Bed.

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«Lo voglio. Ora» ammise quasi ordinando al ragazzo davanti a se, che anche lui con gli occhi lucidi non aspettava altro che sentir pronunciate quelle tre parole. Dalla sua voce. Dalle sue sottili labbra a cuore. Harry alzò un poco le sopracciglia, intensificando l'eccitazione che già si liberava nell'aria, che però nessuno dei due riusciva ad ammettere. Harry allungò la mano verso l'altro e piano strofinò il palmo sulla parte bassa della guancia di Louis.
Quello però non si decideva a rispondere, troppo preso dai suoi pensieri. Pensieri che in quel momento potevano superare il tocco quasi magico e che dava i brividi di Harry.
«Che fai tremi?» chiese il moro accennando un sorriso malizioso, che però piano piano andava a scemare, percependo l'ansia e la preoccupazione che Louis cercava in ogni modo di nascondere, senza successo sfortunatamente.
Cadde una ciocca sulla fronte di Harry e questo sentì il flebile tocco dei suoi capelli, che gli pizzicò il viso e si fece scappare un brivido lungo la schiena scoperta, colto alla sprovvista. Si velocizzò a metterla a posto e fece ricadere la mano al lato della spalla di Louis, il quale non faceva altro che avere lo stesso sguardo da minuti ormai. Harry perse la pazienza.
Tirò piano giù le coperte e Louis cominciò come al solito. Buttò fuori le parole che avrebbe voluto far uscire dalla sua bocca da ore. Se lo teneva dentro come un macigno, come un groppo in gola di cui difficilmente ci si libera se la persona davanti a te è importante ed hai paura di schiantargli addosso qualcosa che lo faccia infuriare. Provava in quel momento soltanto rimorso, soltanto paura, rabbia. Era incazzato con se stesso e non faceva altro che pensare alla volta in cui aveva voluto far ingelosire la persona che aveva avuto il coraggio di esprimere la propria opinione, talmente trasparente e puro quale fosse.
Gli voleva bene, sì come ad un animale peloso, lo accarezzava e ci giocava quanto voleva e come voleva, ma non poteva ammettere che lo amava più di quanto amasse se stesso e la sua famiglia. Harry lo sapeva, non lo riconosceva, ma lo sapeva.
«Oggi dovrei portarlo fuori lo sai, fargli prendere una boccata d'aria» sospirò passando il pollice sulla fossetta che si era formata sulla guancia di Harry. Picchiettò un poco il dito fino a che questa sparì. Su Harry apparì una smorfia di disgusto. Quella storia doveva finire. Tutti li avevano bloccati, presi in giro, scherniti, picchiati per quello che davvero erano e per quello che l'uno provava per l'altro.
«Chi quel bambolotto?» si tolse da adosso a Louis, non riuscendo a nascondere gli occhi che si stavano indubbiamente bagnando.
Si andò a sedere all'angolo del letto, cercando di immaginare lontano un chilometro il corpo di Louis e sperando che questo se ne uscisse con una frase salvavita, così da rimettere a posto la situazione sconcertante.
«Sì tu lo sai..e anche bene Harry» provó ad avvicinarlo toccandogli il braccio destro, ma il riccio con un gesto veloce si liberò dal contatto che avrebbe potuto fargli perdere la testa su due piedi e lo avrebbe di sicuro perdonato.
«Io non so un cazzo e neanche tu. Ti devi svegliare e cominciare a tirare fuori le palle, non solo qui con me» si mise le mani agli occhi e tirò su rumorosamente con il naso. Proprio a loro, perché?
Stavano insieme da anni e ogni volta che uno dei due decideva di premere le labbra sull'altro sembrava ancora di risentire le carnose labbra di intrambi come la prima volta. Era sempre come se fosse la prima volta. Si resettavano, si innamoravano di nuovo.
«Harry quando inizio a parlare di lui t'incupisci sempre, ti ho giá detto molte volte che per me non ha alcun valore» si sedette piano vicino ad Harry, avendo paura che quello potesse scansarsi un'altra volta da lui.
Aveva tanta paura di perderlo e di risultare insistente ogni volta che parlava dei suoi problemi e del ruolo che Harry aveva in tutto quello. Aveva paura che le mani di lui sul suo petto, sui suoi fianchi, sulle sue cosce, non gli sarebbero mai bastate. Che avrebbe sempre voluto di più e che questo Harry non lo avrebbe desiderato e accettato. Ogni volta che Harry aveva in mente Louis e quella maledetta ragazza mano nella mano, gli saltavano i nervi e improvvisamente diventava freddo, distaccato, come se in quel momento Louis non fosse accanto a lui, come se l'unico amore della sua vita fosse scomparso e con lui fosse rimasta solo una stanza bianca e il suo cuore, in mano, che stringe fino a che si strozza, liberando tutto il sangue, tutto il sangue che per tempo aveva visto succhiare via da Louis senza pretese.
Nella sua testa apparivano immagini di megazine che avevano segnato la loro non-relazione. Avevano negato tutto. Avevano deciso di stare lontani l'uno dall'altro sotto gli occhi di chi sapeva e di chi invece non voleva ammettere il loro amore, che era così puro e sincero, che nessuno si sarebbe mai immaginato. Li avevano visti piangere tutti e due, sia Niall che Liam, perchè avevano negato quello che provavano, dicendo che erano solo buoni amici e..basta. Che tutto quello che avevano passato non era mai accaduto e che i loro sorrisi, ricambiati ovviamente, non avevano significato nulla. Tutti i loro tocchi e sguardi fugaci erano solo stati puro caso e che non era nulla a cui dare tanta importanza.
Quanto gli piaceva strofinare le labbra su quel collo inclinato e quanto gemeva Louis al sentir schioccare il dolce suono delle labbra di Harry sulla clavicola.
Harry si riprese dal ricordo dei loro corpi intrecciati qualche minuto prima e si alzò da letto, senza aggiungere nessuna parola all'affermazione di Louis. Il biondo rimaneva seduto sul letto, maledicendo se stesso di non essere stato abbastanza "attore" per aver mascherato il suo stato d'animo al momento. Gli venne voglia di Harry, una voglia matta del suo sudore mischiato al suo nel petto, gli venne un irrefrenabile desiderio di afferrare il braccio del riccio e dirgli che andava tutto bene, che lo amava, che le cose sarebbero andate meglio, ma lo aveva già detto troppe volte perché questa sembrasse credibile.
Il desiderio sessuale finì con un soffio e fece spazio ad un'altra sensazione, peggiore della rabbia e della tristezza: il rimorso.
«Harry no!» prese in quei millesimi di secondo il coraggio, tirò fuori le palle come non aveva mai fatto e prese l'iniziativa, per la prima volta esterniò i suoi sentimenti facendo la prima mossa.
Si alzò velocemente dal letto e raggiunse il riccio che stava per aprire la porta, che però si era fermato, sorpreso dal sentire la flebile e gracchiante voce di Louis.
«Ti prego non andartene» urlò dall'altra stanza, incrociando mentalmente le dita e pregando il signore, se mai ce ne fosse stato uno vero, in carne ed ossa, che voleva davvero veder fiorire una storia tra di loro e non continuare a piazzare paletti e ostacoli, così da rendere il loro percorso tortuoso.
«Se sei arrapato non mi interessa, fattela passare» rispose secco Harry, avendo in mente inizialmente di giocare, ma alla fine l'espressione sul volto ritornò dura e girò la chiave nella toppa.
Harry si fece sfuggire un'imprecazione mentre attraversava il corridoio dell'hotel di Seattle. Erano rimasti lì per pochi giorni e i due ragazzi non avevano fatto altro che dormire, scopare e ritornare a dormire.
Erano stati i giorni più liberi e felici di Harry, ma tutto si era sfasciato a causa di una piccola frase, che in quel momento solo per Harry sembrava aver meno che poca importanza.
Freddie non era nulla, era un giocattolo a cui si da il latte, per giunta neanche da parte sua. Era il frutto di un'unione nervosa, sfrenata, senza significato.
Era tutto accaduto così in fretta che nessuno dei due si era accorto di nulla, Louis aveva talmente dato poca peso al suo rapporto con quella ragazza di cui a stento ricordava con amicizia il nome, che non riusciva a concepire di essere padre. Sì di essere qualcuno nella vita di Freddie, che prima o poi si sarebbe dovuto svegliare dal sonno lento e duraturo che lo prendeva da quando aveva visto quelle piccole manine chiudersi e riaprirsi, appena nato.
Harry sbuffò, sbattendo la porta dell'uscita e cercò di abbozzare un sorriso, benché falso, alle ragazze con la videocamera, che erano probabilmente rimaste giorno e notte lì sotto ad aspettare che uscisse.
Si concentrò su quel pensiero e sfoggiò uno dei suoi più belli ma tristi sorrisi. Salutò con la mano una ragazza bassa vestita di bianco e s'incamminò verso la macchina che aveva noleggiato da giorni.
«Dove desidera andare, signore?» gli chiese cordialmente l'autista con gli occhiali neri. Harry sbuffò, perché per una volta avrebbe voluto sentirsi indipendente e guidare da solo una macchina, senza aver paura che delle ragazze piene di ormoni si fossero messe davanti alla strada per fermarlo. Questo nel peggiore dei casi, ed era già successo.
Squillò il cellulare dalla tasca di Harry e si ripromise di non rispondere: non voleva sentire la voce di nessuno in quel momento, avrebbe voluto mettersi a piangere come un bambino e avrebbe preferito che sua mamma fosse lì con lui.
«Le suona il cellulare, signore» gli ricordò il conducente, che conosceva talmente bene Harry che sapeva quando questo non rispondeva alle sue domande, il riccio voleva solo fare un giro in macchina. L'autista aveva capito, con il suo, come dire, ottavo senso, che se non avesse detto qualcosa il ragazzo sarebbe scoppiato di rabbia o avrebbe urlato come un neonato.
«Ho notato» rispose Harry, ma comunque per fortuna rispose. Sbloccò il telefono e sentì una voce impastata, così si concentrò su di essa e cercò di afferrare almeno qualche parola.
«Harry siamo qui, dove ti sei cacciato?» il riccio si ricordò del concerto al Safeco Field e maledì se stesso per non essere pronto a mettersi a cantare.
«Niall muoviti!» sentì una voce dall'altra parte della cornetta e si decise a rispondere.
«Vi sto raggiungendo. Avvisate Louis» rispose freddo, quasi voleva riattaccare.
«Urca, è successo qualcosa?» chiese Niall, accennando un risolino.
«Sto arrivando» prima di riattaccare sentì la voce di Niall che non si riferiva più al riccio e che pronunciava queste esatte parole:
«Mi sa che stavolta lo è per davvero» e riattaccò.

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