Forgiveness.

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Ma ti giuro, se in quel momento mi avessero chiesto di scappare e non tornare più, lo avrei fatto.




-Davanti alla bara di mia madre, restai immobile, in mezzo a quei singhiozzi sordi, che mi circondavano.
Poggiai una rosa rossa sopra. L'avevo presa dal nostro giardino, a cui tanto teneva.

Vedevo persone ovunque. Persone che mi opprimevano, persone che mi si avvicinavano per farmi le condoglianze, persone che non sapevano nulla di me, ma mi stavano vicine.
Iniziai a distinguere a fatica i volti, fino a quando non si oscurarono, imprigionandomi in tutto quel dolore, che mi logorava da dentro.
Volevo solo fuggire, ma non si può scappare da chi si porta dentro.-

***

Mi svegliai urlando. Non sapevo che ore fossero, né tanto meno cosa stesse accadendo.
Avevo la fronte sudata, e il viso bagnato dalle lacrime.
Olivier si avvicinò a me subito, e mi abbracciò.

In quel momento mi chiesi cosa spingesse quel ragazzo a volermi così bene.
Avevo notato che la gente si affezionava anche ai difetti, perché probabilmente non erano importanti come volevano farci credere.
E in tutto quell'enorme vuoto che mi si era creato accanto, lui era lì per me.

La perfezione non esisteva, ma chi ci assicurava che l'opposto non piacesse?
Ero un'essere imperfetto, piena di domande senza risposta, e risposte senza vere domande.
Chi avrebbe compensato quelle mie mancanze, ora che lei se n'era andata?
Mi sentivo come se un pezzo di me si fosse staccato, lasciando una ferita costantemente aperta.

Ricambiai il suo gesto affettuoso, e ci riaddormentammo abbracciati.
Era uno di quegli abbracci casti, senza secondi fini.
Eravamo solo io e lui.
I nostri cuori battevano all'unisono, come se fossero una sola cosa, che però non poteva esistere senza l'altra.
Un intreccio di dita, un'unione di respiri.
Tutto taceva, tutto procedeva senza preoccuparsi dei dettagli.

Mi strinse forte a sé, senza abbandonarmi mai.

Era la mia ancora.

***

Passò quasi un mese dalla morte di mia madre.
Quella data, rimbombava nella mia testa, come se andare avanti fosse sbagliato.
Lo era?

Da quel giorno tutto cambiò.
Mio padre si rifece vivo dopo anni, e venne a vivere nella nostra casa insieme a Gisele, la sua compagna.
Stavano insieme da circa tre anni.
Si volevano molto bene.
Ma era evidente che il mio rapporto con lei non fosse lo stesso.

Gisele non era una cattiva persona. Era molto educata, teneva all'ordine e al pulito, sapeva cucinare, cucire, stirare. Lavorava in banca come segretaria, ed era anche abbastanza carina.
Portava molto bene i suoi anni, e curava molto il suo aspetto.
Aveva dei capelli riccissimi, color cioccolato, e degli occhi verdi, tendenti al nocciola.
Era formosa, ma non troppo.
Sì insomma, all'apparenza poteva sembrare perfetta.

Avremmo anche potuto avere un buon rapporto, ma lei stava cercando di sostituire l'insostenibile: mia madre.
Il punto, anche se lei non lo capiva, o non voleva capire, era che non avevo bisogno di nessun'altra. Che il mio dolore, era il mio dolore. Che nessuna parola dolce, nessuna carezza di altri poteva guarire.
Nonostante i vari segnali che le mandavo, si ostinava a ricoprire quel ruolo che nessuno avrebbe ricoperto mai più.


