Capitolo uno

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Mi faceva salire l'ansia addosso. Era veloce, di un colore acceso. Mi disorientava il fatto che, per qualche strana ragione, appena individuavo un minimo di criterio ritmico nel suo lampeggiare questo perdeva irrimediabilmente senso. In quel momento iniziai a detestare con tutto me stesso quel bottoncino, paradossalmente schiacciato proprio da me. Rilasciai uno sosprio di sollievo quando le porte dell'ascensore si aprirono, liberandomi. In realtà quel bottoncino, per quanto fastidiosamente rosso e acceso, non era la causa scatenante della mia ansia. Per niente. Iniziai il solito percorso: passai per i vari reparti, camminai in qualche corridoio troppo illuminato, annusai il famigliare odore di pulito mischiato a qualcosa di decisamente più forte.
Addocchiai immediatamente la scrivania di Marise, che mi salutò con un sorriso. Ricambiai, anche se in modo molto meno radioso; ero teso. Lei se ne accorse.
-tesoro, cerchi lei?-
l'infermiera mi si avvicinò, portandosi dietro la sua vistosa capigliatura cotonata e una cartellina blu col simbolo dell'ospedale.
-Aline mi ha detto che essendo stata sotto i ferri l'hanno spostata di stanza. Dove posso trovarle?- il suo sguardo si rattristò solo un po, mentre mi accarezzava il braccio sinistro.
-la situazione é un pò delicata, che ne dici di aspettare fuori? Io avviso Aline che sei arrivato.-
mi sorrise di nuovo.
Quella donna era una dispensatrice di sorrisi caldi, soffici. Gli sarà tornato molto ultile per il suo lavoro.
-okay, aspetto qui.-
la mia voce venne fuori un pò roca, ma di certo nulla di notevole. Si strinse nelle spalle e sparì oltre il corridoio.
Mi lasciai sprofondare su una di quelle poltroncine bordeaux, particolarmente morbide. Come a dire: "stai comodo, stanno per arrivare cattive notizie". Il mio comportamento era leggermente esagerato, forse. Aline mi aveva specificamente detto che era andato tutto bene, al telefono. Sua madre ora stava riposando, ma ovviamente non sarebbe stata in vena di vedermi. In realtà ero lì per Aline, la mia migliore amica. Dovevo assicurarmi che stesse bene. Sapevo che stava soffrendo, in quel momento. Era quasi un anno che sua madre stava male, rinchiusa in quella stanza di ospedale. L'avevo vista deperire, portandosi dietro la figlia.
La mia migliore amica era una ragazza davvero sensibile, non avrei permesso che si spegnesse così. La sua delicatezza era già stata messa a dura prova con l'abbandono del padre: un uomo spregevole, da quel che ho capito.
I suoi genitori si sono separati quando lei aveva all'incarica sette anni. Lui si era portato via suo fratello maggiore e si era stabilito in un'altra città, dove si era risposato. Avevano sempre cercato di tenere un minimo di rapporto, almeno tra fratelli, anche se tra la lontananza e i divari famigliari la situazione non era mai stata delle migliori. Con l'arrivo della malattia ancora peggio: il padre di Aline non voleva saperne nulla, inspiegabilmente disinteressato. Ovviamente le sue ragioni erano passate in secondo piano, dal momento che adesso tutte le responsabilità cadevano sulla figlia. Bella merda, comunque.
Stavo rispondendo ad un messaggio di mia madre, mentre aspettavo. Voleva sapere come stesse la madre di Aline, che per lei era come una figlia.
Improvvisamente Marise tornò, divisa e capelli cotonati appresso.
-puoi entrare ora, ho solo controllato che fosse nelle condizioni giuste. La stanza é la numero 5 a sinistra, dopo il corridoio.-
Annuii e le sorrisi, presi la tracolla che avevo lasciato in terra e mi incamminai, tornando la stanza numero 5 immediatamente. Feci un bel respiro, misi su un sorriso e varcai la soglia.
Aprii la bocca per salutare quando le parole mi morirono in gola: un uomo alto, dalle grosse spalle, se ne stava contro il muro rivolto verso la finestra, dandomi di schiena. Immaginai fosse un conoscente di Angela, la madre di Aline, che per il momento stava dormendo tranquilla.
-...salve.-
Cosa avrei dovuto dire? Lui sembrò accorgersi solo in quel momento di me, cosa che non mi sorprese. Ho sempre avuto un passo leggero. Quello che mi sorprese furono gli occhi. Occhi molto scuri, marroni o neri, contornati da lunghe e folte ciglia nere. Su quel viso leggermente abbronzato spiccavano parecchio.
-salve.- la sua voce era molto roca, quel tipo di tono di chi non parla molto, o di chi sente le parole graffiargli la gola per uscire, tante c'è ne sarebbero da dire.
A prima vista mi era sembrato molto grande, in realtà mi accorsi che avrà avuto si è no tre o quattro anni in più di me.
-conosci Angela?-
Lui annuì.
quindi era un suo amico? O forse un amico di Aline?
-io sto aspettando Aline, l'hai vista?-
Lui si avvicinò alla donna, sedendosi sul bordo del letto accanto.
-l'ho mandata a prendersi un caffè, avrebbe dato di matto da un momento all'altro.-
La sua voce stava diventando meno roca, ma modulata, come se dovesse controllarla.
Decisi di non dire più nulla, mi sentivo a disagio. Il modo in cui quel ragazzo guardava Angela mi faceva sentire assolutamente fuori luogo.
La porta si aprì con un gran baccano, e io mi girai già sapendo chi mi sarei trovato di fronte: una ragazza alta, un pò più di me, magra e con lunghi boccoli neri aveva puntato i suoi occhi verdi nei miei.
-Jules!-
Aline mi venne subito incontro, stritolandomi con una forza sovrumana. Infondo era un bene che fosse almeno felice di vedermi. Quando ci staccammo notai che aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi, i capelli un pò spettinati ed era pallida.
-Ally stai bene? Da quanto é che non dormi?-

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