnere il resto del mondo ed accendere me stessa.
Mi guardavo intorno, senza mettere a fuoco nulla, semplicemente riempirmi gli occhi dei colori della primavera e respirare il presente, scordandomi per qualche momento del passato, e non avendo un futuro.

Scesi verso quel fiumiciattolo e mi tolsi le scarpe per immergervi i piedi.
L'acqua era così fresca.
Una sensazione di piacere si impossessò di me e dei miei pensieri, ghiacciando ogni particella di pesantezza che portavo sul cuore.
Il silenzio che la solitudine, anche momentanea, portava con sé, era un frastuono soffocante. Perché per quanto sola potessi essere, non lo ero mai totalmente. Tutti quei rimpianti che tenevo dentro, vagavano sempre negli spazi più oscuri della mia mente. Un groviglio di fili che creava nodi, frasi lasciate a metà, domande senza risposta, e risposte senza domanda.
L'accettazione era il passo più difficile, perché la verità era che il passato non si poteva nascondere come polvere sotto il tappeto.
Davanti agli altri, però, era tutto più facile. Bastava mostrare solo ciò che si voleva far vedere.
Sorrisi rotti, risate dissolte, una felicità ingannevole, che rendeva sereni gli altri. La rassicurazione che tutto sarebbe stato superato.

Mi accesi una sigaretta, non lo facevo mai. Nella mia vita avevo fumato pochissime volte, nonostante fossi affascinata dalla gestualità di quella dipendenza, così innocua al primo sguardo.
Il fumo era cibo per le anime rotte, irreparabili.
E, quando si aveva la consapevolezza di non aver rimedio, il senso di impotenza aveva bisogno di essere alimentato, tramite gesti, aria grigia, respiri affannati e stanchi.
Portavo frammenti di rassegnazione alla bocca.
Un tiro, un passo.
Due tiri, un altro ancora.
E così andavo avanti, consapevole che fumare era male, ricordare peggio.

Camminai scalza per qualche metro, quando vidi qualcosa luccicare nell'acqua. Mi chinai per osservare meglio, lo afferrai e avvicinai la mano al viso. Era un ciondolo d'argento con al centro una pietra rossa. Sembrava rubino, un oggetto molto prezioso quindi.
Lo girai e vidi due iniziali: M J.

Lo misi in tasca, al posto del mio cellulare, che presi per controllare le notifiche.
Una chiamata persa da Olivier, una di mio padre, e un messaggio.
Il mittente era una mia compagna di classe, Charlotte.

Avevamo stretto amicizia negli ultimi mesi. Era una persona abbastanza simpatica, sempre allegra e felice. Era una di quelle ragazze che non aveva mai avuto un motivo per essere triste. Ed ogni volta si sentiva da meno, perché anche lei avrebbe voluto avere una ragione per cui piangere. A suo modo, non si sentiva capita. Ma come potevo, io, comprendere un sorriso, quando nulla ormai lo avrebbe potuto generare?
Il dolore era una bestia, cresciuta dentro coloro abbastanza fragili da spezzarsi con uno sguardo sbagliato. Sentirsi deboli non faceva altro che accanire quel senso di futilità, già impresso in ogni errore umano.
Sbagli incisi sui vestiti, sulla pelle e sul cuore.

Aprii il messaggio, che diceva: ~Ciao Anja! Come stai? Senti, stavo pensando, beh, insomma ti andrebbe di venire a casa mia stasera? Ho organizzato una festa intima con qualche amico. Ovviamente puoi chiedere anche ad Oliv, se ti va. Fammi sapere, ehm, ci conto. Xx, Charlie.~
Non rimasi sorpresa dalla sua scarsa capacità di esprimersi, ma non ci feci troppo caso ed accettai l'invito.
Decisi di non dire nulla ad Olivier, avevo bisogno di fare qualcosa per conto mio.

Mi incamminai verso casa, guardandomi le punte delle scarpe, inciampando in pensieri, rimpianti e crepe dell'anima, nel caso ne avessi avuta ancora una.




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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 14, 2016 ⏰

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