Andai in sala per guardare un po' di televisione.
Erano le ultime settimane di scuola, mi rifiutavo di studiare.
Appena mi sedetti, sentii mio padre, Tom, entrare dal lavoro.
Essendo a capo di un'azienda di assicurazioni, poteva decidere a che ora tornare a casa.
Evidentemente aveva finito prima del solito.
-"Ciao piccola, come stai? Hai già finito di studiare?"- mi chiese, come se fosse realmente importante.
-"Sì, Tom. Sto bene. E non ti preoccupare per la scuola, ok? So gestirmi da sola."- risposi, acida.
Non avevo ancora mandato giù il modo in cui si era rifatto una vita, e come faceva il finto papà. Se non ci fosse stato tutto 'questo', chissà quando l'avrei rivisto.
Odiavo la falsità, ma non mi conosceva abbastanza per saperlo.
Prese posto accanto a me, e incominciò, dicendo: -"Che succede, Anja?"- Risi sarcasticamente, ma poi risposi: -"Che succede? Davvero? Mi stai chiedendo che succede?"- scossi la testa, per poi continuare: -"Ho perso mia madre a 16 anni. Tu compari solo perché sono minorenne e non autosufficiente. Porti con te quella tipa, che mi sono dovuta far andare bene perché è la tua ragazza. La scuola è uno schifo. E ho perso mia madre. Ora, dimmelo tu che succede."-
Sapevo di averlo zittito per bene, così dissi ancora: -"So che non è colpa tua, ok? Molto spesso le cose vanno così e basta. Ma cerca anche di capirmi. A 16 anni ne ho vissute di tutte i colori. Sto cercando di superarla, ma il dolore che certe persone si lasciano dietro, è indelebile. Ho una macchia sul cuore, un segno profondo, che fra qualche anno, lascerà una cicatrice. Ma quella rimarrà per sempre la mia cicatrice. Perché per quanti ricordi materiali io possa avere, la sua mancanza sarà l'unico vero."-
Abbassai lo sguardo, trattenendo le lacrime.
Faceva così male.

Dopo qualche minuto di sano silenzio, tutto venne spezzato dalla sua voce: -"Non è facile nemmeno per me, sai?"- lo guardai, interrogativa. Proseguì: -"Si, insomma. Tornare qui, starti vicina. Sei mia figlia, e ti amo più della mia stessa vita. Solo che mi sono sempre posto prima di tutti, ferendo chi amavo. Sono terribilmente egoista, me ne rendo conto. In questi anni ti ho pensata ogni giorno, ma il mio ego è sempre prevalso su tutto."- si interruppe un attimo, ma poi ricominciò, dicendo: -"Capirò se non mi perdonerai mai. Come capirò se non mi vedrai mai più come un padre. La verità è che sei capitata in una vita troppo sbagliata perché le cose andassero bene. Purtroppo l'essere umano è stato creato per l'autodistruzione, un meccanismo lento, che consuma ogni briciola dell'anima."-

Dopo quelle parole, capii quanto, in realtà, ci assomigliassimo.
La diversità era il nostro elemento in comune.
I nostri difetti prevalevano sul nostro essere.
E forse, la troppa sofferenza costituiva le nostra fondamenta.

Vite fatte di sbagli, di attimi fuggenti, di sogni chiusi nel cassetto senza più la chiave.

Avrei voluto abbracciarlo, ma non ero pronta.
La mia fiducia era sigillata dietro un muro, troppo alto e troppo resistente per essere sopraffatto da dolci parole.
Mi limitai a sorridergli, mentre una goccia di tristezza si disperse senza meta sulla mia guancia.

Passarono alcune ore, e si fece ora di cena.
Non avevo fame, ma miss voglio essere la tua nuova mamma, la salute è prima di tutto, me lo mi impedì.

Ogni sera era come quella precedente.
Il silenzio rimbalzava negli angoli della stanza, ed ogni possibile parola sarebbe stata un'arma a doppio taglio.
Finii di mangiare in fretta, non curandomi di nessuno dei due.

Ero stanca, molto stanca.
Quel tipo di stanchezza che sfinisce, che non è fisica.
Ero in totale trans mentale, come se i miei pensieri fossero ghiacciati , in uno spazio senza tempo, bloccati da ogni sorta di stimolo. 

Mi stavo appassendo, come un fiore in autunno.
Aspettavo solo che quest'inverno interiore arrivasse, per morire definitivamente.
Ma sapevo che dopo ogni inverno, ci sarebbe stata una rinascita.
Ed io sarei diventata un qualcosa di spettacolare, riniziando a vivere sulle orme di un duro passato, che nessuno avrebbe mai cancellato.






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Sono in ritardo come sempreeeeeeeee. Non uccidetemi, abbiate pietà di me.
Sono pure malata *sigh*.
Ciao a tutte e a tutti.
Questo capitolo è un po'.. Come dire, poco soddisfacente (?).
Mi stufo anche io, perché l'azione deve ancora arrivare, ma come sapete non posso far sì che tutto avvenga con troppa velocità.
Ho tante idee, e grazie anche ad alcune mie amiche (vi voglio bene, ragazze), le sto portando a termine.
E nulla, spero vi sia piaciuto.
Alla prossima, tanti bacini.
Matilde✨✨✨

L'unica salvezza. -SOSPESA-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora