4.Meno diciannove
Mi sveglio alle 6 di mattina, sto male, ho la nausea. Mi sento debole, come se davvero parte di me fosse rimasta con lei, con le sue lacrime che ora faranno parte del cemento, cemento che calpesterò ancora per diciannove giorni.
«Mamma non sto bene posso non andare a scuola?»
Lei scoppia a ridere e mi dice: «Vai a prepararti, se vuoi ti porto io, ma a scuola ci vai».
Mi giro e me ne vado in stanza a prepararmi, l'unica cosa che mi piace della mattinata è andare in treno per vedere Eleanor e ora tu mi dici che se voglio mi porti in macchina? No grazie!
Mentre sto uscendo chiamo Eleanor, voglio essere sicuro di vederla oggi. Lei mi risponde e mi dice che anche lei sta andando in stazione. Chiudo la chiamata e la musica inonda la mia mente e i pensieri crescono come fiori nei primi giorni di primavera.
Rimaniamo insieme per le solite quattro fermate poi scendo e vado a scuola. Avrei dovuto dirlo a tutti miei amici che me ne sarei andato, ma in realtà pensavo di dirlo solo a poche persone. Di conseguenza questa mattina incomincio a dirlo ai professori, dicono subito che sono un ragazzo molto fortunato. Sì lo sono, ma nel momento sbagliato. I miei amici dissero che prima di partire avremmo dovuto sbronzarci per bene un'ultima volta; annuii mentendo. L'unica cosa che volevo in questo momento era stare con Eleanor. Egoista, lo so.
Finita la scuola torno a casa e chiedo a mia madre di uscire. Me lo nega. Mi metto la giacca e esco lo stesso. Di norma sono un ragazzo che rispetta le regole ma ora non può impedirmi di uscire, ora che mancano 19 giorni, 459 ore, 27.360 minuti, 1.641.600 secondi all'addio più duro della mia vita. Andai da Eleanor senza sapere se potesse uscire. Appena arrivo sotto casa sua la chiamo e le chiedo di scendereo ma mi dice che è occupata. Mi metto a sedre sul marciapiede e la aspetto.
Cinque minuti dopo esce la madre:
«Tu devi essere Marco, giusto?»
«Buon pomeriggio signora, sì sono Marco».
«Vieni pure su».
La ringrazio e la seguo dentro casa.
Saluto la sorella di Eleanor e poi vado da lei.
La vedo lì seduta mentre scrive qualcosa, è così bella. Amo il modo in cui impugna la penna, amo il modo in cui si comporta in situazioni imbarazzanti, come mi tiene il braccio, come se io la potessi salvare. Amo i suoi modi di fare, i suoi occhi, le sue labbra, quel modo di nascondersi il viso con le mani per tenere le persone distanti dalla sua insicurezza, con quel modo di abbracciare, così semplice, un modo che non saprei definire, direi infantile. Sento il suo respiro mancare, come se mi stesse dando ciò che la tiene in vita, con la sua voce, con le sue mani delicate come due bastoncini per il sushi, con le sue labbra che ormai hanno lasciato l'impronta sulle mie. Entro e lei mi salta addosso, incomincia a baciarmi. Mi guardo attorno, la stanza è piena di scritte sui muri, è diversa da come me la ero immaginata, pensavo sarebbe stata tutta ordinata e pulita ma invece era in disordine e mille foto erano buttate sulla scrivania. Mi piace questo suo lato sconosciuto, la prendo in braccio e le chiedo:
«Se invece di studiare ti portassi al cinema?»
Lei mi bacia tutta contenta, poi lo chiede a sua madre che accetta. Andiamo mano nella mano al cinema, niente preoccupazioni, nessuna angoscia, niente lacrime ci siamo solo io e lei, e questo mi basta. Forse è lei la chiave per la mia felicità.
Finito il cinema torniamo verso casa sua, ma qualcosa non va.
«Cosa c'è?» le chiedo impaurito.

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Il treno delle 7:48
أدب نسائيCatturarsi giorno dopo giorno con sguardi fugaci ma intensi mentre intorno brulica il caos urbano. Conoscersi con l'ingenuità e la spensieratezza dell'animo adolescenziale. Condividersi con semplicità ma segnandosi indelebilmente. E infine cercarsi...