Parte terza

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"I miei genitori sono morti cinque mesi fa. Mio padre ha ucciso mia madre. Quando sono arrivata a casa il suo corpo era lì, steso sul pavimento della cucina, in una pozza rossa, mio padre le teneva la testa, aveva le mani tutte sporche di sangue, piangeva e le sussurrava qualcosa. Accanto a lui c'era un coltello, almeno 15 centimetri, grondava del sangue di mia madre." June cominciò a piangere, piano, stringendosi alla mano di Samuel. Lui era imbarazzato, d'un tratto si era fatto tutto rosso, ma togliere la mano sarebbe sembrato insensibile. Lei si soffiò il naso poi riprese.

"Mia sorella piangeva disperatamente, non poteva capire poverina, si sporgeva dal box stringendo le sbarre. La presi in braccio. Puzzava. Nessuno l'aveva cambiata. Allora l'ho portata in bagno e l'ho lavata, come se niente fosse. Non riuscivo neanche a piangere, mi sembrava un incubo. Poi l'ho messa a dormire e ho chiamato la polizia, con tono distaccato, forse hanno pensato che l'avessi uccisa io. Poco dopo ho sentito un urlo, mio padre si era suicidato."

A quel punto fu Samuel a stringerle la mano.

"I servizi sociali ci hanno affidato a mia nonna. Questa cosa non si dimentica certo, ma si supera. Io avevo un ragazzo, Bryan. Era dolce, gentile e protettivo, mi faceva sentire al sicuro, mi faceva dimenticare tutto quello che avevo passato, riusciva a fare in modo che le domande che mi affliggevano da tempo non si affacciassero nella mia mente quando ero con lui. Poi, qualche mese dopo la tragedia, Connie è venuta da me. Eravamo migliori amiche, ci dicevamo ogni cosa. Era in lacrime. Mi ha detto di essere rimasta incinta.

Ero sconvolta, ma niente di più, fino a quando non mi ha detto chi l'aveva messa incinta. Bryan.

A quel punto non ci ho visto più, l'ho picchiata con tutte le mie forze, avrei fatto lo stesso con Bryan se fosse stato lì. Ma non c'era e non ci sarebbe stato. L'ho picchiata tanto forte che è caduta a terra e non si è rialzata per molto tempo. Credo che abbia perso il bambino per colpa mia." A questo punto la scosse un altro singhiozzo, tra le lacrime riprese a raccontare.

"Sapevo che non l'avrebbe tenuto, ma questo non mi fa sentire meglio. Ero arrabbiata. Non potevo più fidarmi di nessuno. Così sono andata a letto con Peter. Pensavo che mi avrebbe fatto sentire meglio, invece ho solo illuso quel ragazzo. Mi avevano sempre detto che era cotto di me, e io mi sono approfittata di lui.

Samuel non le lasciò la mano.

"E così, questa è la triste storia della mia vita. Vivo in una casa dove tutto mi ricorda mia madre e ciò che le è successo. Ho ferito un ragazzo innocente, ho ucciso un bambino e non posso più fidarmi di nessuno."

"Ma puoi fidarti di me" disse lui. E, senza preavviso, la portò a se e la baciò.


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