Tre

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Sentì la pressione di alcune dita e il calore di un corpo minuto che gli cantava qualcosa.
Quando aprì gli occhi, la statua di Eris, viva, era ancora lì.
Realizzò che si trovava tra le braccia della scultura, che lo guardava sorridendo.
Gridare, alzarsi, correre, scappare, telefonare: non riuscì a compiere nessuno dei movimenti che gli balenarono in testa.
Tutto ciò che riuscì fu aprire la bocca e gemere.
-Ssh.- sorrise la statua. -Qual è il tuo nome?
Lo scultore ci mise qualche secondo a comprendere la domanda e a ricordarsi, accettando in contemporanea l'impossibile situazione: -E... Euryal.
-Euryal. Sei svenuto, quando mi hai vista. Per fortuna, ora stai bene.
L'artista borbottò ironicamente, cercando di ignorare il fatto che stava parlando con un sasso: -Ma sì, bene.
La statua fece come per ritrarsi: -Tu... sei tu quello che mi ha scolpita...?
Lo scultore, dopo qualche secondo, annuì.
-Come mi chiamo?- chiese veementemente lei, avvicinandosi al suo viso.
-Eris...- mormorò lui, con un filo di voce. Deglutì: -Com'è possibile che tu sia viva?
Lei scosse la testa: -Non... non lo so...- lo fissò profondamente. -Tu perché sei vivo?
-Io...- Euryal fece una lunga pausa. -Io non lo so.
La ragazza rise: -Uao, siamo compagni di nonlosologia!
Lui accennò a un fragile sorriso. Si alzò dalle sue ginocchia e si sedette a terra, di fronte a lei.
-Quanti anni hai?- chiese lei, aggiungendo: -E quanti anni ho io?
-Uh...- mormorò lui, una mano sulla testa, sforzandosi di ricordare. -Io ne ho trentadue. E il tuo aspetto è simile a una donna di ventidue.
-Uao.- commentò la ragazza, guardandosi le mani. Si alzò e si guardò attorno: -Ehi, hai veramente scolpito tanto.
-È... il mio lavoro.- spiegò stancamente lui, seguendola con lo sguardo. -Non so fare altro.
-Sono contenta che io sia una tua opera.- sorrise lei, lisciandosi il volto. -Sei bravo.
Lui ridacchiò: -Se non solo tu la pensassi così...
-Cos'è questa?- indagò Eris, prendendo un oggetto dal piedistallo di una statua raggomitolata su se stessa.
-Meglio per te che tu non lo sappia.- commentò cupamente lui, alzandosi, prendendo dalle mani della ragazza una bottiglia di vetro e posandola delicatamente a terra.
Lei distolse lo sguardo dall'oggetto: -Comunque, ripeto, sei bravo!- tracciò con un dito il contorno del viso di una delle sue statue, un putto che piangeva. Esitò. -Forse, solo, potresti scolpire qualcosa di più felice.
-Può essere. Sto mettendo da parte dei soldi per un nuovo blocco di marmo.- disse Euryal. -Per ora, posso solo creare piccole sculture dagli scarti degli altri blocchi.
-Ehi! Adesso che sono viva, ti assisterò.- sorrise lei. Si rabbuiò: -Però solo di notte.
-Non puoi prendere vita quando c'è il sole?- mormorò lui.
-Io... no.- sussurrò lei. -Non posso. Non so come spiegarlo... è tutto così confuso quando cerco di trovare qualcosa di scientifico o credibile in me...
-D'accordo. Non ti agitare.- Euryal prese Eris per entrambe le mani, stringendole. -Io... cambierò i miei ritmi. Mi aiuterai.- si morse le labbra. -Spero... spero di non deludere anche te...
-No, non lo farai.- sorrise lei, stringendogli le mani. -Io mi fido.
D'un tratto, cambiò espressione. Girò la testa come se stesse ascoltando qualcosa: -Devo andare, è quasi l'alba.
L'uomo annuì: -Oh. Sì. Certo.- sospirò. -A domani.
Un grande schiaffo si stampò sulla guancia dell'uomo.
Lui si lamentò, massaggiandosela. -Ehi! perché?
-Perché tu non pensi che sia stato tutto un sogno.- lei gli fece l'occhiolino, salendo sul piedistallo e tornando in quell'istante marmo, mentre una lama di luce arancione bucava timidamente le tapparelle dello studio.

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