Aaron
Brielle
Brielle
Era in quella casa da che le sembravano secoli ormai, conosceva a menadito ogni singolo dettaglio, ogni striatura nera che il fuoco aveva tracciato sulle pareti, ogni sfumatura del legno dei pavimenti. Conosceva a memoria le stelle che si vedevano dai buchi in cui il tetto era caduto, conosceva ogni ragnatela o ragno.
Quell'edificio diroccato che era diventato la sua tomba, lei la conosceva ormai come la migliore fra le padrone di casa.
Il silenzio di quella notte era denso e quasi palpabile, l'aria era fredda e frizzante sul balcone della sua vecchia camera da letto, ma a lei non avrebbe dato fastidio neanche una bufera di neve. L'unico vantaggio dell' essere morta.
Prese una bella boccata d'aria, seduta sulla ringhiera del balcone guardava la sua città dormire, avvolta dalle tenebre.
Amava la notte, quel suo modo arrogante di appropiarsi di tutto e tutti, di immobilizzare il tempo.
Se era notte non si pensava al tempo che passava, non ci si accorgeva che le ore scorrevano veloci ugualmente.Quella ragazza era il ritratto stesso di quel lato della notte, quello arrogante e paralizzante, quella parte della notte che ti rapisce e ti lascia da solo con i tuoi pensieri.
La ragazza sospirò, poi lei odiava il sole, i suoi raggi troppo forti e brillanti, il modo sfacciato di arrivare, facendosi precedere da uno spettacolo danzante di luci e ombre. I vivi adoravano l'alba e il tramonto, li mettevano in tutti i quadri e li fotografavano sempre. Anche quando lei era viva avevano tutti quella mania. C'era un quadro in salotto, adesso che ci pensava, che raffigurava un tramonto, ma quella era l'unica eccezione.
Quel quadro sembrava voler uscire dalla tela e inondare la sua casa con le onde del mare, e in quel quadro c'era anche la sua amata luna, nell'angolo sinistro, che guardava tutto quello spettacolo con ammirevole e superiore indifferenza.La ragazza scese dalla ringhiera e poggio i piedi eterei a terra, indossava un paio di ballerine che sembravano uscite da un'altra epoca, e sicuramente lo erano davvero, di cui si riconosceva solo la fantasia e non il colore originario, essendo lei solo più uno spirito. Le copriva il corpo un vestitino leggero e smanicato con una trama fiorata che assomigliava ad un arazzo da parete, i capelli, che una volta dovevano essere biondo grano, ora erano di un colore verdastro, semitrasparenti, con i contorni mal definiti, ma gli occhi, gli occhi erano quello che più impressionava. Due occhi incolore, ma che brillavano nel buio, come quelli di un gatto abbagliato dalla luce dei fari su una strada.